di ANDREA GARIBALDI
Domenica 4 ottobre, giorno di San Francesco d’Assisi, nessuna notizia sull’alluvione che ha piegato il Piemonte nei due giorni precedenti.
Ma lunedì 5 l’apertura è questa: “Usiamo i fondi Ue per fermare la crisi dell’acqua”. Occhiello: “Siccità e alluvioni”.
Lunedì 5 ottobre, San Placido, protettore dei naufraghi, nessuna notizia sulla partita Juventus-Napoli, rinviata con cataste di polemiche.
Ma il giorno dopo, martedì 6, a pagina 6, la spalla dice: “Hanno tutti ragione. Il caos di Juve-Napoli è colpa è della Lega A”.
Venerdì 9 ottobre, nessuna notizia sui due italiani liberati in Mali dopo un sequestro di molti mesi. E nessuna notizia sul premio Nobel per la letteratura assegnato a una illustre e sconosciuta (ai più) poetessa di New York.
E’ vero, alcune delle notizie mai stampate su carta sono finite sul sito web di Domani. Ma almeno un filo sottile dovrebbe legare le due edizioni del giornale.
formula strana
Domani, in edicola e sul web dal 15 settembre, è uno strano quotidiano. E qui la parola strano significa diverso da tutti gli altri giornali. Diverso anche da ciò che sembrerebbero i dominatori del momento, nel campo dell’informazione. L’immagine. La velocità.
Abbiamo analizzato sette giorni di Domani, dal 4 al 10 ottobre, da una domenica a un sabato. Tenendo conto che un giornale è creatura viva, in continua, netta oppure impercettibile mutazione.
Prime riflessioni alla fine del settimo giorno: Domani non è un’alternativa a Repubblica. Non pare, come era stato annunciato dal suo ideatore e promotore, Carlo De Benedetti, la nuova casa per i lettori traditi da Repubblica, invasa da John Elkann e Maurizio Molinari, traditori della lezione liberale e azionista di Eugenio Scalfari. Non può essere l’alternativa a Repubblica perché è strano.
Il notiziario è fatto di scelte tagliate col coltello, che lasciano fuori parti rilevanti della realtà.
La titolazione ha un forte understatement, non colpisce mai il lettore al petto, lo carezza, talvolta lo seda.
I pezzi sono straordinariamente lunghi e privi di intervalli grafici che facilitino e vivacizzino la lettura. Ogni pagina ha in media solo due pezzi.
La politica è poca, la politica giudiziaria è tanta.
semiologi e sinologi
Domani è composto da sedici pagine. A pagina otto (ma certi giorni a pagina sette) parte la sezione Analisi, che poi si trasforma nella sezione Idee e va avanti fino alla fine. Qui scrivono giuristi, matematici, scrittori, semiologi, filosofi, politologi, linguisti, psicologi, sociologi e sinologi. Alcuni sono nomi importanti e molto noti, come Piergiorgio Odifreddi, l’ex ministro Vincenzo Visco, l’americanista Sandro Portelli.
Il progetto, molto particolare, appare questo: riflessioni anche nella prima parte chiamata Fatti; alcune notizie che possono non essere quelle su cui puntano i concorrenti, molta saggistica. La carta come luogo di pensiero e approfondimento del reale. A questo fa fronte un web pieno zeppo di informazioni? Non ancora. Il web ha molto materiale identico alla carta e qualche notizia che la carta trascura.
Vediamo alcuni dettagli di giornata.
Domenica -lo abbiamo detto- manca l’alluvione, ma una delle firme di Domani, Emiliano Fittipaldi (ex Espresso) ha, su un’intera pagina, la notizia degli errori del sostituto della Segreteria di Stato Edgar Pena Parra, nell’ultimo scandalo vaticano. Un’altra pagina è dedicata agli affari fra Genoa e Juventus intrecciati al nome del difensore argentino Romero. Trump col Covid è sia a pagina 3 con due pezzi, sia fra le notizie in breve di pagina 5.
Lunedì 5 si ritorna sull’alluvione mancata il giorno prima con l’appello ad usare i fondi Ue. A pagina 4, due interessanti colonne di dati di vario genere (quante chiamate al numero verde sulla pandemia, numero di parole per descrivere le tasse nei differenti Paesi). Pagina 5, si parla di Renzi, prendendo spunto da un’intervista a Repubblica (la rivale!) del giorno prima. Pagina 7, un’inchiesta finanziata dai lettori sugli allevamenti delle mucche, lo sfruttamento e l’inquinamento. Poi, le analisi, compresa quella di Francesco Ramella, ingegnere e di Luca Beverina, chimico. E le fake news sul Covid, analizzate da Fabio Vassallo, “autore”. Che qualifica è?
il fenomeno incel
Martedì Domani apre con una notizia sua. I Cinque stelle vogliono sostituire Casaleggio con un gruppo di hacker. Quindi, fondi Ue per l’alluvione e Juve-Napoli, ventiquattr’ore dopo.
Mercoledì la prima pagina è costruita con un lungo articolo sui pericoli che corre di nuovo la Lombardia col Covid e un fogliettone sul potere dell’emergenza della filosofia Giorgia Serughetti.
Giovedì il numero contiene parecchie notizie. L’altro ex dell’Espresso, Giovanni Tizian, entra sull’inchiesta giudiziaria sulla Lega, raccontando mezzo milione di soldi pubblici ai commercialisti del partito e al regista della trattativa con i russi. A pagina 5 un sondaggio su cosa vogliono gli elettori M5 e Lega. Al fianco, la notizia che Toti e Carfagna vogliono creare una nuova area moderata (l’aveva scritto la rivale Repubblica il giorno prima). Fra le analisi un interessante pagina sull’autore del delitto di Lecce (vittime l’arbitro De Santis e la fidanzata) diventato idolo degli incel (involuntary celibate, celibi involontari), fenomeno da indagare.
Venerdì pagina 4 è occupata da un unico pezzo titolato così: “Cosa succede al calcio italiano se arriva un nuovo lockdown?”. Titolo con punto interrogativo, che da tre decenni nelle redazioni si dice non si debba fare: è il lettore che fa domande a noi, non noi a lui. A pagina 7 la notizia che alcuni fondi per i risarcimenti dopo il crollo del Ponte Morandi sono finiti all’azienda dei rifiuti di Genova.
Sabato il punto interrogativo apre la prima pagina: “Non eravamo i migliori d’Europa a gestire il virus?”. Dentro, notizie: i conti sempre peggio dell’Alitalia; il flop di Mediapro, che gestiva i diritti del calcio francese; il governo spaccato su Autostrade, fra pro-Benetton e contro Benetton; la Regione Lazio di Zingaretti che approva un progetto edilizio caro al Vaticano e a monsignor Carlino, indagato in Vaticano nell’inchiesta su monsignor Becciu. A proposito di Vaticano, Fittipaldi intervista Giuseppe Milanese, uno dei protagonisti dello scandalo Becciu e anche la rivale Repubblica intervista Milanese.
Prodotto spiazzante. Se oggi prendessimo in mano le prime settimane di Repubblica (1976) non la riconosceremmo: il nuovo giornale non funzionava, era troppo elitario, distaccato. Pian piano si è trasformato, si è aggiustato mediando fra la sua formula e le esigenze dei suoi nuovi lettori. Fino a diventare primo (ora non più). I giornali sono creature vive. Domani costa un euro e le copie accreditate al momento sarebbero 15mila al giorno, risultato non male.
(nella foto, Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian)
Analisi spietata, ma documentata e avvincente.Una vera lezione di giornalismo, utile anche per molti colleghi arruffoni copia/incolla.Complimenti ad Andrea, che si avvio’ alla professione al Messaggero col grande Silvano Rizza e col sottoscritto, caposervizio, che lo sollecitava a farsi avanti per entrare da collaboratore nel gabbiotto del capo con il pezzo da sottoporgli .
grazie alberto, ho sempre un ricordo grande di quegli anni.
Commento condivisibile, anche se traboccante di aggettivi encomiastici: spietata… avvincente… vera… grande… a me sembra semplicemente una buona analisi fatta da un giornalista idoneo al suo ruolo.
Su quanto poi la “lezione di giornalismo” possa essere utile ai colleghi arruffoni ho forti dubbi. Se uno fa d’abitudine i “copia/incolla” non credo che leggere qualcosa di valido gli faccia cambiare approccio:
– alcuni non ci riuscirebbero per inidoneità intrinseca
– per altri sarebbe utile penalizzare editori & co che li inducono a farli ricavandone vantaggi, ma temo che sia impossibile data la platea di lettori sempre più costituita da gente che apprezza l’usa-e-getta, nella fattispecie il leggi-e-dimentica
domani lo leggo
grazie luigi