di ANDREA GARIBALDI
Certe volte una notizia è troppo forte per indurre i giornalisti (in Italia, ma in tante parti del mondo) a controllare se sia anche vera. E’ successo all’inizio di giugno, con la tragedia di Noa, la ragazza olandese morta a soli diciassette anni.
Noa muore il 2 giugno. Aveva raccontato in un libro -un memoir, come si chiamano- di essere stata violentata due volte, a 11 e a 14 anni, e di non sopportare il peso di questi due attacchi al suo corpo.
La notizia che esce, per esempio, su “La Repubblica” di mercoledì 5 giugno è “La scelta di Noa/Eutanasia a 17 anni/dopo le violenze”, con spiegazioni sul fatto che nei Paesi Bassi la legge prevede il “fine vita” anche per gli adolescenti, che Noa lo ha chiesto e ottenuto. Pressoché tutti i mezzi di comunicazione -giornali, tv, siti web- riportano la storia in questi termini. Succede anche in Australia, in Inghilterra -culla del giornalismo anglosassone- negli Stati Uniti, in India. Secondo la ricostruzione del Guardian, a far girare -prima di tutti- la versione con l’eutanasia è l’agenzia Central European News, specializzata nella diffusione di notizie “unusual and quirky”, inusuali e strambe, agenzia che ha fama di fornire informazioni inaffidabili. Ha da poco perso una causa con BuzzFeed News, che aveva descritto il responsabile di CEN, re delle notizie del cavolo, “king of bullshit news”.
La notizia primigenia viene rilanciata da agenzie nei vari Paesi e arriva sui desk di giornali, tg e siti. Nessuno, fra chi la diffonde così com’è presentata, esercita l’arte del dubbio, nel senso che più una notizia è sensazionale più andrebbe controllata. Nessuno va a curiosare nel retrobottega di CEN.
L’enfasi dei titoli sull’eutanasia dura, per fortuna, solo 24 ore. Dà una mano Marco Cappato, promotore della campagna Eutanasia legale: “Non è un caso di eutanasia, Noa si è lasciata morire”.
A questo punto gli organi d’informazione frenano, resettano, controllano in Olanda e raccontano con maggiore distacco e con il beneficio dei dubbi tutta la vicenda.
Il direttore di “Repubblica”, Carlo Verdelli, il 6 giugno scrive su Twitter:
Carlo Verdelli
@CarloVerdelli
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6 giu
“Noa, la disperata ragazza olandese, non è morta perché le era stato concesso il suicidio assistito, come avevamo scritto. Un errore grave per cui chiediamo scusa. Resta lo sgomento per una vita bambina spezzata due volte”
E questo è molto significativo perché i giornali italiani sono poco abituati a correggersi, tanto meno a chiedere scusa. Ma su “Repubblica” e anche sugli altri organi di informazione la storia è stata corretta senza sottolineare l’errore del giorno prima. Tradizionalmente, nella stampa italiana, si ritiene che ammettere un mancato controllo getti cattiva luce sull’intero lavoro della testata.
In realtà, se ammetto gli errori darò la sensazione al lettore che -quando non lo faccio- ciò che pubblico è tutto vero.