Smart working, adesso è difficile tornare indietro.
Non si cancella tutto, neanche con la fine dell’emergenza. Il mondo è cambiato, quello del lavoro in particolare.
Al Corriere della Sera si è avviato un dibattito serrato. Il Comitato di redazione ha promosso un sondaggio e il risultato è stato sorprendente: stragrande maggioranza, 88 per cento, a favore della continuazione del lavoro da casa, in varie modalità e intensità. Il Cdr ha chiesto un incontro al direttore sul tema e Luciano Fontana ha risposto: “Credo che la priorità in questo momento sia seguire l’andamento della pandemia e prepararci al rientro di tutti i colleghi in presenza, dopo la fine dello stato di emergenza sanitaria. Organizzato in sicurezza il ritorno, potremo discutere dell’utilità organizzativa dello smart working nella, speriamo riconquistata al più presto, situazione di normalità”.
vedersi solo a cena
Gran parte della redazione però resiste. Soprattutto le donne. Un’assemblea sul tema, tenuta giovedì 17 febbraio, ha votato una mozione che affida al Cdr il compito di trattare con la direzione “sul tema dello smart working a rotazione, in ogni redazione, su base volontaria”. Al sondaggio del Cdr hanno risposto 207 giornalisti, oltre il 61 per cento della redazione. Il 12 per cento ha detto di preferire il ritorno in ufficio, il 23 per cento lavorerebbe in un luogo diverso dall’ufficio per 3 giorni su 5, il 22 per cento 2 giorni su 5, il 18 per cento per un pacchetto di giorni (tipo 30 l’anno), l’11 per cento 5 giorni su 5, l’8 per cento un giorno su 5, il 6 per cento 4 giorni su 5.
Nella discussione che ha preceduto l’assemblea sono intervenute molte donne. Hanno parlato di figli. “In questi due anni -ha detto una redattrice- è cambiato tutto, i nostri figli hanno imparato a vederci spesso a casa, anche se magari possiamo dar loro poca retta, visto che lavoriamo. Però ci siamo. Non reggo all’idea di dire alle mie figlie che dal 1° aprile torneremo a vederci solo a cena e un weekend sì e uno no. Trovo che sarebbe umano (oltre che intelligente, conveniente e anche furbo) arrivare a un accordo sullo smart working che consenta a chi lo desidera di lavorare da casa 2 giorni a settimana. Perché i dipendenti stanno meglio psicologicamente, perché si risparmia elettricità, perché si inquina meno, perché i bambini vedranno di più i loro genitori e si riuscirà magari a parlare mezz’ora al pomeriggio, invece che trovarsi solo la sera, quando si è tutti stanchi. Lo dico con dispiacere: io non mi riconosco in un’azienda che, dopo tutto quello che abbiamo passato, ci costringe a tornare nell’arco di 24 ore a una ‘normalità’ che non esiste più”.
bellissimo e crudele
Un’altra redattrice, che ha rinunciato a vedere da vicino i figli crescere, “a causa del nostro lavoro bellissimo e crudele”: “Se oggi la maledetta pandemia ha portato con sé un pezzo di benedetta tecnologia che permette, soprattutto a donne, a giovani, a chi vive presente e struttura il futuro di farlo in modo più equilibrato, con immutato spirito di servizio e dedizione, ma più autonoma gestione del proprio tempo di lavoro, perché negarlo a priori?”. E un’altra: “Ventidue anni fa, da mamma single, decisi di non rinunciare a vedere mio figlio crescere, ma sono stata costretta a rinunciare al percorso professionale che avevo intrapreso. Spero che nessuna/nessun collega delle giovani generazioni debba arrendersi così, resa e non libera scelta. Se lo smart working può essere d’aiuto ai padri e alle madri, ben venga un a discussione seria e pacata e magari una buona proposta da/per l’azienda che non penalizzi nessuno. D’altra parte il lavoro ibrido ormai è un trend mondiale, basta gestirlo al meglio”. Ancora: “Nel prepandemia ho visto con tantissima frustrazione e dolore il fatto di dover accompagnare mia figlia all’asilo alle 9 del mattino senza poi riuscire più a vederla, perché alle 10 di sera, una volta tornata a casa, lei dormiva: oggi mia figlia neanche ricorda tutte quelle assenze e la sera posso metterla a letto io, tra una fotonotizia e una schedina da fare. Non capisco questa ostinata e irriducibile presa di posizione contro lo smart working, che può essere adottato con modelli misti, ibridi, volontari”.
come all’ufficio postale
Ribatte una redattrice: “Il nostro lavoro è di relazione e di scambio e non mi pare si possa fare compiutamente da soli davanti a un computer”. Ribatte un’altra: “Scrivere da casa è come lavorare all’ufficio postale. La redazione vuota convincerà la proprietà a risparmiare sull’affitto della sede. Qual è la funzione dello smart working una volta finiti lo stato di emergenza e il rischio di contagio? Lo smart working è la morte del nostro lavoro”.
C’è anche il tema: fare lo smart working è un po’ nascondersi? “Se una persona vuole imboscarsi lo fa tanto a casa quanto al Corriere -sostiene una giornalista- Io credo che la stragrande maggioranza dei colleghi da casa ha lavorato quanto e più che in redazione, anche in orari assurdi”. Parole di un redattore uomo: “Informiamoci bene e riflettiamo prima di prendere posizioni manichee e superficiali. Non ci sono falangi. E non è bianco e nero. Fannulloni che odiano il lavoro da una parte e lavoratori indefessi che lo amano dall’altra. Sarebbe più semplice ma non è così”.
Professione Reporter
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