(V.R.) I giornalisti italiani di nuovo alle urne. Un anno fa votarono per il congresso Fnsi, ora devono rinnovare gli organismi direttivi dell’Inpgi.
In quasi un secolo di vita (l’istituto dedicato a Giovanni Amendola è stato fondato nel 1926) raramente le votazioni sono state accompagnate da particolari tensioni all’interno della categoria. Sicuramente perché le cose andavano bene. L’istituto era ricco, i bilanci floridi e non c’era ragione di battagliare più di tanto. L’importante era trovare colleghi capaci e onesti, che si impegnassero per gestire l’ente che incassava i nostri soldi e dal quale dipendeva una parte dell’indipendenza della nostra attività. Era importante non dover chiedere nulla ai governanti di turno. Ma occorreva pagarsi da soli pensioni, sussidi di disoccupazione, cassa integrazione, assistenza sanitaria aggiuntiva, eccetera.
preoccupazioni economiche
Oggi invece ci sono molte preoccupazioni. I pensionati aumentano proprio mentre diminuiscono gli iscritti che versano contributi. Di qui la necessità di correre ai ripari, prima che sia troppo tardi. Di qui la richiesta che gli amministratori hanno fatto di poter allargare la propria base ad altri operatori della comunicazione che non sono iscritti all’Ordine. I politici di governo hanno promesso di intervenire. Non ci sono tante altre soluzioni, ma si potrebbe tenere la barca a galla togliendo ad esempio all’Inpgi il peso delle crisi delle imprese, che è sopportato dallo Stato per tutte le altre categorie di lavoratori e che noi ci siamo accollati (con gli editori).
due fronti contrapposti
La campagna elettorale che è in corso sconta anche altri veleni: il taglio della cosiddetta “fissa”, che ha colpito ingiustamente molti pensionati; la gestione del patrimonio immobiliare sulla quale alcuni avrebbero voluto maggiore trasparenza. Si contrappongono due fronti: quelli che insistono per mantenere a qualsiasi costo l’autonomia dell’istituto (e in buona misura di tutto il castello che su quel fondamento si regge) e quelli che senza indugio propongono di passare all’Inps. Scelta che dicono garantirebbe le pensioni future, a fronte della perdita, dopo quasi un secolo, della capacità di amministrare i contributi versati. La rinuncia da parte degli iscritti ad un pezzo di libertà. Ma tutti dovrebbero riflettere, Parlamento e Governo compresi, perché senza la libertà il giornalismo, che già ha tanti difetti, sarebbe un’altra cosa.
(Si vota: per via telematica nei giorni 10,11,12 febbraio 2020; ai seggi il 15 e il 16 febbraio. I candidati sono oltre 150).