Ecco le pagine iniziali del nuovo libro di Vittorio Roidi, “Nel segno della verità”, Le vie del giornalismo tra odio, fake news e disintermediazione (Istimedia Edizioni)
di VITTORIO ROIDI
Per secoli il dibattito sul giornalismo è stato centrato sulla libertà di stampa, sul come conquistarla, difenderla ed esercitarla. Oggi, tenendo stretta bene in pugno quella bandiera, che molti tentano ancora di lacerare, occorre però riconoscere che accanto a quello della libertà c’è anche un bisogno di verità. Il traguardo di ogni giornalista deve essere questo, anche se già dall’antichità i filosofi avevano affermato che essa non esiste o che è sempre annebbiata dalla personalità dell’individuo che la va cercando. E poiché non è facile avvicinarla, molti uomini e donne, concludono che ciascuno deve offrire al lettore la “propria” verità, esprimendola ovviamente nei modi a lui più consoni e comodi. Credono che sommando le diverse libertà si possa giungere ad una sintesi alla quale affibbiare l’aggettivo “vera”.
E’ il ragionamento che fanno anche molti fra coloro che, pur facendo i giornalisti, la verità spesso trascurano. Ma in un’epoca in cui perfino un presidente degli Stati Uniti ogni giorno ha detto liberamente colossali bugie, se si vuole ridare forza al nostro mestiere è tempo di mettere la verità in cima ai nostri pensieri. Se ci si vuole opporre a quella che può essere definita l’agonia di un mestiere che sembra non trovare più mercato, occorre offrire al cittadino un giornalismo sulla cui bandiera campeggi questa antica parola.
istinto di sopravvivenza
La storia dimostra che di fronte ai cambiamenti gli uomini e le donne affrontano con spirito di adattamento gli eventi naturali, alluvioni, disastri, terremoti, uragani, usando l’intelligenza, l’inventiva, l’istinto di sopravvivenza. Ma ci sono volte che occorre prendere decisioni più drastiche. E’ ciò che dovrà fare oggi quello che chiamiamo giornalismo.
Nel mondo moderno le trasformazioni sono state continue, spesso piccoli passi, talvolta autentici balzi in avanti. Quanto è cambiata la vita grazie alla scoperta dei medicinali, alla creazione dei motori, all’invenzione della catena di montaggio, alle case sempre più alte, costruite su fazzoletti di terra? Fino alla seconda metà del Novecento, il settore della mobilità è apparso quello che più ha contribuito a modificare la vita e il destino degli uomini. Per millenni le persone erano nate in un piccolo spazio del pianeta e lì erano vissute e morte. Un asino, un cavallo, un carretto, una diligenza, una barca a remi o a vento, questi erano stati i mezzi per spostarsi in nuovi territori. Oggi le persone si muovono grazie a bolidi a motore, treni, aerei supersonici, razzi pazzeschi. La mobilità è diventata frenetica, ma sempre un poco alla volta.
presunte notizie
E’ stato così anche nel campo della comunicazione. Per secoli i progressi erano stati lenti: disegni, papiri, iscrizioni, caratteri mobili, giornali, libri, radio, telefono, poi la straordinaria televisione a partire dalla metà del Novecento. Strumenti che si erano aggiunti gli uni agli altri. Poi nell’ultima parte del secolo che abbiamo vissuto, quando i computer hanno rivoluzionato il modo di lavorare e il web ha aperto scenari impensabili, nel mondo della comunicazione i rapporti umani sono mutati ad una velocità impressionante. Oggi anche i bambini hanno un cellulare in tasca, milioni di persone si parlano attraverso le chat, chiunque può diffondere senza spesa né fatica pensieri, opinioni ed anche vere o presunte notizie, con una libertà assoluta.
Unanimi sono stati gli inni alle meraviglie di Internet, gli osanna alla Rete. Tutti twittano, chattano, hanno un blog, un sito, un profilo su Facebook o su Instagram. La libertà di espressione è massima. Sembra di partecipare a una grande festa, anche se a guardare con attenzione ci si accorge che a festeggiare sono in realtà pochi miliardari. Quelli che sfruttano le nuove tecniche, carpiscono i nostri dati personali, ci esortano ogni giorno a pubblicare foto e pensieri, a proclamare ai quattro venti se siamo favorevoli o contrari, se il capo del governo deve essere sostituito, se la squadra del cuore deve comprare un centravanti. Tutti protagonisti di un dibattito globale, liberi come Trump di dire anche bugie, di incitare alla violenza, di fomentare odio. Tanto nessuno punisce e nessuno paga. E pazienza se un bambino muore per essersi stretto attorno al collo una corda come aveva visto fare sullo smartphone; pazienza se le notizie sulla pandemia sono contraddittorie; pazienza se il qualunquismo vince sul buon senso e se i giornali non si vendono ormai più. E’ il progresso, bellezza! Anzi, è proprio la mediazione che non serve, molti credono di poter fare da soli, di poter ricevere e dare notizie senza la seccatura di dover comprare un “organo” di informazione. Le vecchie strutture del sistema si sono frammentate, spezzettate alcune già svanite. C’è chi sostiene che proprio il giornalismo non serva più. Per fortuna si sbaglia.
ossessione di comunicare
Il terzo millennio è nato all’insegna di una frenetica ossessione di comunicare. Eppure è chiaro che le verità in circolazione sono diminuite, che le notizie – quelle verificate e controllate – in una foresta così affollata e intricata sono più difficili da trovare. Imbroglioni di professione operano indisturbati. In alcuni paesi i giuristi hanno cominciato a dubitare che il cambiamento possa proseguire senza controlli, a chiedersi se e quali limiti debbano esse fissati, se sia giusto accettare comportamenti illeciti e devianti. In questo lavoro, vogliamo ragionare se non possano essere proprio i giornalisti a cercare e offrire le verità, opposte alle fake news, ma anche alle chiacchiere, alle dicerie e alle libere sciocchezze. C’è bisogno di informazioni delle quali fidarsi. Chi può farsi carico di questa esigenza collettiva? Chiamiamoli giornalisti. Ma aggiungiamo a questo termine l’aggettivo professionali, che degli altri non è opportuno né utile occuparsi. Come dei poeti, dei romanzieri, dei musicisti, ai quali nessuno chiede di trovare delle verità.
L’analisi deve prendere in esame tutti gli elementi che compongono il quadro: norme, imprese, attrezzature, prodotti informativi, contenuti, condizione delle donne e degli uomini che cercano e offrono notizie. E’ l’intero sistema che non regge più. Mentre in passato le nuove invenzioni avevano scosso ma non distrutto il mercato, Internet lo sta devastando, perché mette nella disponibilità dei singoli nuovi mezzi di informazione. Anche in passato i rapporti di forza erano stati messi in discussione, molti temporali si erano abbattuti sui mass media, ma nessun cataclisma. Qualcuno si era difeso e riparato meglio, qualcuno aveva guadagnato terreno, qualche altro lo aveva perso. Questa volta il giornalismo rischia di uscirne polverizzato. Il nuovo mondo in cui tutti sono interconnessi impone scelte capaci di incidere sulla natura, sulle finalità, sulle regole dell’informazione giornalistica. Quali scelte? L’analisi non potrà che essere spietata. Leggi, strutture, tecniche, tutte le questioni sono da mettere in campo e nessuno può sottrarsi alla chiamata, soprattutto i giornalisti, che della catena informativa sembrano l’anello più debole ma, a pensarci bene, sono quello essenziale.
pagine gonfiate
Editori e giornalisti, fra loro spesso conflittuali e poco collaborativi, hanno costruito un sistema basato su fondamenta fragili, che sembra privo di sbocchi. Gli sforzi di molti non hanno prodotto risultati apprezzabili. Lo spirito di alcuni imprenditori appare ambiguo, condizionato da troppi interessi, non particolarmente desideroso di informare correttamente la collettività. La carta stampata ha aumentato le pagine, le ha lustrate, patinate, le ha gonfiate di pubblicità. La televisione, dopo aver ingessato per anni l’informazione, l’ha confusa con l’intrattenimento, ha creato talk show ad uso di politici scadenti e di personaggi pronti a urlare pur di mettersi in mostra. La radio si è salvata perché è rimasta fine a se stessa. Il comparto on line ha faticato a separare le informazioni professionali dal gigantesco minestrone (anche saporito peraltro) che Internet offriva a tutti. La qualità è stata confusa con la quantità, quasi che offrire un maggior numero di righe, di pagine o di minuti fosse indice di migliore professionalità, quasi che antichi direttori non avessero già avvertito che doveva essere considerato più bravo chi riusciva a scrivere 30 righe anziché 130. Proprio oggi che l’acceleratore ha preso la mano in tutti i campi del vivere c’è chi vuole imporre articoli e notiziari sterminati a persone che hanno pochi minuti per leggere e ascoltare. Ad ogni cosa il suo tempo, ovviamente. Nessuno tagli la Divina Commedia, l’Iliade o una sinfonia di Beethoven, ma perfino le penne più stimate dal pubblico dovrebbero fare attenzione alla noia che anche un buon articolo dopo un certo limite può generare.
Certi errori non si possono commettere più. L’orlo del dirupo è vicino, i numeri parlano da soli.