Con l’arrivo un anno fa del nuovo Coronavirus, è arrivata anche la disinformazione. Ci si è trovati allora di fronte a due virus. Il primo, quello che i ricercatori hanno cercato di isolare per studiarne i meccanismi e trovare, così, una soluzione per sabotarlo. Il secondo, quello della cattiva informazione. 

Consapevole dei pericoli della disinformazione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fin da subito cercato un vaccino contro “fake news” e falsi miti nella consapevolezza che, se non smascherati in tempo, avrebbero potuto causare ulteriori danni nella lotta al virus, quello in natura. Nei suoi documenti ufficiali è così comparso il termine “infodemic”, epidemia informativa o infodemia, per indicare quella “sovrabbondanza di informazioni – alcune accurate, altre no – che rendono difficile per le persone trovare, quando ne hanno bisogno, fonti affidabili e una guida sicura”. 

Padre del neologismo è, in realtà, il politologo e giornalista statunitense David J. Rothkopf, che lo lanciò nel 2003 scrivendo dell’epidemia di SARS, scoppiata un anno prima in Cina. Il termine comparve sul Washington Post in un articolo dal titolo “When the Buzz Bites Back”, titolo che qualcuno ha liberamente tradotto come “quando il pettegolezzo ti si ritorce contro”. Nell’articolo Rothkopf spiegò, infatti, cosa lui intendesse per epidemia informativa, tirando in ballo anche squali e terrorismo e puntando il dito contro le moderne tecnologie dell’informazione, accusate di veicolare fatti viziati da paura, speculazione e dicerie: “What exactly do I mean by the ‘infodemic’? A few facts, mixed with fear, speculation and rumor, amplified and relayed swiftly worldwide by modern information technologies, have affected national and international economies, politics and even security in ways that are utterly disproportionate with the root realities. It is a phenomenon we have seen with greater frequency in recent years – not only in our reaction to SARS, for example, but also in our response to terrorism and even to relatively minor occurrences such as shark sightings”.

Il termine è stato rispolverato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità proprio poiché consapevole dell’esposizione giornaliera su scala globale ad una “enorme quantità di informazioni sul Covid-19”, informazioni non tutte “affidabili”. 

Una soluzione trovata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è stata, ad esempio, quella di creare una sezione, continuamente aggiornata, con infografiche sul nuovo coronavirus e falsi miti, spiegando perché un falso mito è tale. Non basta, infatti, veicolare il messaggio “è un falso mito”. Occorre sempre spiegare perché. Interessante è anche un grafico con cui ha provato a spiegare i meccanismi della disinformazione, suggerendo cosa fare per fermarla, abbattendo, così, la sua curva: 

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Sulla scia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità anche i vari ministeri della Salute hanno creato, facilmente frubili dai cittadini, sezioni su bufale e disinformazione. Senza tuttavia dimenticare come fonti di disinformazione siano stati capi di Stato, con impatto devastante sulla cittadinanza: parliamo dell’allora presidente Usa Donald Trump e di Jair Bolsonaro, attuale presidente del Brasile. 

Un classico esempio di disinformazione sul virus è stato quello sul 5G, con le antenne considerate la “longa manus” di un complotto mondiale per diffondere il virus, minacciando, così, la salute dei cittadini. Una bufala veicolata via social e via Whatsapp, in particolare con video dove oscuri personaggi, per ingannare gli utenti, hanno usato il solito trucco, battendo, cioè, sul tasto della verosomiglianza, questo perché la verosomiglianza è l’arma privilegiata di chi diffonde contenuti ingannevoli per renderli credibili. Un trucco utilizzato per monetizzare, trascinando gli ignari utenti verso i loro blog. 

E siamo all’arrivo dei vaccini. Un argomento molto amato dai no vax, impazienti d’irrompere nuovamente sulla scena dopo aver discettato di antenne 5G collegate al virus, di microchip sottopelle – tutt’uno con le antenne – con cui iniettare il virus e poter controllare il genere umano. Argomento molto in voga tra i no vax è anche quello che collega il vaccino a Bill Gates – accusato anche della diffusione del virus – e alle multinazionali farmaceutiche, pronte ad arricchirsi speculando sulle disgrazie. Variante sul tema è: il vaccino è pericoloso e poi non serve perché non c’è nessun virus, perché farci allora vaccinare tutti quanti? O ancora: il vaccino è pericoloso perché può iniettare il virus e ucciderci tutti quanti, dopo aver fatto arricchire le case farmaceutiche amiche di Bill Gates. 

La pericolosità del vaccino contro il nuovo Coronavirus è, infatti, il nuovo must dei no vax. Perché diciamo questo? Diciamo questo perché il giornalismo, anche italiano, sembra essere caduto nel tranello. È capitato, ad esempio, che si siano verificati casi di positività al virus dopo la prima somministrazione. Era una notizia? No, non lo era, semplicemente perché non c’è alcuna correlazione tra vaccino e positività al virus, questo perché l’immunità si acquisisce dopo due somministrazioni. Chi si è vaccinato una prima volta ed è risultato positivo poteva, infatti, essere positivo già da prima – il vaccino non uccide il virus, rende solo immuni – oppure positivo lo è diventato subito dopo per non essersi protetto grazie a guanti, mascherine, gel, distanziamento. Ciononostante è stata tutta una girandola di titoli del tipo “positivo dopo il vaccino, il caso di un medico ”, “donna si vaccina contro il virus, positiva dopo il vaccino”, “prima dose di vaccino, venti contagiati”. Perché allora spacciare per notizia ciò che non lo è? Si possono fare due ipotesi: chi confeziona o ordina certi articoli crede in quel che dice? Secondo: è un tentativo, conoscendo la grande platea dei no vax, per far crescere l’audience o incrementare le vendite delle copie in edicola, confermando in tal modo i loro pregiudizi? 

stefy.carnemolla@gmail.com

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