(A.G.) L’Ordine dei Giornalisti va riformato.
Al più presto.
Deve uscire dal ‘900, dalla Sala Albertini del Corriere, dall’Espresso di Scalfari e Jannuzzi, dai tempi di Bocca, Cederna, Ettore Mo. Tempi gloriosi, che non ci sono più.
L’Ordine deve aprire le sue porte alle nuove specializzazioni del giornalismo, ai nuovi cronisti con le videocamere e i telefonini, agli autori dei podcast, ai montatori, agli esperti di dati. Deve riformare l’accesso alla professione, oggi legato a un esame rimasto indietro, anch’esso. Deve mirare la formazione sulle esigenze dei nuovi “mestieri”.
Il caso Inpgi, finito, dopo anni di bilanci in rosso, nell’Inps, dimostra che le istituzioni del giornalismo italiano, se si arroccano, rischiano di perdere tutto.
regole base e invasioni
Ma l’Ordine non va abolito.
L’Ordine è necessario per difendere le regole base del giornalismo. Che sono sempre le stesse. Per difendere il giornalismo dalle invasioni. Della pubblicità. Del marketing. Dalle “camere dell’eco”, che vogliono dare a ciascuno soltanto le notizie della loro parte, quelle che rafforzano i pregiudizi e non fanno pensare.
Convinzione di tutti è che il giornalismo debba essere salvato, al di là della crisi che attraversa l’editoria, con vendite delle copie di carta sempre più sottili e incertezze su come fare profitti sul web. Il giornalismo va salvato perché è un pilastro della democrazia, un collante per le comunità, un sostegno per le parti più deboli della società.
Con molta sintesi, tutto questo forma il quadro che emerge dalle dieci (più due) interviste che Alberto Ferrigolo e Vittorio Roidi hanno condotto per Professione Reporter sotto il denominatore “Una legge per i giornalisti”. Responsabili dei nuovi mezzi di informazione online di maggior successo, studiosi delle dinamiche dell’informazione, esponenti prestigiosi dell’establishment giornalistico. Più il nuovo presidente dell’Ordine (da dicembre 2021), Carlo Bartoli, più il presidente della Federazione della Stampa, Giuseppe Giulietti.
come i partiti
Solo uno degli intervistati, il professore di Sociologia della comunicazione Paolo Mancini, sostiene che l’Ordine vada ormai abolito, vittima del processo generale di deistituzionalizzazione, che interessa anche i partiti, ad esempio. Per quanto riguarda il rispetto della deontologia e dell’etica, bastano le leggi ordinarie, dice Mancini.
Per tutti gli altri, l’Ordine ha un senso, ma la riforma è urgente. “In quindici anni di esperienza l’Ordine mi si è manifestato solo nella sua forma di ostacolo -dice Stefano Feltri, direttore del Domani- Hanno convocato Attilio Bolzoni per le lamentele di un ex agente dei servizi segreti e ci hanno criticato per aver pubblicato i filmati del pestaggio dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere”.
“La legge del 1963 sull’ordinamento della professione di giornalista e sull’Ordine risulta invecchiata, in molte parti superata”, dice Enzo Cheli che non è un nativo digitale, ma un ex vice presidente della Corte Costituzionale, classe 1934. Sostiene Giancarlo Tartaglia, per molti anni direttore della Fnsi: ”L’Ordine deve individuare l’esercizio della professione in ogni strumento di comunicazione”. E Francesco Piccinini, già direttore di Fanpage: “Ci sono luoghi dove si fa informazione, come Tok Tok, YouTube, Instagram che non sono nei radar dell’Ordine. Ci sono divulgatori che da soli influenzano più dei 30mila iscritti all’Ordine”. “Chi lavora sui dati, sulle newsletter, sui social -secondo Feltri- fa spesso un lavoro più giornalistico di chi corregge i titoli delle brevi in un grande giornale”. Ferruccio de Bortoli, direttore due volte del Corriere e una volta del Sole 24 Ore, propone una strada innovativa: una commissione che ogni anno scelga mille persone da far diventare giornalista, giovani che hanno meritato e guadagnato sul campo il tesserino. La categoria gli appare “aggrappata alla corporazione e al passato”.
querele e sanzioni
Uno dei compiti principali, istituzionali, dell’Ordine -si ripete sempre- è garantire il rispetto delle norme deontologiche della professione. Dare ai cittadini e ai lettori l’assicurazione che chi è iscritto lavora nell’ambito delle regole base del giornalismo. Ma il giudizio su come l’Ordine amministra la “giustizia” professionale non è positivo. “L’Ordine tutela poco sulle querele temerarie contro i giornalisti. Non alza la voce quando c’è un potente che si fa sentire. Ma sanziona anche poco”, dice Giulio Gambino, direttore di Tpi, un’altra realtà interessante del web e ora anche della carta (un settimanale). “L’Ordine non sanziona”, dice Luca Sofri, responsabile del Post. “L’idea -risponde, da un’altra epoca, de Bortoli- è che la colleganza vince sempre”. Vale a dire: fra colleghi non ci si fa male.
L’accesso alla professione. Agnese Pini, direttrice della Nazione di Firenze sottolinea come vada delineato un percorso più chiaro, come per altre professioni. Il professor Mario Morcellini, già ordinario di Sociologia della Comunicazione alla Sapienza di Roma, vorrebbe affidare l’accesso alle università, sottrarlo al controllo dei giornalisti.
E poco senso sembra ormai avere la differenza fra professionisti e pubblicisti. Ora che molti pubblicisti non sono più persone che svolgono l’attività giornalistica in via secondaria, ma solo giornalisti che gli editori possono meglio sfruttare.
trattative con google
Poi, ci sono i temi del momento. La trattativa fra Ott, over the top, Google Facebook Amazon ed editori di tutto il mondo sul pagamento da parte dei primi del copyright sugli articoli presi dai media e messi sulle piattaforme. “Perché lasciare questo tema solo nelle mani degli editori? Dovrebbe partecipare anche il sindacato. E l’Ordine”, dice Piccinini.
E il problema pubblicità. Dice Sofri che l’Ordine non si occupa dei contenuti pubblicitari non segnalati. E Feltri: “Quando un giornalista si sente in difficoltà rispetto alla sua testata, alla sua professione o alla sua condizione, dovrebbe poter sentire che l’Ordine è dalla sua parte e non da quella dell’editore o del direttore. Per esempio se l’Ordine dicesse: le pagine redazionali dei giornali che sono ignobili ‘marchette’ non le può firmare un iscritto all’Ordine, ma un responsabile del marketing, dell’Azienda, o altro”.
Resta in tutti gli interventi la certezza del ruolo che il giornalismo può sempre svolgere. Il giornalismo è fatto dai cronisti, non dagli ideologi, sostiene de Bortoli, ci deve essere una linea che separa il racconto della realtà dalle tesi di parte. “Il giornalista deve essere, in quest’epoca un selettore di informazioni -secondo Cheli- Deve distinguere l’informazione vera da quella falsa, l’importante dalla secondaria”.
bocca sul vajont
Prendiamo la pandemia: oggi -secondo Feltri- il giornalismo non può più essere quello di Giorgio Bocca alla tragedia del Vajont, che ti porta sul posto con la capacità di descrivere immagini potenti. Oggi sul Vajont si tratta di saper montare un video, fare i tweet, raccontare una storia su Instagram: “Sulla pandemia il giornalista contemporaneo è quello che conosce e sa leggere la letteratura scientifica, la sa tradurre e spiegare, sa dire a che punto siamo nel dibattito sulla terza dose e sulla quarta, senza dover fare solo il reggimicrofono di un virologo”. Il valore aggiunto è però sempre lo stesso: scoprire cosa cosa non si sapeva, spiegare una cosa né capita né spiegata: “Giornalismo è migliorare qualità del dibattito pubblico, mettere i cittadini nelle condizioni di avere gli strumenti per gestire la vita in modo più consapevole”. Morcellini, proprio per questo, pensa che lo Stato debba sostenere il giornalismo.
L’importante è non ridursi a riprendere notizie dai social, dice Tartaglia, ma controllare le notizie. L’importante è non mettere in difficoltà persone che non lo meritano, non prendere di petto i poveracci, dice Feltri.
Infine, le due interviste ai due vertici della professione. Il presidente dell’Ordine, Bartoli: prima le regole della professione, poi la riforma dell’Ordine. A proposito, quella licenziata dal suo predecessore nel 2018 “non va più bene”. Il giornalismo? Deve coprire tutta la realtà sociale. Poi, c’è il discorso che riguarda le istituzioni pubbliche: “Vogliono un’informazione libera o un’informazione gestita dagli algoritmi?”. Per ora i governi hanno sostenuto gli editori con i prepensionamenti e non hanno favorito le assunzioni. Oggi la gran massa dei giornalisti “lavora come in miniera o alla catena di montaggio”.
E Giulietti, presidente Fnsi? Sovranismo e populismo sono all’assalto dell’informazione. Il sindacato deve avere tre obiettivi-chiave: equo compenso, querele temerarie, riforma dell’editoria, con la modifica di una legge vecchia di 40 anni. Questo governo sta facendo zero più zero, nel Pnrr non c’è una riga sui mezzi d’informazione. Poi, se lo dice da solo: ci vuole un’iniziativa forte, uno sciopero generale promossa proprio dal sindacato dei giornalisti. E conclude: la funzione del giornalismo va esaltata oggi, non attenuata.
(nella foto, Giorgio Bocca e Indro Montanelli, campioni del giornalismo del ‘900)
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