A volte ritornano, anche i giornalisti. Dopo quasi cinquanta anni. Giampaolo Pansa ha ripreso a scrivere sul Corriere della Sera. Molti ne discutono, qualcuno si domanda di chi sia stata l’idea (del direttore Fontana, addirittura dell’editore Cairo) e che cosa scriverà in futuro. Da poche settimane Pansa ha lasciato il settimanale Panorama, diretto da Maurizio Belpietro, dove pubblicava il suo notissimo Bestiario. Il 21 settembre scorso il primo articolo offerto ai lettori del Corriere conteneva una serie di ricordi e aveva un titolo dedicato alla morte di Pier Paolo Pasolini.
Per soddisfare almeno in parte la curiosità dei lettori, Professionereporter ha pensato di fare due cose: chiedere a Raffaele Fiengo, storico leader del comitato di redazione del Corriere, di raccontare in quale periodo della vita italiana Pansa approdò al Corriere della Sera (1973); e pubblicare la cronologia degli spostamenti professionali di Pansa durante più di sessanta anni di vita professionale.
di RAFFAELE FIENGO
Giampaolo Pansa è un nome storicamente legato a quella che chiamiamo la “Primavera di via Solferino”, insieme con quelli di Enzo Biagi, Walter Tobagi, Bernardo Valli, Giovanni Russo, Giuliano Zincone, Antonio Cederna, Lietta Tornabuoni, Alfonso Madeo e dei giovani inviati di allora Fabio Felicetti e Antonio Ferrari. Con loro c’erano gli “intellettuali in prima pagina”: Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Alberto Moravia, Natalia Ginzburg, Franco Basaglia, per ricordarne alcuni.
Fu una breve stagione di indipendenza giornalistica reale, effettiva, poco vista fino a quel momento (con l’eccezione del Mondo di Pannunzio, del Giorno di Italo Pietra e di poche altre cose significative) legata alla figura del direttore Piero Ottone.
In verità Pansa arrivò al Corriere della Sera il 1 luglio 1973, quando, da poco, un primo colpo era stato già inferto alle condizioni precarie di totale (e singolare) autonomia che – da parte di Giulia Maria Crespi, proprietaria al comando – era stata assicurata al principale giornale del Paese, con la nomina a direttore di Piero Ottone, nel marzo del 1972.
Infatti un mese prima dell’arrivo di Pansa, il 29 maggio 1973 era entrato nella proprietà, in soccorso di Giulia Maria e contro Eugenio Cefis, Gianni Agnelli. La Fiat, pur accettando un “pattone” che la rendeva del tutto esclusa dalla gestione, portava con sé più di un’ombra. Tanto che lo stesso giorno Ottone sentì la necessità di scrivere un fondo “Liberi come prima”, proprio sotto la famosa “Magna Charta”, che assicurava l’indipendenza del quotidiano anche nei confronti degli interessi degli azionisti.
Una stagione terribile
La vera svolta, non subito evidente, ci sarà poi un anno dopo (nel luglio 1974): l’arrivo di Angelo Rizzoli, con i soldi garantiti dalla Montedison, come si lesse solo su Le Monde e si chiarì a fatica con l’aiuto della magistratura di Milano. La resa morbida e un po’ nascosta del Corriere come effetto di una pace Agnelli-Cefis. Ottone rimase. Ma diminuito, nonostante solenni atti formali di garanzie anche giuridiche per l’indipendenza dei giornali Rizzoli, a partire dal Corriere.
Non è molto noto che, a Lugano in Svizzera, fu firmata in segreto una “convenzione” tra la Rizzoli International e la Montedison International Establishment che limitava la libertà del giornale nelle notizie che toccavano la Montedison.
Anni dopo ho cercato di verificare, passando pagina per pagina il Corriere (due mesi, due ore a mattina sulla raccolta cartacea!). E posso testimoniare senza dubbio alcuno che la luce dell’indipendenza, nella direzione Ottone, non si era spenta. Ho perfino trovato un articolo firmato da Seymour Hersh che denunciava negli Stati Uniti la strage dei marines a My Lai, in Vietnam. Ma, in materia di inquinamento, a Scarlino e a Mestre, per esempio, la parola Montedison non era più nei titoli. Anche se gli articoli di Antonio Cederna continuavano a uscire.
La firma di Pansa è una di quelle che evocano una stagione terribile e irripetibile. Fu a lui che, in una famosa intervista Enrico Berlinguer disse che si sentiva più sicuro con la NATO piuttosto che con i sovietici. Pansa insomma è parte di quella breve “primavera” che oggi è importante richiamare alla memoria, non per nostalgia, ma per riaffermare e indicare nel giornalismo una strada da percorrere.
Consiglierei a chi studia da giornalista di leggere l’inchiesta di Pansa sui “padroni delle città” apparsa in Terza pagina, a partire dal 31 ottobre 1973, con una puntata dedicata a Ciriaco De Mita (titolo “I giovani manager della miseria”). Il sommario ha un linguaggio diretto e netto che finora non si era mai letto sui grandi giornali borghesi: “Avellino è l’impero della corrente democristiana di ‘Base’ controllata con mano ferrea ma abilmente moderna da un ‘leader’ di 45 anni, che ha 127 mila preferenze e un ministero a Roma – La fitta rete di potere lascia agli avversari soltanto uno spazio di rappresentanza -. Una provincia che produce soprattutto emigrati, disoccupati e pensionati”.
Cito il sommario iniziale: “Gaia e Napoli. Napoli e Gava. In questi giorni si è scritto molto sul rapporto anomalo fra quella famiglia di politici e la loro città e sulla rete di potere che essa ha teso intorno alla capitale del Sud. Ma anche in altre parti d’Italia è riscontrabile, sia pure in forme e con intensità diverse, il rapporto che fa di Gava il padrone o uno de padroni di Napoli. Il neo-feudalesimo è un fenomeno diffuso, nel sud come al nord, un fenomeno che altera il rapporto corretto tra il politico e il cittadino, e quindi tra il cittadino e lo Stato. Chi sono i neo-feudatari, i ‘city boss’, i padroni delle città? In quale forma esercitano il potere? Che cosa dicono e come reagiscono le loro città? L’inchiesta tenterà di dare qualche risposta”.
La rivolta delle redazioni
Le successive puntate escono con cadenza settimanale, dedicate a Giovanni Gioia (Palermo), a Nino Gullotti (Messina), a Giacomo Mancini (Calabria), a Paolo Emilio Taviani (Genova). Un lavoro giornalistico che secondo molti contribuirà a consolidare nella Dc e negli ambienti più retrivi la determinazione a cambiare il direttore del “Corriere”. E non solo. Quella “primavera di Solferino”, infatti, si iscrive nella “rivolta delle redazioni” di tutta Italia che ha anche una data simbolo: il 12 maggio 1974 giorno del referendum con il quale si tentò di eliminare dal Paese la legge che permetteva il divorzio, un istituto civile a fatica introdotto. La vittoria fu davvero merito di tutto il giornalismo, in prima fila il Messaggero con il gigantesco NO sull’intera prima pagina.
In via del Tritone, sotto la sede del giornale, corse una folla di cittadini a festeggiare. Mentre a Milano, in piazza Duomo, in un comizio, Amintore Fanfani analizzava le cause della sconfitta del Sì e, con il braccio alzato e il dito puntato oltre i palazzi, indicava la sede del Corriere e i giornalisti.
Quel che successe poi lo ricordiamo tutti: proprio con Cefis e la Montedison l’offensiva contro i giornali ebbe la meglio, a cominciare da Corriere e Messaggero (i Crespi e i Perrone). La restaurazione non fu immediata. A Milano ci volle tempo e la proprietà occulta della P2 con i soldi della mafia passati da Calvi con il Banco Ambrosiano. Solo nell’ottobre 1977 al Corriere l’operazione si compì con la nomina di Franco Di Bella da parte di Licio Gelli.
Nel frattempo, però, il 14 gennaio del 1976 era uscita “Repubblica” e, quando il 21 maggio del 1981 i giudici Colombo e Turone riuscirono a rendere noti gli elenchi della P2 e scoppiò lo scandalo, il Corriere non era affatto morto. E il giornalismo nemmeno.
Le tappe di una vita professionale durata 60 anni (da Wikipedia)
• 1961[3]-1964: La Stampa (direttore Giulio De Benedetti). Uno dei suoi servizi più noti del periodo fu sul disastro del Vajont;
• 1964-1968: Il Giorno (direttore Italo Pietra), si occupò delle cronache dalla Lombardia;
• 1969-1972: La Stampa, inviato da Milano (direttore Alberto Ronchey). Scrisse per il quotidiano torinese sulla strage di piazza Fontana;
• 1972-1973: Il Messaggero di Roma come redattore capo (direttore Alessandro Perrone);
• 1º luglio 1973 – ottobre 1977: inviato speciale per il Corriere della Sera (direttore Piero Ottone). Durante il periodo al Corriere Pansa scrisse con Gaetano Scardocchia l’inchiesta che contribuì a svelare lo scandalo Lockheed;
• novembre 1977-1991: La Repubblica, inviato speciale (direttore Eugenio Scalfari). Nell’ottobre 1978 assunse la vicedirezione. Riprese a scrivere per il quotidiano romano nel 2000 come editorialista;
con settimanali
• 1983-1984: crea la rubrica «Quaderno italiano» su Epoca(direttore Sandro Mayer);
• 1984-1987: crea la rubrica «Chi sale e chi scende» su L’Espresso(direttore Giovanni Valentini);
• 1987-1990: crea la rubrica «Bestiario» su Panorama, (editore Mondadori, direttore Claudio Rinaldi, Pansa fu condirettore);
• 1991- settembre 2008: il «Bestiario» prosegue su L’Espresso (direttore Giulio Anselmi, poi Daniela Hamaui)
• Il 30 settembre 2008, trovandosi in contrasto con la linea editoriale, lasciò il Gruppo Editoriale L’Espresso. Da allora ha scritto sui seguenti giornali:
• ottobre 2008-dicembre 2010: Il Riformista (direttore: Antonio Polito);
• settembre 2009-luglio 2016[8]: Libero, dove nel gennaio 2011 ha portato il «Bestiario» (direttore: Maurizio Belpietro (2009-2016), Vittorio Feltri (2016-in carica);
• settembre 2016 – giugno 2018: La Verità (quotidiano fondato e diretto da Belpietro);
• novembre 2018 – agosto 2019: Panorama (settimanale diretto da Maurizio Belpietro);
• agosto 2019 – oggi: The Post Internazionale (quotidiano online fondato e diretto da Giulio Gambino);