(A.G.) Mercoledì 13 maggio per Massimo Giannini, nuovo direttore alla Stampa, 159 giornalisti hanno votato il gradimento, su 175 votanti. Novanta virgola 8 per cento, percentuale quasi “bulgara”. Meglio di quanto aveva ottenuto, il 30 aprile, Maurizio Molinari, nuovo direttore di Repubblica, che ha avuto 220 sì su 300 votanti, il 73,3 per cento, comunque un buon risultato.
Per Giannini hanno votato no 5 giornalisti (2,8 per cento) e 11 si sono astenuti (6,2). Gli aventi diritto al voto erano 196, quindi ha votato l’89 per cento. Per Molinari i no sono stati 36 (12 per cento), gli astenuti 44 (14,6). Gli aventi diritto al voto erano 350, ha votato l’85 per cento.
Giannini ha parlato alla redazione lunedì 11 maggio. Per 45 fitti minuti. Ha chiesto alla redazione impegno ed entusiasmo: “Voglio tre siluri al giorno!”. Nel senso di notizie che fanno male alla concorrenza.
Per il resto, le sue intenzione si erano comprese nel corso del primo incontro con il Comitato di redazione. Arrivato alla Stampa da Repubblica, con discrezione ha cominciato a smontare ciò che aveva deciso il suo predecessore Molinari. Troppi turni al mattino, ha detto al cdr: “Il mattino va certamente presidiato, ma non come si sta attuando ora”. La concentrazione del lavoro, secondo Giannini, va rafforzata sul pomeriggio, che richiede più attenzione non solo per il web, ma anche per la produzione e la chiusura dell’edizione di carta.
Una frenata rispetto al “digital first”, promosso da Molinari quattro mesi prima di trasferirsi a Repubblica. Il “digital first” prevedeva più forze a partire dalle prime ore del mattino. Giannini, alla sua prima direzione di un quotidiano, sembra intenzionato a muoversi in un ambito più tradizionale, non voler togliere rilievo alla carta. “Metterò mano all’organizzazione del lavoro”, ha detto. I turni di Molinari prevedono una pausa forzata di un’ora fra l’uno e l’altro, il cdr è molto critico nei confronti di questa scelta e Giannini ha detto che la cosa “andrà corretta al più presto”.
Pochi margini di intervento
Marcia indietro, a quanto pare, anche sui trasferimenti di otto giornalisti (sei donne, due uomini) da Roma a Torino, anche questi decisi in epoca Molinari. Giannini ha lasciato intendere che i trasferimenti non saranno otto, ma di meno: “Occorre avviare una riflessione approfondita perché Roma è una piazza importante dove accadono molte cose da seguire. Non possiamo permetterci di portare via gente”.
Sulle questioni che hanno già toccato dolorosamente le buste paga, con le domeniche retribuite meno di un giorno normale e gli straordinari tagliati, Giannini è stato assai cauto. Il nuovo regime è cominciato prima che Molinari andasse via e il nuovo direttore ha detto: “In questa fase non ho molti margini di intervento”. Frase da interpretare, ma che dovrebbe significare: ci sono dei limiti al cambiamento di decisioni già in attuazione; il direttore più di tanto non può.
basta storie del territorio
E i contenuti del giornale? Meno esteri, un po’ meno atlantismo, meno Medio Oriente. Più politica italiana e più economia, i due campi d’elezione di tutta la carriera di Giannini. Un piccolo spostamento verso sinistra, con l’editoriale del primo maggio affidato allo storico Marco Revelli. Molte interviste.
E, ancora, discontinuità. Chiuso il paginone delle “Sette notizie”, a chiusura del primo sfoglio del giornale, contenente ciò che di ciascun settore era rimasto fuori. E, soprattutto, chiuse le “Storie del territorio”, fortemente volute e poi difese da Molinari: una pagina di racconti di piccole realtà del Piemonte, della Val d’Aosta, della Liguria, con richiami fissi in prima pagina.
Collaboratori? Molte condivisioni con Repubblica, come lo psicoanalista anchorman tv Massimo Recalcati, e poi Alessandro De Nicola, Chiara Saraceno, Lucio Caracciolo, a sottolineare la sinergia sempre più forte fra i due quotidiani di proprietà del gruppo Gedi, con John Elkann azionista di maggioranza. Il cdr di Repubblica ha protestato, ma Molinari ha fatto presente di essere stato nominato da Elkann direttore editoriale di tutte le testate del gruppo. Ha deciso lui e così va bene, insomma.
(nella foto, Massimo Giannini, quando era a Repubblica)