Il giornalismo non ha ancora perso la battaglia contro i social network. Ma deve cambiare pelle. Diventare più “social”. Cioè: dialogare con le persone, scendere dalla torre. Ormai assediata.
Racconta questo il rapporto dell’Agenzia Agi con il CENSIS, intitolato “I professionisti dell’informazione nell’era trans-mediatica. Grado di fiducia, elementi critici e attese degli italiani”.
Cominciamo dai dati della tragedia: nel 2007 i quotidiani venivano letti dal 67 per cento degli italiani, oggi -dodici anni più tardi- sono letti dal 37,4 per cento. Eppure, il 52,3 per cento degli intervistati è convinto che chi si informa in modo casuale sul web non avrà mai la consapevolezza di chi legge sistematicamente un quotidiano. Addirittura il 69 per cento ritiene che la capacità di raccontare, la completezza, il pensiero critico, la serenità di giudizio siano prerogative esclusive dei giornalisti. Solo il 14 per cento degli intervistati pensa che sarebbe interessante o utile disporre di articoli di giornale scritti senza giornalisti, da robot (come già avviene per esempio al Washington Post, per ora solo relativamente a notizie semplici come dati di borsa, risultati sportivi, informazioni meteo).
Meglio insomma i “professionisti della verità”, quali dovrebbero essere i giornalisti, dei “non professionisti della verità”, vale a dire tutte quelle figure che sono apparse negli ultimi anni sul mercato delle notizie e che si muovono senza un codice deontologico al quale rispondere, motivati sostanzialmente da interessi economici politici.
La questione è che questi professionisti non godono di buona stampa. Secondo il 70,1 per cento i giornalisti poco fanno per veicolare un’informazione corretta e professionale. Poca accuratezza nel confezionare le notizie e nel selezionare le notizie buone rispetto alle fake news. Il 77,8 per cento pensa che le fake news siano un fenomeno pericoloso. Secondo il 74,1 per cento vengono create ad arte per inquinare il dibattito pubblico e secondo il 69,4 per cento possono favorire derive populiste. Il Censis ha rilevato che a più della metà degli utenti italiani di internet è capitato di dare credito a notizie false circolate in rete.
Non è tutto: quasi 59 italiani su cento sono convinti che oggi i giornalisti siano più orientati a generare traffico, click e like, piuttosto che a veicolare buona e corretta informazione.
Quindi? La conclusione del report Agi-Censis è la seguente: il giornalismo non si salva con richiami all’autorevolezza di chi ha la tessera dell’Ordine ed è un “professionista della verità”. Piuttosto, si salva con la dimostrazione continua di questa professionalità e del rispetto delle regole che portano vicino alla verità. Si salva con la qualità e con l’immersione nella realtà vissuta dai cittadini.
Il 63 per cento degli intervistati dice che “il futuro del giornalismo sta nel dialogo con i lettori ( attraverso social media, blog, giornali on Line) e non nella semplice pubblicazione di articoli”. Quindi niente casta, niente superiorità (e supponenza) del giornalista nei riguardi del lettore, soprattutto mentre l’editore del giornalista viene inquadrato come parte dell’establishment.
Si legge nel report: “Occorre saper coniugare rigore professionale e accessibilità, disponibilità allo scambio, capacità di creare e di alimentare delle comunità”.
In altri termini: i giornalisti devono tornare a occuparsi delle persone e a vivere nei territori, uscendo dai Palazzi del potere.
Professione Reporter
(nella foto: riunione di redazione all’Agenzia Agi. Al centro, il direttore Mario Sechi)