di MARCO FRONGIA
“Quando la società che ha ideato questa pubblicità per Netflix mi ha chiesto la disponibilità ho risposto di sì, ma temevo l’indifferenza delle persone. Mi sono detto: ‘Ora faccio questo annuncio, tanto capiranno bene che la cosa è mascherata per la promozione di qualcosa’. Anche perché c’era l’hashtag #adv. Invece tutti hanno frainteso… ma se avessi dovuto fare un annuncio del genere, non lo avrei certo fatto sui social, ma al telegiornale”.
A parlare è Emanuele Filiberto di Savoia, che racconta al Fatto Quotidiano i retroscena dell’ormai celebre videomessaggio in cui annunciava “il ritorno della famiglia reale”. Un tweet, quello del nipote dell’ultimo re d’Italia, su cui praticamente tutte le testate nostrane si sono tuffate, ben liete di farsi sfruttare come megafono. L’intento pubblicitario – lo sottolinea lo stesso protagonista – era evidente: c’era l’hashtag #adv (diminutivo di “advertising”, ovvero “pubblicità”)!
Il risultato è stato quello di potenziare enormemente la viralità di quello che, alla fine, è risultato essere solo l’annuncio dell’uscita della terza stagione di The crown, amatissima serie Netflix sulla vita della famiglia Windsor.
In questa vicenda, particolarmente notevole è il caso di Open: il giornale online fondato da Enrico Mentana riesce a essere sia tra i tanti che si adeguano nel dare la notizia del misterioso “ritorno” dei Savoia, sia a schierarsi tra le (poche) voci critiche alla pseudonotizia. In quest’ultimo caso, è David Puente a occuparsene, con un articolo dal titolo: “Sempre più in basso: dietro l’annuncio di Emanuele Filiberto ‘Stiamo tornando’ una linea di vestiti di moda ‘Casa Savoia’”.
L’effetto è paradossale: per smascherare un messaggio pubblicitario camuffato da annuncio politico, l’articolo riesce a dedicare un intero pezzo (corredato da circa una mezza dozzina di immagini) al marchio di alta moda “Casa Savoia”. Facendo dunque involontariamente pubblicità a un prodotto che neppure Emanuele Filiberto aveva pensato di promuovere con il tweet incriminato.
Sindrome reggimicrofono
Negli anni è diventata tristemente famosa la figura del reggimicrofono. Funziona così: si piazza la strumentazione di fronte al politico di turno, si raccoglie qualunque cosa abbia da dire e lo si trasmette così com’è, senza verifica e senza commento; quello, al massimo, verrà affidato a un politico di schieramento opposto. Con i social (ne abbiamo parlato qualche tempo fa) il fenomeno si è ingrandito a dismisura, assumendo quasi i contorni di un’epidemia. Ma questa “sindrome del reggimicrofono” non è una conseguenza della crisi del giornalismo: semmai, è una delle cause.
Oggi il reggimicrofono – come fanno i virus – si è evoluto: non è più solo quello che rilancia le dichiarazioni dei politici in cerca di visibilità sui media, ma anche quello che – più o meno consapevolmente – cade nelle trappole tese dagli uffici marketing e dagli addetti stampa.
Cani, capre e piccioni
Un esempio a caso: il 23 giugno di quest’anno, adnkronos dedica un lancio ai ”770mila cani che vivono in maniera quasi perenne sui balconi” nel nostro Paese. La fonte di questo dato? Lorenzo Croce, presidente dell’Associazione animalista Aida. E basta.
Lo stesso personaggio che da anni intasa le email delle testate con comunicati stampa basati sul nulla, che spesso vengono pubblicati senza alcun tipo di verifica e che sono pensati solo per accrescere la visibilità dell’associazione stessa. Basti citare le presunte denunce a Vittorio Sgarbi per insulti alle capre o a Carlo Cracco per aver cucinato un piccione, oppure ancora il dato sui 5 milioni di topi che vivrebbero nel sottosuolo di Milano. Contati uno per uno da Lorenzo Croce, dobbiamo supporre.
Spesso basterebbe leggere il comunicato, notare l’assenza di una fonte, fare una piccola ricerca su internet per insospettirsi ulteriormente, e telefonare all’associazione per chiedere le prove di queste affermazioni. Ma sembra succedere sempre più raramente.
Come scriveva nel 2016 il presidente di Enpa Milano, Ermanno Giudici, “associazioni come AIDAA non sono associazioni animaliste ma solo organizzazioni inesistenti o quasi che grazie al sonno della ragione dei media, che pubblicherebbero qualsiasi cosa possa far notizia, acriticamente, riescono ad avere spazio sui giornali”.
Casi come questi (e ce ne sono a centinaia) sembrano insignificanti, ma non lo sono. Mostrano invece uno dei più pericolosi punti deboli del giornalismo italiano odierno: il connubio tra fame di notizie sensazionali e scarsa attenzione nel verificarle. Ed è lì che uffici marketing e addetti stampa di ogni tipo colpiscono per ottenere quello che vogliono: tutta la visibilità che i media possono offrire.
Troppo facile dare loro la colpa. Anzi: andrebbero fatti i più sinceri complimenti a Netflix e a quanti sappiano sfruttare le debolezze del giornalismo attuale per farsi pubblicità gratuita.
Loro fanno il proprio lavoro, e lo fanno bene.
(nella foto Olivia Colman, protagonista di The Crown ed Emanuele Filiberto di Savoia)