Ascoltare. Approfondire. Raccontare. 

Sono i tre verbi del giornalismo, secondo Papa Francesco. Non è la prima volta che il Pontefice definisce il mestiere del buon giornalista. Ultima occasione, la consegna di onorificenze a due decani dell’informazione vaticana: Valentina Alazaraki, “che giovanissima era salita sull’aereo che portava San Giovanni Paolo II a Puebla nel 1979”, e Philip Pullella. Ne ha scritto Amedeo Lomonaco su Vatican News.

“Al giornalismo -ha detto il Papa nella Sala del Concistoro, davanti ai giornalisti accreditati nella Sala Stampa della Santa Sede- si arriva non tanto scegliendo un mestiere, quanto lanciandosi in una missione, un po’ come il medico, che studia e lavora perché il male sia curato. La vostra missione è di spiegare il mondo, di renderlo meno oscuro, di far sì che chi vi abita ne abbia meno paura e guardi gli altri con maggiore consapevolezza, e anche con più fiducia. È una missione non facile”.

la vostra e’ una missione

E non è priva di ostacoli: “Il rischio, lo sapete bene, è quello di lasciarsi schiacciare dalle notizie invece di riuscire a dare ad esse un senso. Per questo vi incoraggio a custodire e coltivare quel senso della missione che è all’origine della vostra scelta. Lo faccio con tre verbi che mi pare possano caratterizzare il buon giornalismo: ascoltare, approfondire, raccontare”.

Ascoltare: “Per un giornalista, significa avere la pazienza di incontrare a tu per tu le persone da intervistare, i protagonisti delle storie che si raccontano, le fonti da cui ricevere notizie. Ascoltare va sempre di pari passo con il vedere, con l’esserci: certe sfumature, sensazioni, descrizioni a tutto tondo possono essere trasmesse ai lettori, ascoltatori e spettatori soltanto se il giornalista ha ascoltato e ha visto di persona. Questo significa sottrarsi – e so quanto è difficile nel vostro lavoro! – sottrarsi alla tirannia dell’essere sempre online, sui social, sul web. Il buon giornalismo dell’ascoltare e del vedere ha bisogno di tempo”.

incontri personali

Gli strumenti comunicativi, osserva il Santo Padre, sono importanti ma l’incontro personale è insostituibile: “Non tutto può essere raccontato attraverso le email, il telefono, o uno schermo. Come ho ricordato nel Messaggio per la Giornata delle Comunicazioni di quest’anno, abbiamo bisogno di giornalisti disposti a ‘consumare le suole delle scarpe’, a uscire dalle redazioni, a camminare per le città, a incontrare le persone, a verificare le situazioni in cui si vive nel nostro tempo”.

Approfondire: “Il secondo verbo, che caratterizza il mestiere del giornalista, è una conseguenza dell’ascoltare e del vedere. Ogni notizia, ogni fatto di cui parliamo, ogni realtà che descriviamo necessita di approfondimento. Nel tempo in cui milioni di informazioni sono disponibili in rete e molte persone si informano e formano le loro opinioni sui social media, dove talvolta prevale purtroppo la logica della semplificazione e della contrapposizione, il contributo più importante che può dare il buon giornalismo è quello dell’approfondimento. Potete offrire il contesto, i precedenti, delle chiavi di lettura che aiutino a situare il fatto accaduto. Lo sapete bene che, anche per ciò che riguarda l’informazione sulla Santa Sede, non ogni cosa detta è sempre ‘nuova’ o ‘rivoluzionaria’”. 

lasciarsi ferire

Raccontare: “Raccontare significa non mettere sé stessi in primo piano, né tantomeno ergersi a giudici, ma significa lasciarsi colpire e talvolta ferire dalle storie che incontriamo, per poterle narrare con umiltà ai nostri lettori. La realtà è un grande antidoto contro tante ‘malattie’. La realtà, ciò che accade, la vita e la testimonianza delle persone, sono ciò che merita di essere raccontato. Il buon giornalismo non deve lasciare indifferenti: abbiamo tanto bisogno oggi di giornalisti e di comunicatori appassionati della realtà, capaci di trovare i tesori spesso nascosti nelle pieghe della nostra società e di raccontarli permettendo a noi di rimanere colpiti, di imparare, di allargare la nostra mente, di cogliere aspetti che prima non conoscevamo. Vi sono grato per lo sforzo di raccontare la realtà. La diversità di approcci, di stile, di punti di vista legati alle differenti culture o appartenenze religiose è una ricchezza anche nell’informazione. Vi ringrazio anche per quanto raccontate su ciò che nella Chiesa non va, per quanto ci aiutate a non nasconderlo sotto il tappeto e per la voce che avete dato alle vittime di abuso”.

Francesco, rivolgendosi ai due decani vaticanisti – Alazraki e Pullella – e ai redattori accreditati nella Sala Stampa della Santa Sede, sottolinea infine che il faro da seguire per il giornalista è la ricerca della verità: “Grazie, cari amici, per questo incontro. Grazie e congratulazioni ai nostri due “decani”, che oggi diventano ‘Dama’ e ‘Cavaliere’ di Gran Croce dell’Ordine Piano. Grazie a tutti voi per il lavoro che fate. Grazie per la vostra ricerca della verità, perché solo la verità ci rende liberi”.

Salutando Papa Francesco, la giornalista messicana Valentina Alazaraki ha coinvolto i colleghi nella consegna del premio: “Qui in mezzo – ha detto – c’è tantissimo materiale per le cause di beatificazione”: per essere mamme, papà e giornalisti ed anche vaticanisti “ci sono molte virtù eroiche”. E ha ricordato dei momenti in cui per lavoro è stata lontana della famiglia. Ha detto che il marito quando le figlie erano piccole, ha avuto “una grandissima idea”. Le faceva sedere davanti alla televisione e diceva loro: “Bambine, state tranquille, perché la mamma è con il nonno. Il nonno era Giovanni Paolo II”. Philip Pullella, ricordando la propria personale storia di migrante dalla Calabria negli Stati Uniti e di giornalista, ha dedicato la propria onorificenza “a tutti gli immigrati che cercano una vita migliore per i loro figli”. Come fecero i suoi genitori nel 1958.

(nella foto, il Papa premia due decani della Sala Stampa Vaticana)

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