di MARCO PRATELLESI

Siamo davanti a una nuova frontiera del giornalismo e dell’informazione, come lo eravamo trent’anni fa all’alba di internet e della trasformazione digitale. E, ancora una volta, la sfida che ci troviamo ad affrontare non può essere risolta solo con i vecchi strumenti della professione. 

Cosa è cambiato? E cosa cambierà? Partiamo da due date: 1830, la nascita della notizia, e 1991, la nascita del web. Queste date segnano due momenti fondamentali nella trasformazione della professione, due cesure che cambiano le regole del gioco. Nel libro La scoperta della notizia (Liguori 1987), Michael Schudson analizza in modo dettagliato come negli Stati Uniti, intorno al 1830, alcuni editori visionari compresero che per fare giornali appetibili per il nuovo pubblico, alfabetizzato e urbanizzato, fossero necessari giornalisti regolarmente retribuiti in grado di trovare notizie di ampio interesse, locale e internazionale. Questi editori decisero di abbassare il prezzo del giornale, fino ad allora un media scritto dalle élite per le élite, da sei centesimi ad un penny, certi che la perdita del guadagno sarebbe stata ampiamente compensata dall’aumento delle vendite e dalla pubblicità, attratta da una audience più ampia e popolare.

penny press

 La nascita della Penny Press avviene in un contesto particolare e segna alcuni punti fermi: 

  1. Scarsità di informazione. 
  2. I giornalisti diventano indispensabili per trovare le notizie, vengono pagati per questa attività, nasce la professione come la conosciamo oggi.
  3. In questo contesto, la categoria assurge a uno status sociale apprezzato.
  4. I giornali, che hanno il monopolio dell’informazione, diventano fondamentali per la formazione dell’opinione pubblica.
  5. Il modello di business della Penny Press si rivela ampiamente sostenibile per gli editori e alimenta l’industria dell’informazione per quasi duecento anni.

flusso ininterrotto

Nel 1991, con la nascita del web, inizia l’era che stiamo vivendo, per molti aspetti, assai diversa da quella che ha reso possibile la Penny Press e la nascita dei mass media. Anche in questo caso possiamo provare a individuare alcuni punti fermi:

  1. Siamo entrati nell’era dell’abbondanza, caratterizzata da un flusso ininterrotto di informazioni da tutti verso tutti.
  2. Con la nascita dei social media e la conseguente disintermediazione, i giornalisti perdono una posizione esclusiva, non sono più necessari per veicolare informazioni e notizie. Se prima un politico, un manager, un magistrato per parlare alle persone aveva bisogno della mediazione di un giornalista, oggi può tranquillamente eluderla grazie alle opportunità che internet offre a tutti in maniera trasversale. 
  3. Inizia un processo di proletarizzazione della categoria: meno giornalisti contrattualizzati e pagati meno rispetto al passato. 
  4. La professione perde progressivamente credibilità, il bene forse più prezioso per chi deve informare. 
  5. Il modello di business nato con la Penny Press entra in una fase di crisi strutturale, crollano le vendite in edicola, gli inserzionisti scelgono altre piattaforme. Dopo quasi 200 anni l’industria dell’informazione deve ritrovare una nuova formula di sostenibilità. 

inchiesta longform

Il giornalismo e l’informazione non sono in crisi, ma l’industria editoriale sta attraversando un momento difficilissimo, anche se alcune buone pratiche messe in campo da testate internazionali dimostrano che la tendenza può essere invertita. 

Prendiamo il New York Times. Nel 2012, il giornale pubblica sul proprio sito “Snow Fall” un’inchiesta longform e multimediale sulla valanga di Tunnel Creek. L’articolo, firmato da John Branch, vince il Pulitzer 2013 ma, soprattutto, sperimenta un modello narrativo per il futuro del giornalismo online che segna la fortuna del New York Times. Nell’era della massima riproducibilità tecnica dell’informazione, quando tutti copiano tutto e si offusca il concetto di scoop, il New York Times inventa un format non riproducibile. Molte testate internazionali ne parlano, citano “l’opera”, ma nessuno la può saccheggiare o copiare. Se vuoi leggere “Snow Fall”, contenuto talmente originale da non essere replicabile, devi andare sul New York Times e per accedere ai contenuti del giornale devi abbonarti. E cosa c’è dietro questo nuovo modello di informazione? Ci sono competenze professionali che non sono solo quelle classiche del giornalismo. Oggi nelle redazioni c’è bisogno di scienziati dei dati, analisti, grafici della visualizzazione, esperti di algoritmi e intelligenza artificiale, proprio come nel 1830 c’era bisogno dei giornalisti. Queste nuove figure sono, e diventeranno sempre più, indispensabili. Eppure, in Italia, la categoria dei giornalisti sta alzando una barriera nei confronti di questo nuovo mondo. Certo, c’è la comprensibile paura di perdere il lavoro. Ma è una paura infondata, tanto è vero che le testate più innovative hanno aumentato il numero dei giornalisti, a differenza di quanto avviene da noi. Non è difendendo i vecchi posti di lavoro che salveremo la professione. Così, finiremo solo per indebolirla.

passaggio fondamentale

Quello del New York Times non è un caso isolato. Ci sono altri esempi di successo nel mondo dell’editoria, come il  Wall Street Journal, l’Associated Press, la Reuters, la BBC, il Washington Post. Tutte queste testate, che stanno emergendo egregiamente dalla crisi, hanno creato al loro interno degli R&D Lab, laboratori di ricerca e sviluppo interdisciplinari: ci sono i giornalisti, ovviamente, perché le vecchie regole della professione non possono essere disattese. Ma ci sono anche ingegneri, sviluppatori, programmatori, data scientist, grafici delle visualizzazioni che studiano e cercano nuove formule di analisi e di racconto spesso in collaborazione con università e startup. Questo a mio avviso è un passaggio fondamentale. 

Nelle redazioni italiane manca una cultura dell’R&D Lab. In parte è responsabilità degli editori, che hanno risposto alla crisi prevalentemente con i tagli, con la riduzione dei costi sia in investimenti sia riducendo i posti di lavoro. Ma dubito che la sostenibilità del giornalismo possa essere ritrovata perseguendo solo la strada dei tagli. Credo, invece, che il primo punto fondamentale per una nuova fase di crescita sia portare la ricerca e lo sviluppo all’interno dei giornali, delle testate, dei media. Una accelerazione verso l’innovazione e la sperimentazione che dovrebbe avvalersi anche di accordi di partnereship con università e startup. 

non avere paura

Perché è così importante che le testate si dotino di strutture di ricerca e sviluppo? Torniamo a quelle due date: 1830 e 1991. Entrambe segnano, per aspetti diametralmente opposti, un cambiamento radicale nel futuro della professione. Dalla nascita del web sono passati 30 anni. Se consideriamo che nei prossimi tre anni produrremo più informazioni di quante ne sono state prodotte dal 1991 ad oggi, è facile capire che la sfida che si pone davanti al giornalismo non è più affrontabile solo con i vecchi strumenti della professione. Nella società dei big data è umanamente impossibile per qualsiasi redazione poter filtrare e contestualizzare gli eventi notiziabili facendoli emergere dal rumore di fondo del flusso ininterrotto. Ecco perché l’intelligenza artificiale sta diventando un aiutante fondamentale nel nostro lavoro. Non dobbiamo avere paura, dobbiamo conoscerla, dobbiamo gestirla, controllarla. Gli algoritmi, in quanto creati da umani, non sono a prova di errore. I nostri pregiudizi, i nostri errori si perpetuano negli algoritmi. Dobbiamo essere noi a gestire e a controllare questi strumenti. C’è bisogno anche in Italia di formare una generazione di giornalisti computazionali, in grado di scrivere algoritmi editoriali che abbiano alla base le regole, ma anche i principi etici e deontologici della professione.

L’intelligenza artificiale, che ci circonda e che utilizziamo quotidianamente spesso senza rendercene conto, è sempre più presente anche nei processi del workflow redazionale. Da noi è ancora un tabù, ma nelle grandi testate del mondo l’AI è quotidianamente utilizzata per il filtraggio e la ricerca di fatti e eventi notiziabili, per la produzione delle notizie e per la loro distribuzione. Prendiamo tre esempi significativi tra i tanti che si potrebbero fare.  Consideriamo anche le date, che aiutano a capire quanto il giornalismo italiano sia in ritardo rispetto a quanto già si sta facendo in altri Paesi. 

rumore di fondo

Partiamo dal newsgathering. La Reuters si è dotata di News Tracer, un software che scandaglia e monitorizza in tempo reale, h24 e 7 giorni su 7, i social media. Algoritmi e intelligenza artificiale riescono ad estrarre dal rumore di fondo dei social media i potenziali eventi notiziabili. Nel 2015, grazie a News Tracer, la Reuters è stata la prima agenzia al mondo a dare la notizia della sparatoria di San Bernardino perché il software aveva rilevato sui social media una serie di post che descrivevano quei fatti e aveva estratto immediatamente i contenuti che poi sono serviti ai giornalisti della Reuters per le verifiche e iniziare il racconto della strage. 

Secondo esempio: la produzione di news. A partire dal 2014 l’Associated Press ha automatizzato alcuni flussi, soprattutto per il notiziario sportivo e finanziario. Cosa comporta? L’intelligenza artificiale, addestrata a leggere i dati finanziari delle società quotate, scrive direttamente i lanci di agenzia. Da 300 report finanziari coperti con i soli giornalisti, oggi l’AP è arrivata a coprirne 4.400 grazie all’aiuto dell’AI. L’agenzia si è quindi liberata dei giornalisti che facevano i report nella maniera tradizionale? Niente affatto, li utilizza per fare le analisi, per spiegare, che è poi il valore aggiunto del giornalismo. E’ chiaro che l’intelligenza artificiale fornisce un report che riporta i numeri alla base dell’andamento delle compagnie, ma se emerge un’anomalia, una inversione di tendenza accentuata rispetto ai report precedenti della stessa società, l’analisi e la spiegazione del perché è successo è terreno esclusivo del giornalista. 

spagnolo e mandarino

Terzo esempio: la distribuzione. Il giornalista Matthew Amroliwala, che parla solo inglese, ogni giorno legge il notiziario di BBC World News. Il News Lab della BBC, utilizzando il software di “Synthesia”, nel 2016 ha creato un programma di AI che permette al giornalista di apparire in video mentre sembra leggere le stesse news anche in spagnolo, mandarino e hindi. Funziona così: il testo inglese viene tradotto automaticamente nelle tre lingue. Poi il programma ricrea dal testo lo speech con la voce del giornalista e adatta i suoi movimenti labiali nel video sfruttando la tecnica utilizzata per produrre i deep fake. La BBC può così, con i soli costi della tecnologia software, ampliare considerevolmente la propria audience. Da noi, la Rai sta ancora discutendo di un ipotetico canale in lingua inglese, mentre basterebbe selezionare tra i programmi che già produce quelli adatti ad essere esportati e applicare la tecnologia dei media sintetici per ottenere un risultato probabilmente migliore e con costi enormemente più contenuti.

Tutte queste tecnologie non hanno evidentemente l’obiettivo di sostituire i giornalisti, ma di potenziarne il lavoro, svolgendo compiti ripetitivi e a scarso valore aggiunto. Perché dovrei perdere ore a sbobinare un’intervista se ci sono software che lo fanno meglio di me in pochi secondi?

italia indietro

In Italia, purtroppo, siamo rimasti indietro, come 30 anni fa con la rivoluzione digitale. Ci sono alcune sperimentazioni. Una l’abbiamo realizzata con Applied XL, la società americana con cui collaboro, per l’Ansa. L’idea è nata nel marzo 2020 in pieno lockdown per l’emergenza Covid. I giornali riportavano quotidianamente il bollettino della Protezione Civile sull’andamento della pandemia. Praticamente lo stesso articolo con i dati aggiornati. Indubbiamente un lavoro ripetitivo. Così abbiamo prodotto per l’Ansa un flusso di notizie automatizzate, titoli, testi e grafici, con l’andamento dell’epidemia. Tutto completamente realizzato grazie all’intelligenza artificiale che va a leggere i dati e predispone i testi in base ai template giornalistici che abbiamo predisposto. Da aprile 2020 il flusso automatizzato con le informazioni a livello nazionale e regione per regione, è on line sul sito dell’Ansa.

Un secondo esperimento è stato realizzato per Meteo.it di Mediaset. Anche in questo caso, partendo dai dati strutturati e considerando tutte le variabili nei template, abbiamo automatizzato le previsioni meteo dei comuni italiani. 

mansioni ripetitve

Originariamente, come abbiamo visto con l’innovazione della Penny Press, il compito dei giornalisti era principalmente trovare le notizie e scrivere gli articoli. Negli ultimi anni, con l’avvento delle nuove tecnologie e la digitalizzazione, i reporter sono stati chiamati a svolgere anche altre mansioni, finendo per ricoprire due ruoli: il giornalista e l’assistente del giornalista. Oggi abbiamo un alleato potente, l’intelligenza artificiale, che può svolgere molti compiti facilitando e velocizzando il nostro lavoro. I computer hanno raggiunto una potenza di calcolo che ci permette di fare cose che 10 anni fa erano impensabili. Ma per sfruttare al meglio queste tecnologie dobbiamo cominciare a sperimentare, solo così possiamo sperare di ritrovare la formula per una sostenibilità del giornalismo. Perchè i tagli sono stati fatti ed è difficile pensare che torneremo ai valori occupazionali di un tempo. Dalla crisi non usciremo se i giornalisti continueranno ad essere risucchiati da mansioni ripetitive che sottraggono tempo che dovrebbe essere invece dedicato ad aumentare la qualità dei nostri media. Questa è la strada che dovremmo percorrere, tutti insieme. Da una parte gli editori, che hanno necessità di ritrovare una sostenibilità del modello di business; dall’altra i giornalisti, che devono poter avere più tempo per lavorare con tranquillità sulla qualità dell’informazione. Perché, come dimostra il New York Times, se produci un giornalismo di qualità, originale, difficilmente replicabile dagli altri, anche i lettori saranno più disposti a pagare per avere ciò che li soddisfa e che non trovano in altre testate. Siamo davanti a una sfida epocale, come 30 anni fa con la rivoluzione digitale. E come 30 anni fa siamo rimasti indietro. Ecco perché è importante sperimentare le nuove tecnologie, le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale e nuove forme di racconto dei fatti. Il momento è adesso. Aspettare ancora non sarà di aiuto. Né per noi, né per i nostri editori.

(Estratto dalla relazione alla Giornata di Studio della Fondazione Murialdi, in ricordo di Paolo Murialdi, su Passato, presente e futuro del giornalismo, 14 giugno 2021)

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