Tornare in redazione, con prudenza e mascherine, per rilanciare il proprio giornalismo. Ci sarà tempo per analizzare se e come sfruttare in futuro lo smart working. Ora sono tante le ragioni perché i giornalisti riprendano i propri posti di lavoro. E’ tempo di riflettere tutti insieme sulla crisi, aggravata dalla evidente volontà degli editori di assottigliare i corpi redazionali, a scapito di un’informazione già precarizzata e svilita e dalla loro scarsa capacità di fare impresa. Ma c’è una seconda ragione. Quella di ripensare a come abbiamo dato le notizie sul Covid 19, alle modalità con cui la pandemia è stata affrontata dai mass media. Mai in epoca moderna era stato raccontato un evento così terribile. Il virus ci ha trovati tutti impreparati, i cittadini, gli amministratori e soprattutto le strutture sanitarie, che ci avrebbero dovuto proteggere e hanno fronteggiato la pandemia solo grazie al coraggio e all’abnegazione di medici e infermieri.
Numeri e contraddizioni
Anche il mondo della comunicazione si è trovato alle prese con un simile nemico, pericoloso, mortale e anche non facile da raccontare e spiegare. Come ha risposto il giornalismo al dilagare del virus? Quali e quante notizie sono state date: veritiere, sufficienti, professionali? Oppure approssimative e superficiali? Nessuno aveva regole da applicare. Alla pandemia si è risposto con il buon senso e, anche nel nostro campo, con la serietà di moltissimi operatori. Meriterebbe una citazione personale ciascuno di quei colleghi che hanno trasmesso, ora dopo ora, i bollettini che arrivavano dalle corsie collassate, dalle terapie intensive intasate, dai cimiteri che affidavano ai camion militari le bare che non riuscivano a contenere e a sotterrare. Cronisti meravigliosi, che hanno rischiato di persona e hanno dimostrato quanto il giornalismo possa essere inteso come funzione civica intensa, preziosa, indispensabile ad una democrazia liberale, mentre quelle autoritarie ancora cercano di soffocare e inquinare le notizie.
C’è stata una questione di qualità. Perfino i virologi erano in contraddizione fra loro; perfino dal fatidico appuntamento con la Protezione civile (tutti i pomeriggi alle 18!) venivano numeri difficili da soppesare; perfino il Governo sfornava decreti e dichiarazioni da prendere con le pinze. In simili condizioni non è stato facile dare messaggi professionali, mettere in guardia i cittadini e al contempo fornire loro indicazioni e, se possibile, certezze. Si ponevano questioni di linguaggio, di toni, di opportunità, davanti alla tragedia, alla paura, ai limiti che venivano imposti alla nostra libertà.
le storie scomparse
Ma c’è stata anche una questione di quantità. In alcuni casi – detto a posteriori certo è facile – l’errore commesso è innegabile. Il Covid ha sommerso ogni altro evento: scomparsi i naufraghi, la Libia, le bugie di Trump, la Brexit di Johnson, l’omicidio di Giulio Regeni, i femminicidi, le mafie, gli evasori fiscali. E l’eccesso di Covid ha avuto conseguenze pesanti. Gli psicologi dicono che l’Italia in questi mesi si è riempita di gente in apprensione, stressata, fuori equilibrio; spiegano che gran parte di queste sofferenze mentali sono state causate da un’eccessiva esposizione al cannoneggiamento di notizie sul virus. Depressione, paura, panico, ancora difficili da smaltire. Gli italiani si nutrono soprattutto di tv e proprio i dirigenti dei canali televisivi dovrebbero esaminare il lavoro fatto. Non solo i telegiornali erano quasi esclusivamente dedicati al Covid ma anche le reti non parlavano d’altro. Le trasmissioni di intrattenimento, quelle che avrebbero potuto aiutare a ridare fiducia e serenità, almeno in parte, insistevano sul virus. Spesso con una tecnica non giornalistica, cioè trattando le informazioni sul virus come normali argomenti di conversazione Almeno il servizio pubblico della Rai avrebbe potuto separare più nettamente i diversi ruoli e momenti della programmazione, lasciando ai telegiornali (e magari a Rai News 24 ancora relegata su un canale secondario) il compito di fornire le notizie sul Covid. Invece, ogni contenitore, mattina e pomeriggio, ha posto quesiti, ha fatto interviste, collegamenti più o meno utili. Il virus era dappertutto. Così è cresciuto il clima di preoccupazione: poche notizie sono un problema, troppe ne creano un altro.
Il virus purtroppo è ancora qui. I rischi sono ancora molti. L’esperienza di questi quattro mesi deve aiutare, per crescere e non ripetere gli errori commessi. In tre grandi quotidiani, in queste settimane, sono cambiati i direttori (Repubblica, la Stampa, il Messaggero). La Rai sembra ingessata dai quoi equilibrismi politici. Stupisce che il dibattito su come affrontare il Covid finora nessuno lo abbia aperto. Devono farlo i redattori. Perciò rientrino e battano un colpo.