Messaggi fra firme, all’interno delle recensioni fra le firme (del giornalismo). Giovedì 5 novembre Michele Serra in un lungo resoconto su Repubblica sul libro di memorie scritto da Gad Lerner (“L’infedele”), fra alcune analisi sulla (in)soddisfazione esistenziale del “mio amico Gad”, scrive: “Volendo nella fitta trama, trovare un filo rosso è il tormentato rapporto dell’autore con il potere, soprattutto il potere economico… Da quel giornalista impuro che sono ho sempre invidiato a Gad la conoscenza profonda degli assetti del potere italiano… Semmai quello che non invidio a Lerner è che uno sguardo troppo ravvicinato al potere economico rischia di ingigantirne l’impatto e le intenzioni. Magari una giusta distanza gli avrebbe permesso di digerire meglio il cambio di proprietà a Repubblica, risparmiandogli le impetuose e dolorose dimissioni. (Non è un cambio di proprietà, è semmai l’inaudita rivoluzione tecnologica in corso a dirigere i destini dell’editoria e di questo nostro mestiere)”.

“non la riconosco più”

Lerner richiamato a Repubblica per una seconda stagione dal direttore Carlo Verdelli andò via tre settimane dopo l’acquisto del giornale da parte della Gedi di John Elkann, con Maurizio Molinari chiamato a sostituire, di colpo, Verdelli. Spiegò: “Repubblica è cambiata. Non la riconosco più”. Si parlò allora di possibili altre uscite di nomi famosi.

Tre settimane dopo l’uscita di Lerner un lettore, Nicola Purgato, scrisse a Serra: “Come nel film di Forman, Jack Nicholson dice al Grande capo: che ci facciamo noi qui, Grande capo? Ecco, che ci fai ancora lì, a Repubblica intendo? Che ci fate tu, Merlo, Augias, De Gregorio, Rampini e aggiungi chi vuoi? Sembrate bei quadri appesi in un’abitazione che non è stata pensata per voi. Quello non è più posto per voi. Siamo in tantissimi a pensarla così. Insieme a Lerner, Deaglio, da qualche altra parte, ricominciate, per favore. Vi seguiremo di sicuro». E Serra, in una lunghissima risposta, argomentò, fra l’altro: “La prima cosa da dire è che ho totale rispetto per la scelta di Lerner e Deaglio. Sono entrambi grandi giornalisti e il primo è, per me, tra gli amici più stretti. La seconda cosa da dire è che pretendo identico rispetto – non un grammo di meno – per chi ha scelto di rimanere in un giornale che considera casa propria, punto di riferimento per un numero di lettori ancora importante nonostante la crisi dell’informazione a pagamento ne assottigli i ranghi mese dopo mese. Quelli che rimangono, dunque. Sto parlando non solo del Fondatore e di Ezio Mauro, direttori dei primi quarant’anni di Repubblica. Ma di tutte le firme storiche (Augias, Aspesi, Valli per citare solo alcuni dei “senatori”) e di quelle raccolte strada facendo, Altan, Baricco, Rumiz, Merlo, Recalcati, Saviano, io stesso e molti altri”.

ferita riaperta

Con Lerner se ne era andato, appunto, anche Enrico Deaglio (stessa matrice giovanile, Lotta continua).

Ora con la recensione su Repubblica sul memoir di Lerner, Serra riapre la ferita.

Va segnalato che uno solo dei nomi citati da Serra fra quelli che rimangono, ha ceduto e ha lasciato anche lui Repubblica, in disaccordo con la linea di politica estera (Medio Oriente in particolare) del direttore Molinari: il 15 ottobre è andato via Bernardo Valli, il principe degli inviati italiani.

Professione Reporter

(nella foto Gad Lerner e Michele Serra)

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