“Io scrivo, quindi sono giornalista e mi posso fregiare di tale titolo anche senza iscrizione all’Ordine dei Giornalisti”. Se questo problema fino a ieri sembrava riguardare solo siti o pagine social che si spacciano per testate giornalistiche, il fenomeno sta diventando più grave. C’è chi si propone alle testate giornalistiche in veste di giornalista pur non essendolo e riuscendo ad ottenere con l’inganno collaborazioni, anche ben retribuite, in spregio all’esercizio abusivo della professione, contemplato dall’articolo 348 del Codice Penale, che recita: “Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni con la multa da euro 10.000 a euro 50.000. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo”.
Ciononostante c’è chi si propone alle testate giornalistiche in qualità di giornalista, arrivando a definirsi tale anche su piattaforme professionali come LinkedIn, segnando, ad esempio, accanto al nome di questa o quella testata il ruolo ricoperto, cioè “giornalista freelance”.
Non c’è dubbio che a monte la responsabilità è delle testate, che non verificano, mentre dovrebbero chiedersi se l’aspirante collaboratore o collaboratrice, presentatisi come giornalisti, lo siano realmente. Una soluzione è quella di verificare l’eventuale iscrizione all’Albo professionale del soggetto aspirante collaboratore giornalistico, una soluzione che risparmierebbe alle testate giornalistiche la perdita di credibilità. Potrebbero, invece, salvaguardarla segnalando all’autorità giudiziaria e, per conoscenza, all’Ordine dei Giornalisti, il nome di chi si è macchiato di esercizio o tentato esercizio abusivo della professione.
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Anche questo l’ha uccisa.