di SOFIA GADICI
Il bimestrale progressista Washington Monthly ha analizzato la strategia con cui Facebook sta finanziando le grandi testate giornalistiche statunitensi e contemporaneamente affossa i giornali minori, bloccando il mercato della pubblicità digitale. Un comportamento che per il magazine rappresenta una minaccia per la libertà di stampa e la democrazia.
La premessa è la crisi profonda del settore dell’informazione. Negli ultimi due decenni, infatti, un giornale statunitense su quattro ha chiuso e quasi tutti gli altri hanno tagliato il personale, per un totale di 36.000 posti di lavoro persi in undici anni. A subire di più la crisi sono stati i giornali locali, con la conseguente difficoltà per le persone di sapere cosa succede nelle loro comunità.
Il Washington Monthly individua nel boom della tecnologia e nel duopolio Facebook-Google l’origine di questa crisi.
pubbliche relazioni
Il duopolio non piace neanche ai regolatori statunitensi e ai giudici federali. Per questo motivo le due aziende hanno aumentato progressivamente le pubbliche relazioni e sono diventate le principali protagoniste del lobbismo a livello federale e centrale. Non solo, per il Washington Monthly esiste “uno schema di pagamento segreto, multimilionario, rivolto alle testate giornalistiche più influenti”.
Con la scusa del lancio della funzione Facebook News, il social network di Mark Zuckerberg starebbe incanalando denaro verso New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, ABC News e Bloomberg, con lo scopo di condizionarne l’azione e migliorare la propria reputazione.
I termini esatti degli accordi non si conoscono perché Facebook ha chiesto la non divulgazione delle informazioni e le testate hanno acconsentito. Sappiamo però che la piattaforma paga molto bene i giornali (dai 3 milioni di dollari a “molto di più”) per pubblicare i loro articoli sulla piattaforma News. Una somma che appare sproporzionata rispetto all’effettiva efficacia dello strumento, ancora poco usato.
articoli critici
Per il New York Times, il cui reddito netto nel 2020 è stato di 100 milioni di dollari, ottenere più di 3 milioni senza costi è vitale. Occorre dire che non ci sono prove che questo influenzi la copertura delle notizie. Prima dell’accordo, il Times pubblicò un famoso editoriale di Chris Hughes intitolato “È ora di distruggere Facebook”, dopo l’accordo ci sono stati articoli altrettanto critici. “Ci siamo sempre riservati il diritto di fare ciò di cui avevamo bisogno per la nostra attività e per continuare a finanziare il nostro giornalismo”, ha sostenuto in un’intervista telefonica Mark Thompson, amministratore delegato del Nyt dal 2012 al 2020. Quando Thompson si è dimesso è stato sostituito da Meredith Kopit Levien, che pochi mesi dopo la nomina ha espresso entusiasmo per l’accordo con Facebook.
Mathew Ingram, responsabile del settore digitale della Columbia Journalism Review, ha osservato che “una volta accettato il denaro di Facebook diventa difficile tornare indietro. Sei in debito con loro e diventi come un’amante”.
Per il Washington Monthly gli accordi costituiscono una grave violazione dell’etica tradizionale dei giornali. Inoltre, aiutano Facebook a mantenere un’apparenza pubblica di legittimità mentre giornalisti, critici e investigatori del Congresso hanno ampiamente documentato che il social sia diventato un vettore di disinformazione e incitamento all’odio che invade la privacy e mina la democrazia. Infine, per il magazine gli accordi minaccerebbero gli sforzi con cui si tenta di aiutare le organizzazioni mediatiche più piccole, etniche e locali che hanno un disperato bisogno di aiuto.
alle sue condizioni
L’enorme potere di Facebook è stato messo in mostra lo scorso febbraio, quando la piattaforma ha ostacolato il tentativo del governo australiano di costringerlo a pagare per i collegamenti alle notizie. In quel caso, Facebook ha temporaneamente bandito i siti di notizie australiani dalla sua piattaforma, poi ha accontentato i legislatori accettando di accordarsi con i principali fornitori di notizie. Ma lo ha fatto alle sue condizioni, non a quelle del governo.
Nell’ottobre 2020, negli Stati Uniti, una sottocommissione della magistratura della Camera ha pubblicato un rapporto in cui si denunciavano le violazioni antitrust da parte di Google, Facebook, Apple e Amazon. A dicembre, la Federal Trade Commission e 46 procuratori generali statali hanno intentato una causa antitrust contro Facebook, sostenendo che la società “sta mantenendo illegalmente il suo monopolio personale attraverso una condotta anticoncorrenziale”.
Attualmente, il Congresso sta tenendo audizioni per dare alle organizzazioni giornalistiche la possibilità di negoziare collettivamente con le grandi piattaforme.