di ALBERTO FERRIGOLO
Giurista, costituzionalista e docente universitario, anche nell’ambito del Diritto dell’informazione e della comunicazione, il professor Enzo Cheli, classe 1934, è stato giudice della Corte Costituzionale e presidente dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni dal 1998 al 2005. Abbiamo sentito la sua opinione in merito alla riforma dell’Ordine dei giornalisti e del sistema dell’informazione di cui si è occupato a lungo, anche con interventi e saggi sulla rivista Problemi dell’informazione, fondata e diretta dallo storico del giornalismo Paolo Murialdi.
Tra due anni, professor Cheli, saranno 60 dalla nascita dell’Ordine dei giornalisti. È un impianto di regole ancora valido, oppure necessita di un tagliando? Dovrebbe essere modificato l’Ordine dei giornalisti?
“La disciplina posta dalla legge 69 del 1963 sull’ordinamento della professione di giornalista richiede oggi una revisione perché, nel suo complesso, risulta invecchiata e, in molte parti, superata. La ragione è che in questi quasi sessanta anni della sua vigenza è cambiata tanto la figura professionale del giornalista, quanto la struttura e la funzione dell’impresa giornalistica”.
Da decenni si parla di Riforma dell’Odg. Alla luce delle trasformazioni, anche tecnologiche, della professione, di che cosa dovrebbe tenere conto un Ordine che voglia essere moderno e al passo con i tempi?
“L’Ordine dovrebbe garantire il rispetto dei diritti e doveri fissato dall’articolo 2 della legge 69 del 1968 – che restano ancora del tutto validi come la libertà di informazione e di critica e il rispetto della verità sostanziale dei fatti da perseguire con lealtà e buona fede – tenendo conto del fatto che gli strumenti della comunicazione e dell’informazione hanno subito, a partire dalla fine del secolo scorso, una trasformazione radicale sul piano tecnico. Trasformazione tecnica che si sta oggi riflettendo sui linguaggi e sugli effetti sociali della comunicazione e dell’informazione”.
Nel tempo le figure di chi fa informazione sono cresciute a dismisura, con competenze tecniche che marcano nettamente le differenze generazionali. Accanto ai giornalisti di carta stampata, tv e radio, delle agenzie, ci sono ora quelli in forza ai nuovi media, al mondo del web, dei social. L’Odg li deve includere, e in che modo? Come professionisti o come pubblicisti? E con quali forme selettive: il tradizionale praticantato, una scuola di formazione, un esame più strutturato, un semplice colloquio?
“L’innovazione che si richiede impone di ampliare la categoria dei giornalisti a tutti gli operatori dei media secondo una qualifica professionale unitaria da acquisire in base alla frequenza di una scuola di formazione, a un esame più strutturato di quello attuale e a un conseguente praticantato di durata adeguata”.
Dato il mutato contesto in cui la professione si svolge, ha sempre senso la suddivisione tra professionisti e pubblicisti? E come si definisce o si dovrebbe meglio distinguere la specificità del professionista da quella del pubblicista?
“Non credo, in base a quanto precede, che abbia più senso la distinzione tra professionisti e pubblicisti. Oggi la distinzione corre tra il professionista – così come definita nell’articolo 1 della legge 69 del 1963 – e chi usa liberamente uno strumento mediatico per comunicare”.
La crisi dell’editoria, l’espulsione dal mondo produttivo ha indotto taluni giornalisti a intraprendere carriere e strade diverse, che hanno più spesso a che fare con la comunicazione – d’impresa, politica, pubblicitaria. Vanno sempre considerati giornalisti a tutti gli effetti o si dovrebbero autosospendere, protempore?
“La crisi dell’editoria è, in buona parte, l’effetto della rottura dei suoi confini. Il giornalista professionista che opera fuori dal campo tradizionale – nei new media o negli uffici stampa delle imprese o della pubblica amministrazione – è a tutti gli effetti giornalista, con i suoi diritti ed i suoi doveri”.
Qual è l’etica del giornalismo? Qual è, nella sostanza, la sua missione? È la ricerca della verità, e cosa significa cercare la verità?
“Esporre correttamente la verità sostanziale dei fatti e la pluralità delle opinioni e dei giudizi resta, a mio avviso, la base etica del giornalismo”.
Secondo lei, professore, tutti i giornalisti indistintamente cercano ogni giorno la verità? E chi non la cerca come si colloca?
“Non tutti i giornalisti – nell’accresciuta quantità delle informazioni che circolano e nella accresciuta rapidità di questa circolazione – rispondono ai principi di una corretta etica del giornalismo”.
Un giornalista che cerca la verità può essere deputato o portavoce? O dovrebbe autosospendersi, astenendosi per esempio dallo scrivere e pubblicare?
“Il giornalista può essere deputato o portavoce, cioè impegnarsi su una linea politica precisa senza sospendere la sua attività. L’importante per gli utenti dell’informazione è che sia chiara e trasparente la sua posizione e gli interessi che la guidano”.
Di quali giornalisti ha bisogno una democrazia avanzata? E quale direzione deve prendere il giornalismo professionale?
“Nel nuovo ecosistema dell’informazione il giornalista, oltre ai doveri tradizionali, è chiamato a svolgere una funzione di selettore delle informazioni, cioè di soggetto investito del compito di distinguere l’informazione vera da quella falsa, l’informazione importante da quella secondaria, non destinata a produrre effetti rilevanti”.
Una riforma dell’Ordine impegna necessariamente il Parlamento. Ma come fa un Parlamento a fare in modo che ci siano buoni giornalisti? E dopo oltre mezzo secolo dalla legge sull’Ordine cosa dovrebbero immaginare i politici per questa professione?
“La riforma della legge sulla professione giornalistica dovrebbe avere come obiettivo primario quello di favorire l’affermazione e lo sviluppo di un giornalismo di qualità. Per questo occorre promuovere, dentro e fuori le Università, serie scuole di giornalismo in grado di rilasciare, in base ad un esame impegnativo, condotto sulla maturazione culturale, e la preparazione tecnica, il titolo di giornalista professionista destinato ad operare all’interno di una impresa di comunicazione”.
(nella foto, Enzo Cheli)
il prof cheli ha cento ragioni, anche perchè conosce bene il mondo dell’informazione e della comunicazione.
è bene che l’ascoltino…operativamente.
paolo scandaletti