di ALBERTO FERRIGOLO

Cosa ha significato in passato “raccontare la politica”? Sui giornali, soprattutto. Ma anche in tv, tra “pastoni politici” e “veline”. Quella di Orefice, notista del Tg1, ma anche quella “rossa” di Pasquale Laurito, cronista dei segreti di Botteghe Oscure, il mitico palazzo del Pci. Qual è invece il senso del narrare la politica al tempo dei talk show e dei social? E, soprattutto, ha ancora senso la funzione mediatrice del cronista politico, del “notista” oppure, nella stagione della comunicazione fai-da-te, il politico è esso stesso il messaggio, alla stregua di un medium qualsiasi, come teorizzato a suo tempo dal professor Marshall McLuhan? E così è proprio la disintermediazione oggi a far da padrona? Tra folle di portavoce, spin doctor, uffici stampa, dirette Facebook o messaggi Twitter assistiamo al tripudio del politico in prima persona nella Babele delle dichiarazioni, da inseguire e subito rilanciare.

Dunque, cosa è accaduto dai tempi del “pastone” alla stagione dei “retroscena”, dove le virgolette sono tutta l’essenza, ma riassumono più spesso dichiarazioni e pensieri saputi “de relato” e, quindi, non certificati? Insomma, com’è cambiato il giornalismo politico in Italia ma anche nel mondo in mezzo secolo di storia?

Camus e la verita’

Se lo è chiesto per mesi la rivista online ytali., fondata da Guido Moltedo (lunga stagione alla nota politica de il manifesto, altrettanta esperienza di politica estera, una sicura specializzazione per gli Stati Uniti), attraverso tredici interviste a specialisti dell’osservazione politica quotidiana, al tempo stesso cronisti scrupolosi, opinionisti attenti e disincantati. Interviste, curate da Matteo Angeli e Marco Michieli, ora raccolte in un volume edito dalla stessa rivista. Parlano professionisti come Lucia Annunziata, Nino Bertoloni Meli, Marco Di Fonzo, Giorgio Frasca Polara, Fabio Martini, Maria Teresa Meli, Stefano Menichini, Augusto Minzolini, Nico Perrone, Gianni Riotta, Alessandra Sardoni, Barbara Tebaldi, Alda Vanzan. Prefazione del direttore Moltedo e postfazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Andrea Martella, che conclude con una citazione da Albert Camus quando scriveva che “un giornale indipendente indica la fonte delle sue informazioni, aiuta il pubblico a vagliarle, ripudia il lavaggio del cervello, evita le invettive, sopperisce con dei commenti all’uniformazione delle informazioni e, in breve, serve la verità nell’umana misura delle sue forze”. Già, la verità. Ma dove risiede la verità? Di quali ingredienti è composta? Ed è sempre e solo nel mezzo? 

Ma è questa la situazione dell’informazione oggi? Tutta bianco e nero, divaricata, estremizzata, contundente, anche partigiana, specie nella stagione in cui, dopo l’introduzione del sistema maggioritario, la politica s’è polarizzata a tal punto che tutti i media ne sono stati attratti tanto da diventare quasi degli “organi di partito”, centri di tifoseria accanita? C’è un sottile fil rouge che lega queste interviste e che si può riassumere come la supremazia della comunicazione sul giornalismo politico, sostituendosi quasi del tutto ad esso. Il quadro che emerge in “Raccontare la politica”, dalla viva voce dei protagonisti, non è molto edificante. Di seguito, alcune pillole da noi arbitrariamente scelte. 

Le strade e il cibo

I giornalisti sono una categoria in crisi. Non ci sono più le grandi strutture, i grandi gruppi editoriali sono in crisi, la separazione tra essere giornalista e un mondo in cui tutti scrivono è diventata sempre più esile. (…) Oggi Facebook è la stessa cosa delle cassette di Berlusconi. Abbiamo accettato che i politici vadano su Facebook per raccontare cosa mangiano o dove vanno. Abbiamo accettato che i politici non debbano più sottoporsi alle domande dei giornalisti”. (Lucia Annunziata)

Oggi, molto spesso, si parla dei giornalisti in relazione alla creazione di contenuti falsi, le famose fake news. È vero che la pubblicazione di sussurri e frasi anonime sono pericolosi e penso sia un errore commesso da parte di chi scrive queste cose. Però oggi chi crea soprattutto le fake news sono i politici e i partiti politici. Mi pare un passaggio rilevante per il nostro sistema politico. Spesso oggi l’intervista ti è negata ed è stata sostituita dagli strumenti che le nuove tecnologie mettono a disposizione: sms, Whatsapp, Facebook, Twitter. Le dichiarazioni vengono fatte attraverso questi mezzi impersonali e immediati, che in effetti costringono i giornalisti a inseguire la notizia”. (Giorgio Frasca Polara)

 

Per chi ritiene che l’informazione debba essere il più indipendente possibile dai vari poteri, Tangentopoli è stata solo in parte una stagione di liberazione. (…) Gran parte della stampa era di proprietà di imprenditori che erano indagati”.

Complessivamente la sensazione è che in Italia il sistema informativo resti dentro il sistema. (…) Stiamo vivendo una stagione nella quale sono tutti deboli, sia a livello di sistema informativo sia a livello di classe politica. (…) Molte sono infatti le forme di consociazione clamorose: tra giornalisti giudiziari e magistrati, tra giornalisti che si occupano di spettacolo e registi importanti, tra giornalisti economici e imprenditori e, soprattutto, tra stampa politica e politici”.

Con l’acquisizione da parte della Fca del gruppo Espresso, siamo tornati alla prevalenza degli editori “impuri” (Fabio Martini)

terrore della smentita

Quando cominciai questo lavoro le interviste si ‘rubavano’: non prendevamo nemmeno appunti per non far capire all’intervistato di essere, appunto, intervistato. Era una chiacchierata e, una volta terminata, ci si appartava con carta e penna e si scriveva tutto quello che era stato detto. (…) Però siamo passati da queste forme di intervista all’approvazione di Casalino. I giornalisti purtroppo accettano questo nuovo modo di operare, diventando una sorta di ‘buca delle lettere’ della politica italiana. E temo che oggi sia molto difficile tornare indietro”.

L’uso dei virgolettati è una pratica molto italiana, senza dubbio. (…) Oggi non esiste l’attribuzione del virgolettato a un politico in particolare, che poteva poi anche smentire. (…) Un virgolettato che non è attribuibile a nessuno. E quel che è peggio è che non sono soltanto i giornali a farne uso. Le agenzie di stampa, che sono la prima fonte di informazione per i giornali, utilizzano sempre più di frequente i virgolettati anonimi. Se avessi riportato dei virgolettati anonimi, quando ho cominciato questo mestiere, sarebbero stati i miei stessi capi a rifiutarsi di pubblicare il pezzo”.

“C’è meno professionalità dei giornalisti, in primo luogo. C’è, poi, minore autorevolezza e minore forza dei giornali. Qualche tempo fa, se un direttore avesse ricevuto una smentita per un virgolettato, quel direttore l’avrebbe considerata come una medaglia d’onore, perché significava che era riuscito a mettere in difficoltà il politico di turno. Oggi c’è invece una sorta di terrore della smentita. E che cosa può tutelare il giornalista dalla smentita ufficiale? Il virgolettato anonimo. Questa perdita di potere del giornalismo è legata anche alle minori vendite della carta stampata e alla comparsa dei nuovi media: siamo passati da un’epoca in cui i giornali facevano l’opinione pubblica e i leader li ricercavano a un’epoca completamente differente”.

Il retroscena influenza la vita politica italiana, soprattutto quando i politici sanno che chi scrive quei retroscena ha abitualmente buone fonti e riporta dei fatti veri. Succede anche l’inverso. Accade sicuramente che un politico utilizzi il giornalista e il retroscena per propri fini. Però qui conta la capacità del giornalista di rendersi conto di essere usato oppure no. Spesso non è semplice da capire”. (Maria Teresa Meli)

Fenomeni non compresi 

C’erano ovviamente dei grandi leader, ma tutto avveniva dentro dei contesti ben definiti e organizzati: il partito, il governo, il parlamento. Adesso la situazione è molto più spezzettata: la figura del leader prevale sull’organizzazione che lui guida. Fare informazione politica diventa quindi sempre più seguire le svolte caratteriali del singolo leader. Si tratta di un aspetto che già in passato esisteva ma che oggi è diventato preponderante. (…) Adesso i leader, anche quelli di sinistra, tendono invece a inflazionare la propria presenza mediatica, rendendola quotidiana, contraddistinta da grande immediatezza e da un linguaggio molto meno controllato”.

Il giornalismo italiano vive in simbiosi con la politica, con essa condivide sempre responsabilità e colpe. In passato, ad esempio, il giornalismo italiano è stato incapace di leggere in tempo i fenomeni della corruzione o la rottura della fiducia tra i cittadini e la politica, così come è oggi corresponsabile di un in- seguimento alla rappresentazione delle vicende istituzionali e politiche tendenzialmente demolitoria”. (Stefano Menichini)

 

Il digitale ha trasformato la politica in un referendum: ti piace o non ti piace? Sei dentro o sei fuori?

Certo, l’informazione di qualità va difesa strenuamente, perché è proprio il suo venir meno che sta causando il cortocircuito nel rapporto tra politica e informazione. Per farlo, bisogna però innanzitutto riconoscere che essa non coincide con il giornalismo professionale, perché a diffondere le fake news, a fare titoli falsi sono anche tanti colleghi, giornalisti professionisti. I populisti di destra e sinistra che usano la carta stampata e i talk show per diffondere notizie false, sono anch’essi giornalisti con la tessera dell’ordine in tasca e sono anche loro parte del problema. Oggi il giornalista di qualità difendendo l’informazione difende la democrazia, perché, quello che dieci anni fa non si era visto, è che la crisi del giornalismo professionale ha portato alla crisi della democrazia”.

Il mestiere del giornalista è proprio combattere la propaganda. (…) I telegiornali non fanno più l’ascolto che facevano dieci anni fa soprattutto perché, radicalizzandosi, legandosi mani e piedi a una macchina politica, hanno stufato chi non appartiene a quella macchina politica, che preferisce fare a meno di guardarli. (…) In democrazia la propaganda ha tutto il diritto di esistere, ma deve essere identificata e identificabile in quanto tale. Il giornalismo è un’altra cosa: è tentare di capire cosa uno ha in testa, non di celebrarlo o denigrarlo. (Gianni Riotta)

Citare i nomi

Rispetto al passato oggi abbiamo un grande magma. Se prima dovevi decriptare un linguaggio particolare, ora invece devi dare forma al caos. Gli stessi soggetti politici hanno difficoltà a fare ordine, afflitti come sono da mille contraddizioni. C’è una grande contrapposizione con il sovranismo, da un lato, e le altre forze in campo, dall’altro. Il sovranismo usa un lessico immediato, che non lascia spazio a compromessi. Esiste solo il leader carismatico e non c’è spazio per la categoria del dubbio. Sull’altro versante vi è una grande difficoltà ad attrezzarsi di fronte a questo tipo di fenomeno”.

La politica non è matematica ma ci si avvicina. Ci sono cose che uno com- prende, come le forze in campo e le loro strategie razionali. Oggi però i soggetti politici non fanno più queste valutazioni complesse: non c’è una diri- genza all’altezza, sono rari coloro che cercano di fare una mossa riflettendo già a quelle successive, come negli scacchi. Molto spesso è a questo che tu come giornalista devi dare un significato. In alcuni casi puoi addirittura influenzare il corso degli eventi”.

Nel grande mare magnum che è la politica in un sistema parlamentare, il giornalista deve sempre mettere in conto che può essere usato. Secondo me fare ricorso al virgolettato serve a evitare questo rischio. Anche se il mio interlocutore mi dice una cosa che poi si rivela non vera, già nel momento in cui me la dice mi apre un mondo sulle sue intenzioni, sulle logiche che lo muovono. Ma per non essere strumentalizzato, il giornalista deve citare il nome della persona responsabile delle affermazioni”.

Premetto che a me ricordano spesso il mio passato da politico ma si dimenticano degli altri colleghi che hanno fatto lo stesso percorso. (…) Per me l’esperienza politica è nata in modo particolare. (…) Sì, è attrazione. Quest’esperienza mi ha arricchito come giornalista, perché mi ha aiutato a verificare dall’interno cosa succede nella realtà che descrivo da anni, a comprendere meccanismi che prima non avevo colto”. (Augusto Minzolini)

Il rischio maggiore? “Per chi fa il mestiere d’informare – scrive Moltedo nell’introduzione – è, a ben vedere, lo stesso dei tempi del ‘vecchio’ giornalismo politico, quello di un linguaggio gergale, con l’assillo prevalente, anche nell’epoca d’internet, d’influire sui processi decisionali e sui politici più che di fornire dati, argomenti e punti ragionati a un pubblico sempre più vasto. In questo circuito di autoreferenzialità, c’è da chiedersi se i media influenzino davvero (se mai è stato vero…) i processi politici e i destini dei protagonisti della politica”.

Del resto, non manca chi sostiene che, alla fin fine, i giornalisti che si occupano di politica siano solo dei politici mancati. La grande maggioranza, a parte alcuni più fortunati… “La politica è sangue e merda”, disse Rino Formica. Un po’ nel sangue bisogna avercela.

(nella foto, Augusto Minzolini quando era senatore, 2013-2017)

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