di FRANCESCO FACCHINI
Lo scenario è chiaro. Il giornalismo sta cambiando, i giornalisti devono cambiare di conseguenza. Nel mercato del lavoro che si sta creando in questo momento ci sono due tendenze molto nette che devono essere seguite adeguatamente dai protagonisti di questo mestiere. La prima è legata all’evoluzione della tecnologia con la quale si producono le notizie. I cambiamenti del tipo di contenuto offerto al pubblico, delle piattaforme di pubblicazione, degli hardware e dei software, insomma, di tutti i flussi di produzione della notizia hanno decretato la fine di alcune figure professionali del mondo giornalistico e l’emergere di nuove figure professionali e la morte di altre. Per dirla in modo spiccio: è morto il dimafonista ed è nato il data journalist. E potrei fare molti altri esempi…
La seconda tendenza, però, è di gran lunga più importante ed è figlia del cambiamento del rapporto tra giornalisti ed editori. Di cosa sto parlando? Della trasformazione della popolazione di giornalisti in freelance e dell’esternalizzazione di una grande parte del lavoro legato alla realizzazione dei prodotti editoriali rispetto alla centralità delle redazioni e dei redattori. In strada a caccia di notizie ci sono più collaboratori che professionisti e la cosa fa un gran piacere agli editori (vista la differenza di costo e di trattamento). In questo mercato così frammentato, atomizzato, sminuzzato, i giornalisti sono stati messi in condizione di inferiorità dai loro datori di lavoro a causa di tagli unilaterali dei compensi e di un rapporto malato tra la committenza e l’esecutore di quell’opera dell’ingegno che è poi la produzione di un contenuto giornalistico.
I giornalisti devono impegnarsi in un sostanziale cambiamento per riequilibrare questo rapporto con chi dà loro da lavorare e lo devono fare in modo strutturale. Molti di questi cambiamenti dovrebbero essere diretti dalle istituzioni della nostra professione, ma c’è una cosa che i giornalisti possono fare subito. Quale? Cambiare la gestione della propria carriera in senso auto-imprenditoriale per valorizzare la propria unicità professionale, per creare una propria modalità di vendita del contenuto prodotto e per dotarsi degli strumenti fiscali, amministrativi e finanziari adatti a diventare attori protagonisti nel mercato e non degli schiavi della notizia.
sotto 20mila euro
Rapporti dell’Agcom datati 2017 parlano dei giornalisti come di una categoria che ha una media di reddito annuo sotto i 20 mila euro. I dati sono in ulteriore vertiginosa discesa. Con il giornalismo, oggi, in Italia, non si vive. Per questo pensare all’iniziativa personale, naturalmente corredata da un corretto business model figlio diretto di un’idea imprenditoriale vincente, vuol dire pensare a un modo efficace di rilanciare la propria carriera. Forse l’unico modo.
Vendere contenuti è un lavoro attuale e moderno, mai come adesso. Lo dico perché la moltiplicazione delle tipologie di media, il web, gli smartphone, le prossime generazioni di connessione cellulare stanno creando un mondo iperconnesso, nel quale la necessità di contenuti è sempre crescente e tende a infinito. Oltretutto sta arrivando l’Intelligenza Artificiale la quale sarà un ingrediente determinante per nuovi modelli di media e nuove professionalità del giornalismo. In questo panorama utilizzare la cultura e le dinamiche dell’imprenditore per pensare al percorso di una carriera nel giornalismo è un futuro possibile. Per molti.
un brand personale
Il passato ci ha lasciato giornalisti “brand” solo per l’effetto combinato della professionalità del singolo sommata a quello del medium nel quale lavorava. Oggi tutti i giornalisti possono avere un brand personale frutto di un progetto e di un lavoro che crei interesse attorno alla loro figura. Possono nascere quelli che il professor Anthony Adornato di Ithaca College, nel suo Mobile and social media journalism, libro di straordinaria ispirazione per chi voglia fare il giornalista oggi, chiama “to go journalist”. Sto discettando del fatto che, per ogni argomento, un giornalista che sappia essere imprenditore di se stesso può diventare un punto di riferimento diretto per chi voglia informarsi su quel determinato campo d’azione. Ogni giornalista può diventare medium e crearsi una struttura, fatta dai propri canali social e dal proprio sito professionale, in grado di sostituirsi a un mezzo di comunicazione proponendo i propri contenuti direttamente al pubblico.
Per essere chiari i giornalisti possono disintermediare il passaggio dell’editore e andare direttamente al lettore o allo spettatore, grazie ai siti di ultima generazione, ormai capaci di ospitare qualsiasi tipi di documento. Se sono bravi a scegliersi un argomento di elezione e a costruire un piano editoriale multimediale in grado di farli conoscere a un pubblico vasto (ma non vastissimo, non servono grandi numeri per farsi uno stipendio), allora i giornalisti imprenditori potranno imporsi sul mercato ottenendo due effetti. Il primo è che torneranno a essere dipendenti dai loro veri padroni, i lettori. Il secondo è che potranno creare un tale battage di interesse da attirare media tradizionali, invogliandoli a chiedere i loro contenuti o ad acquisirli, se non altro per non farli rimanere sul mercato.
Diventare giornalisti imprenditori può essere un modo per ribaltare a proprio favore le difficoltà della precarietà. D’altronde è talmente antieconomico stare sul mercato del lavoro giornalistico in un modo classico (cercando testate con cui collaborare) che è meglio investire i propri soldi creando un proprio brand personale, il quale nel tempo ci resterà addosso come un vestito, piuttosto che lavorare in perdita per qualcuno che ci chiede di smazzare le solite 30 righe sulla notizietta del giorno.
Io sono da tempo su questa strada, affrontata con enormi difficoltà e con scarsissime risorse. I risultati economici avuti sono stati e sono in lenta e costante crescita e mi hanno portato al risultato più importante. Ho creato con le mie mani, come un muratore che costruisce da solo una casa per la propria famiglia in ogni minuto di tempo libero che ha dal cantiere dove lavora, una piattaforma digitale di vendita di contenuti giornalistici e di servizi di consulenza, formazione e produzione contenuti per terzi.
Si chiama Algoritmo Umano ed è il laboratorio sperimentale della mia nuova figura professionale. Con Algoritmo Umano sono diventato editore di me stesso perché, chiedendo piccole sottoscrizioni, offro i miei contenuti giornalistici ed editoriali, di taglio breve e lungo e di carattere multimediale, direttamente a chi li acquista. Con questo sito, più punto di incontro che semplice medium, ho anche implementato una piattaforma di pagamenti per i miei prodotti e i miei servizi. Chi mi vuole mi contatta, mi paga e riceve da me i contenuti. Come succede per un idraulico, per un negoziante o per un ristoratore. Vuoi un tubo aggiustato, un paio di scarpe o una buona carbonara? Paghi subito. Vuoi dei contenuti? Paghi subito.
La strada è impervia e passa da un cambiamento enorme di cultura. Però deve passare che la professionalità del giornalista è determinante per il nostro presente e il nostro futuro. Con giornalisti imprenditori di se stessi avremo più forza contrattuale davanti agli editori e al pubblico. Imboccare il cammino dell’auto-imprenditorialità è imboccare un cammino di cambiamento totale, ma è anche l’unica strada percorribile per avere un futuro. Il mondo ha bisogno di giornalisti, noi abbiamo bisogno di un domani. Io ho capito che c’è. E tu?