di ALBERTO FERRIGOLO

“Venerdì ‘Lettera43’ sospende le pubblicazioni. Io ho lasciato la direzione. Ringrazio l’editore che mi ha dato 10 anni di assoluta libertà. E la redazione che ci ha messo grande impegno. Le storie iniziano, finiscono, talvolta si riprendono. Si vedrà”.

Con queste poche righe lanciate con un tweet il 12 maggio, Paolo Madron, direttore del giornale online economico-finanziario e di news, ha annunciato la chiusura della webpubblicazione dal 15 maggio. Ma in quel “si vedrà” finale c’è chi legge motivi di speranza. Di certo, si chiude così un’esperienza editoriale durata dieci anni, avviata per iniziativa del banchiere Matteo Arpe, ex numero uno di Capitalia, gestione Geronzi, prima come direttore generale, poi come amministratore delegato, che nel 2007 ha dato vita al fondo d’investimento Sator, e di Paolo Madron, ex “Panorama”, animatore del sito con una squadra iniziale d’una ventina di redattori, tutti in “età web”, per una media di 28 anni.

Intorno a “Lettera43” – testata frutto della crasi tra la mitica “Lettera22” di marca Olivetti e l’anno 2043, in cui secondo lo studioso di editoria Usa Philip Mayer sarà venduta l’ultima copia del “New York Times” – molti nomi dell’alta finanza: come la famiglia Moratti e la Banca Popolare di Vicenza, che hanno partecipato con un investimento iniziale di circa 300 mila euro ciascuno. Mentre i soci finanziatori (oltre Sator, Paolo Cantarella, ex ad Fiat) hanno versato 4 milioni, i fondatori hanno contribuito con un altro milione. Questi ultimi hanno il controllo della società con il 51%. Una dotazione di risorse finanziarie iniziale sufficiente a garantire una totale autonomia per almeno tre anni e una raccolta pubblicitaria affidata alla Manzoni & Co. 

Anticipare l’orario

L’ultima certificazione di Audiweb di febbraio 2020 colloca però “Lettera43” al 72esimo posto della classifica dei siti più cliccati, con 77.241 utenti unici, 134 mila pagine viste per un tempo medio di 1 minuto e 37 secondi. Non certo una performance d’eccellenza. La chiusura del quotidiano online viene di fatto anticipata lo scorso 27 marzo da un comunicato con cui il Cdr annuncia un’improvvisa giornata di sciopero per l’indomani, in seguito al rifiuto dell’editrice News 3.0 di procedere con un nuovo piano editoriale. La direzione intende infatti “raddoppiare il numero di contenuti pubblicati ogni giorno sul sito”.

 Due giorni prima l’azienda aveva spiegato in una lettera di risposta al Cdr d’aver chiesto alla redazione “di anticipare l’orario di inizio della giornata lavorativa”, dopo aver riscontrato come l’esiguità del numero di articoli immessi nel sistema la mattina si traducesse “in un minor traffico rispetto al resto della giornata”. Una “banale” modifica nell’organizzazione del lavoro “che nulla ha a che fare – aggiungeva News 3.0 – con il piano editoriale presentato dal direttore e approvato dalla redazione lo scorso luglio”. Quindi si esprimeva “meraviglia” per “una reazione spropositata e anacronistica” culminata nel ricorso allo sciopero dei giornalisti, “che denota la totale inconsapevolezza dell’attuale situazione in cui versa l’editoria”. 

Una reazione, sottolineava ancora l’editore, “portata avanti oltretutto contro un’azienda che sin qui, a differenza di pressoché tutte le altre nel settore, non è mai ricorsa ad alcun tipo di ammortizzatori o procedure di solidarietà”. Tanto che l’editore fa sapere di volersi riservare “tutte le iniziative del caso a tutela della sua reputazione e degli ottimi risultati sin qui raggiunti”. Ribatte il cdr che invece la redazione “rileva una serie di gravi inesattezze e passaggi del tutto fuorvianti rispetto alle richieste presentate e alla realtà lavorativa interna all’azienda” e “non può che essere basita di fronte alla risposta intimidatoria dell’azienda che s’è dimostrata sorda verso una richiesta unanime giunta dai suoi dipendenti rispetto a un documento cardine su cui si fonda il lavoro redazionale”. E forse, fa notare il Comitato di redazione, se l’azienda “non è mai ricorsa ad alcun tipo di ammortizzatori o procedure di solidarietà”, è “anche perché per sette anni la quasi totalità delle posizioni dei dipendenti non è stata regolare” e “solo una lunga trattativa impostata dal Cdr nato a fine 2017 ha portato a un lento e parziale processo di regolarizzazione ancora lontano dall’essere ultimato”. È il là alla crisi irreversibile che culmina con la chiusura di venerdì 15 maggio. 

Qualcuno, anche tra i collaboratori di prestigio, sostiene che “Arpe s’è stufato”. E che probabilmente lui e Madron hanno cercato altri finanziatori, senza successo. E che tra giornalisti, segreteria, amministrativi, gli scarsi introiti pubblicitari, alla fine il gioco non è valso la candela. La verità è che il punto debole di tutta la vicenda sembrano esser stati i minimi pubblicitari vantati o millantati, mai realmente raggiunti, ciò che ha contribuito nel tempo ad accrescere la voragine del bilancio.

renzi e parisi

Quando Matteo Arpe costituisce la Sator per dar vita a “Lettera43” accarezza però anche l’idea di diventare un vero editore e, ove possibile d’espandersi. Una prima acquisizione la fa nel 2015 rilevando la proprietà del settimanale “Pagina99”, fondato nel gennaio 2014 e diretto fino all’ottobre 2015 da Emanuele Bevilacqua, giornalista, già amministratore delegato di ”Internazionale”, di “il manifesto” e che ha contribuito alla progettazione e al successo di periodici come “National Geographic”, “Darwin”, “Limes”, “Il Giudizio Universale”, “Colors” di Benetton-Toscani, “Micromega”. Direttore anche del Palazzo delle Esposizioni di Roma è oggi presidente del Teatro per Roma. 

“Pagina99” parte per sei mesi come quotidiano, poi diventa settimanale, interrompe le pubblicazioni un paio di volte, e nel 2018 chiude definitivamente i battenti. Intanto Arpe, sollecitato anche da Madron, acquisisce testate come “Rivista Studio”, “Rivista Undici”, che però non portano grandi benefici al gruppo. Anzi. L’ingresso un po’ più sostanzioso nel mondo dell’editoria però continua ad intrigare il banchiere, che in un frangente, tra il 2015 e il 2016, sembra interessato a risollevare il destino de “l’Unità”, l’ex organo del Pci che il Pd non sa a chi dare. Con l’idea di associare il giornale di carta al quotidiano online. Poi però Renzi preferisce affidarsi a Massimo Pessina, titolare e presidente della omonima società di costruzioni. Forse anche perché Renzi ha in mente più un house organ che il giornale d’opinione, tanto che poi dal 30 giugno del 2016 affida la direzione de “l’Unità” a Erasmo D’Angelis, nato di Formia ma fiorentino d’adozione, ex “il manifesto”, ex Legambiente del gruppo Realacci-Gentiloni. 

“Le storie iniziano, finiscono, talvolta si riprendono. Si vedrà”. Chissà se la formula usata nel suo tweet-congedo da Madron contiene un arrivederci. Si è letto e fatto anche il nome di Stefano Parisi, ex Fastweb ed ex direttore di Confindustria, oggi in politica, tra i possibili cercatori d’oro in grado di mobilitare il mondo industriale e una cordata per affiancare più Madron che Arpe. Sedotto e poi abbandonato da Berlusconi, Parisi nel 2016 ha tentato anche la corsa a Palazzo Marino come sindaco di Milano, ma si è dovuto accontentare solo di uno scranno nei banchi dell’opposizione ed è oggi tentato dal piffero di Calenda.

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