di ANDREA GARIBALDI
La maledizione dei giornalisti. Nel precedente governo c’era un sottosegretario, Crimi (5 stelle) che non ne capiva la funzione sociale, e aveva messo in piedi addirittura gli “Stati generali dell’informazione”, il cui percorso sembrava portasse direttamente all’abolizione dell’Ordine. Ora un altro sottosegretario, Martella (Pd), che si mostra comprensivo e rispettoso, per tradizione della sua parte politica, del ruolo della libera stampa, ma sul più bello ritira fuori una letale misura.
I prepensionamenti.
Una roba ideata e per la prima volta applicata nell’anno 2009. Gli editori minacciavano licenziamenti e per evitare traumi si giunse a questa trovata. Mentre a tutte le categorie si posticipava la data della pensione per alleviare il bilancio dello Stato, ai giornalisti no.
Si anticipava.
Bastavano 58 anni e 18 di contributi. Il governo (Berlusconi) interveniva con una manciata di milioni per “regalare” 5 anni di contribuzione, e così si teneva buoni gli editori (e i contenuti dei loro giornali). Gli editori si liberavano di giornalisti esperti (ma chissene frega) con stipendi alti (questo sì che interessa, agli editori). I giornalisti mediamente non erano contenti perché mediamente amano il proprio mestiere e amano restare sulla scena. Ma comunque andavano in pensione giovani.
FAvori a caltagirone e Rcs
Unico totale sconfitto l’Inpgi, l’ente autonomo che gestisce le pensioni dei giornalisti, che si ritrovava sul collo baby pensionati da mantenere per decenni. Dal 2009 questo copione si è ripetuto varie volte. All’inizio gli editori dovevano dimostrare di avere in conti in rosso. Ma era un po’ troppo restrittivo. La norma fu cambiata e bastò che i bilanci fossero “tendenzialmente” orientati verso il rosso. Editori ricchissimi come Caltagirone, De Benedetti o RCS hanno reiterato i loro “stati di crisi” per due, anche tre volte. Quindi la misura nata per evitare traumi occupazionali, si trasformò in un mezzo per ristrutturare le aziende a spese dello Stato e dell’Inpgi. Mentre, ad esempio, RCS riusciva a rovinare i suoi conti non con la crisi dell’editoria ma con l’acquisizione dell’azienda Recoletos in Spagna, acquisizione fortemente voluta dall’amicizia fra alcun soci e i venditori spagnoli.
Tra l’altro alcuni editori, a Repubblica in particolare, continuavano a far scrivere i giovani pensionati, pagati dall’Inpgi, in modo di non dover neanche assumere qualche vero giovane al loro posto. Non si spostavano neanche di scrivania, i giovani pensionati, cambiavano solo datore di retribuzione.
169 milioni di rosso
Mille e cento sono stati fino ad oggi i prepensionamenti, che pesano come una montagna sui bilanci dell’Inpgi. L’Inpgi già di suo è a rischio fallimento: quest’anno la gestione previdenziale e assistenziale chiude con una perdita di 169 milioni.
Ed ecco il nuovo sottosegretario, Martella: come primo gesto, ha deciso di riprendere quella pratica. Propone 14 milioni di contributo statale per nuovi prepensionamenti per giornalisti e poligrafici. Per ora sono stati bloccati dal ministero dell’Economia a causa di un errore tecnico nella presentazione. Ma tutto lascia credere che torneranno in auge. Nel frattempo le condizioni sono un po’ cambiate, ci vogliono 62 anni e 25 anni e 5 mesi di contributi, ma la sostanza non cambia. Il governo finanzia gli editori non per far funzionare meglio i loro giornali che sarebbero (dovrebbero essere) un baluardo della democrazia, ma perché si liberino dei loro pezzi pregiati. In teoria ogni tre prepensionamenti dovrebbe essere effettuata un’assunzione. Cosa che non sempre avviene. E che comunque nessuno controlla con attenzione.
Sottosegretario, sicuro di quello che sta facendo?
La conferenza nazionale dei Comitati di redazione ha detto “no ai nuovi prepensionamenti senza contestuali interventi strutturali sul lavoro, sul contrasto al precariato e sulla previdenza”.