Che succede al giornalismo nel 2021? Dimentichiamo per un attimo il novecentesco scalone di via Solferino, con le foto in bianco e nero di tutti i direttori del Corriere. Lasciamo da parte le pene per i cambi di linea a Repubblica. Guardiamo il mondo più avanzato, attraverso le predizioni e le tendenze studiate dal Reuters Institute, che ha intervistato 234 editori, giornalisti, manager di 43 Paesi.
Numero uno, il 2021 sarà un anno difficile per gli editori che dipendono dalla carta. O che, nel digitale, dipendono dalla pubblicità. Sarà invece l’anno di chi punta sugli abbonamenti dei lettori e anche (terreno denso di critiche e polemiche) sul commercio digitale, mescolato ad arte con l’informazione.
Numero due -è già successo nel 2020- ma continuerà: i ricavi digitali nelle aziende di informazione saranno, in molti casi, più alti dei ricavi legati alla carta.
Numero tre, le cattive notizie veicolate dai social, secondo il 68 per cento degli intervistati, hanno rafforzato il giornalismo di qualità. Quindi, sarà sempre più netta la separazione fra i mezzi di informazione e la massa delle informazioni (presunte) che si trovano su internet.
Quattro, tornano le relazioni face to face (di persona), tornano gli eventi dal vivo (questa è una speranza, un auspicio, più che una previsone). Quindi, i giornalisti riprendono a uscire da uffici e case, con un compito preciso e diverso da prima: ascoltare e servire le comunità di lettori. “La disponibilità a pagare per le notizie non esiste -afferma Lea Korsgaard, caporedattore della media company danese Zetland- ma la disponibilità a pagare per le notizie spiegate da persone che mi piacciono e con cui sento una connessione e un senso di appartenenza, esiste”.
Cinque, le grandi piattaforme – anche per tenere lontani i progetti (le minacce, direbbero loro) di regolazione- aumenteranno gli interventi contro i contenuti dannosi e inaffidabili e anche i finanziamenti a favore delle aziende di news.
Numero sei, arrivano e si consolidano una serie di nuovi formati e nuovi strumenti per diffondere notizie e approfondimenti: podcast audio, visual stories, newsletter, smartwatch, apparecchi da fitness. Più la temuta e ammirata Intelligenza artificiale.
Tutto molto interessante, molto affascinante. Con un pericolo annidato dietro ogni angolo: che le innovazioni migliori, più efficaci e più redditizie diventino un vantaggio (ulteriore) per i grandi giocatori e facciano scomparire sempre più i piccoli.
Vediamo qualche dettaglio.
VOGLIA DI ABBONAMENTI
Il mondo dell’informazione è quello che nel 2020 ha ottenuto il secondo miglior risultato di sottoscrizioni (abbonamenti) del pubblico. Viene subito dopo il settore del video streaming dei padroni della fantasia, vale a dire nientemeno che Disney+, Netflix e Amazon Prime. Il New York Times, nel 2020, ha guadagnato più di un milione di nuovi sottoscrittori per le edizioni digitali, il Guardian è arrivato a quota un milione. Effetto-Covid, ma non dovrebbe arrestarsi. Il Washington Post pianifica 150 assunzioni quest’anno, raggiungendo quota 1000 persone, nella sua Newsroom.
Tre quarti degli editori intervistati puntano sulle edizioni digitali e poiché la pubblicità digitale sta finendo in gran parte nelle mani di Google, di Facebook e ora anche di Amazon, puntano sugli abbonamenti per queste edizioni. Ma non solo. Puntano anche su altre fonti di finanziamento. Per esempio, vendere abbonamenti per musica, intrattenimento, apprendimento, fino al fitness, ai fiori e al cibo. Oppure, organizzare eventi online, come concerti, sfilate di moda, dibattiti. The Economist ha raccolto 27mila lettori abbonati davanti a un’intervista con Bill Gates.
NEWS E COMMERCIO
Per finanziarsi, ci sono poi forme nuove di pubblicità che vanno a mescolarsi con il giornalismo. Con tutti i pericoli di confusione che ciò comporta.
In tempi di Covid la grande espansione riguarda l’e-commerce, così il New York Times ha varato Wirecutter, il New York Magazine ha messo in rete The Strategist e The Indipendent Vox Media e Indy Best, tutti siti di “consigli per gli acquisti”, di prodotti che appaiono in qualche modo “garantiti” dalle illustri testate. Oltre a vendere, questi siti hanno la funzione di collezionare dati sulle preferenze e i gusti dei lettori (o clienti).
Alcune testate fanno un passo più avanti. Buzzfeed, che è un sito di news, gossip, quiz, ricette, ha creato una linea di prodotti con il suo nome (brand). Fra questi, si trovano anche sex toys.
PIU’ SCIENZA MENO POLITICA
Nonostante tutte le difficoltà del settore, la fiducia nel giornalismo cresce. Nel 2019 veniva manifestata dal 46 per cento degli intervistati, è salita al 53 per cento. Nell’era del Covid i media hanno saputo attrezzarsi, hanno arruolato esperti, elaborato dati, visualizzato le informazioni, investigato sui comportamenti dei governi, passato al setaccio le campagne anti-vaccini. Il “Coronavirus Simulator” del Washington Post è stato il servizio più visto in assoluto. I media si sono resi conto quanto poco si fossero applicati nei settori della scienza e della tecnologia e dell’ambiente, quanto poco si fossero preoccupati dell’audience giovane, ha spiegato Phil Chetwynd, direttore global news dell’Associated France Presse. Quindi è necessaria un’inversione di tendenza, dismettendo, allo stesso tempo, l’ossessione per la politica e i politici.
CAMERE DA LETTO E INVESTIGAZIONI
Le più grandi storie dell’anno sono state coperte dai media senza giornalisti in ufficio, da camere da letto, salotti e cucine. Incluse l’uccisione di George Floyd a Minneapolis e le elezioni presidenziali americane. Ma il 77 per cento degli intervistati ritiene che il lavoro da remoto renda più difficile per i giornalisti costruire e mantenere relazioni (fonti). Molti manager si sono detti preoccupati per la salute mentale dei dipendenti costretti a casa. Il 2021, quindi dovrebbe essere per molte aziende l’anno del ritorno -seppur parziale- al lavoro in ufficio e soprattutto sul campo. Esempio: Gaven Morris, direttore delle News, analisi e investigazioni della tv australiana ABC, ha parlato di forte sviluppo dei contenuti finanziati dal pubblico e delle inchieste proposte e guidate dal pubblico.
Sarà anche l’anno di nuovi accordi sindacali da stipulare, perché ci sono giornalisti che non vogliono tornare in ufficio e aziende (metà circa del totale) che per risparmiare costi intendono diminuire i prestatori d’opera nelle sedi.
IMPARZIALITA’ E RAZZISMO
Continua a essere un valore, per i giornalisti, l’imparzialità? L’equidistanza, la neutralità? O i giornalisti possono (devono) esprimere i loro orientamenti, di fronte a populismo, ingiustizie sociali, complottismo? L’88 per cento dei direttori (senior editors) pensa che l’imparzialità conti più di ogni altra cosa, ma il 48 per cento ritiene ci siano alcuni campi (democrazia, razzismo) nei quali non è appropriato tenere una posizione neutrale.
Ci saranno altri blocchi come quelli subiti da Bolsonaro e Trump da parte delle big tech company e repubblicani e conservatori grideranno alla censura da parte delle elite liberal. Ne beneficeranno nuovi spazi social “free speech” (senza censura) come Parler, MeWe e Rumble, molto orientati a destra.
MANI DI GIGANTI
A proposito di big tech company, continuerà la tendenza a finanziare il giornalismo. Google ha stanziato 1 miliardo di dollari in tre anni per aiutare gli editori a creare e curare contenuti di alta qualità. Patti importanti sono già stati stipulati in Germania, Brasile, Francia e Australia. Facebook e Google hanno destinato 212 milioni per 7000 media locali. I mezzi d’informazione continuano a vedere con diffidenza questo tipo di sostegni.
I NUOVI STRUMENTI
Il 2020 è stato l’anno delle news letters. Grandi firme hanno lasciato le loro testate per dedicarsi alle comunicazioni riservate a un loro pubblico. Bastano 1000 sottoscrittori che versano 60 o 100 dollari l’anno per ricevere la “lettera” e si mette insieme un ottimo salario (60mila, 100mila dollari). Anche il New York Times ha le sue news letters come The morning, con 17 milioni di abbonati.
Poi ci sono i podcast, il giornalismo da ascoltare. C’è una corsa, in questo campo, ad accaparrarsi le star. Spotify ha fatto accordi con il principe Harry e la sua signora Megan e con Michelle Obama. Amazon si è assicurata Will Smith e Dj Khaled, la Bbc ha arruolato il rapper trentenne George the poet.
INTELLIGENZA SENZA L’UOMO
Ed ecco l’Intelligenza artificiale. Gran parte degli editori (70 per cento) considerano che sarà il più grande “facilitatore” per il giornalismo nei prossimi cinque anni, seguito dalla connettività 5G. Esistono già molti esempi di utilizzo. L’agenzia di stampa peruviana Ojo Público ha creato uno strumento per individuare potenziali modelli di corruzione nei contratti di appalti pubblici. La Bbc ha testato uno strumento per rispondere alle domande sul Coronavirus, utilizzando i propri rapporti affidabili e le informazioni riassunte da fonti ufficiali. La stessa Bbc sta sperimentando strumenti che trasformano un testo in una storia visuale, fruibile da smart phones. Il Globe and Mail in Canada ha delegato molte delle scelte editoriali sulla sua homepage e altre pagine a uno strumento basato sull’Intelligenza artificiale chiamato Sophi. Numerose pubblicazioni utilizzano l’Intelligenza artificiale per monitorare questioni di genere e pregiudizi razziali e segnalare i risultati agli editori.
OROLOGI SMART E 5G
Nel 2021 ci si attende che circolino 600 milioni di smartphones con la nuova potente connessione 5G, in grado di far dialogare più strumenti (devices) in contemporanea, di fornire la spina dorsale per le smart homes, per le smart cities e per i veicoli senza conducente.
Apparecchi da polso come i Fitbit Sense e gli Apple Watch sono già in grado di effettuare controlli della saturazione del sangue o addirittura misurare il livello di stress. Su questi stessi apparecchi possono arrivare anche notizie.
LION’S SHARE
Nel 2021 dell’informazione si prevedono forti investimenti in audio, video, data journalism.
Lungo tutto il percorso del rapporto Reuters corre la stessa domanda: chi avrà in tasca, in questa corsa all’innovazione, the Lion’s share? In italiano: chi farà la parte del leone? Il timore è che ricorrano i soliti nomi, da una parte Google, Facebook, Amazon, dall’altra New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, che il favoloso futuro sarà dunque solo per i grandi, molto dedicati al business?
Ovvero, ci sarà spazio per imprese meno globali e più orientate alla relazione con i cittadini? I grandi sono i favoriti, ma anche molti piccoli finora si sono fatti largo. Piccoli per i quali le entrate digitali ora superano la stampa e che intravedono un futuro sostenibile. Oppure, piccoli editori nati nel digitale con entrate significative che arrivano dai lettori, come il Daily Maverick in Sud Africa, Dennik N in Slovacchia, El Diario in Spagna, Malaysiakini in Malesia, MediaPart in Francia e Zetland in Danimarca.
Molte di queste pubblicazioni hanno avuto successo concentrandosi incessantemente sulla soddisfazione delle esigenze specifiche del pubblico.