di SOFIA GADICI
A sorpresa, l’attacco più duro al provvedimento sulla presunzione d’innocenza arriva dal Procuratore di Milano facente funzione Riccardo Targetti, l’autore di una delle applicazioni del “decreto Cartabia” più restrittive in Italia.
Targetti ricorda che, in quanto Procuratore, lui dovrebbe applicare e non giudicare le leggi: “Ma come magistrato giudico questa legge difficile da applicare e come cittadino la giudico male. Non mi è piaciuta per niente. Introduce, secondo me, il concetto di velina di regime. Quando ho redatto la circolare interpretativa, mi sono chiesto se non stessi addossando a me, come Procuratore delle Repubblica, un grande potere, maggiore di prima. E se questo potere non sia concentrato in maniera troppo eccessiva per uno stato democratico”.
un apposito team
Targetti prova a mettersi nei panni dei giornalisti e riconosce che “l’impossibilità di avere delle verifiche è un problema. I giornalisti possono, grazie alle loro capacità, captare le notizie, ma a quel punto la verifica è fondamentale e fa va fatta immediatamente. Con questa nuova legge l’informazione rischia di rimanere monca e questo è giusto in un paese democratico?”.
Il procuratore ha discusso con i suoi colleghi per delimitare la portata della normativa e ha spiegato, per esempio, che la legge parla solo di penale e che non vieta le interviste, anche delle forze dell’ordine. Nessun problema, poi, per le informazioni riguardo le misure cautelari, che saranno fornite quando è possibile.
Inoltre, per rispondere al problema della tempestività, Targetti ha annunciato di stare valutando l’istituzione di un ufficio stampa. Un team che possa gestire la mole di lavoro aggiuntivo e con cui condividere il peso della responsabilità della scelta delle notizie che meritano o no di essere rese pubbliche.
interpretazioni diverse
Diritto di cronaca o presunzione di innocenza, legge bavaglio o provvedimento giusto. Targetti è intervenuto il 24 febbraio a Milano a un confronto tra magistrati, avvocati e giornalisti per discutere della nuova disciplina sulla diffusione delle informazioni riguardanti i procedimenti penali e gli atti di indagine.
La normativa – nota come “decreto Cartabia” – è entrata in vigore il 14 dicembre scorso e nella pratica limita il flusso di informazioni che dalle Procure arriva ai giornalisti, in modo più o meno restrittivo, a seconda dell’interpretazione fatta dalle Procure.
All’incontro, organizzato da Usigrai, Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi, ha sottolineato alcune storture del decreto, partendo di più recenti fatti di cronaca. In alcuni casi gli “eccessi interpretativi” delle Procure hanno determinato limitazioni del diritto di cronaca. “In materia di presunzione di innocenza sino stati commessi molti abusi. Questo nonostante le regole: ci sono le carte deontologiche, c’è il diritto di rettifica e quello di replica, spesso non si dà eguale visibilità all’assoluzione di un imputato. Su questo bisogna interrogarsi, ma limitare l’accesso alle informazioni sui procedimenti penali può provocare gravi rischi”. Il timore è che i giornalisti in cerca di informazioni possano attingere da fonti interessate, in una logica di dare e avere che non sarebbe a favore del pubblico.
procedura d’infrazione
Il presidente della Fnsi ha annunciato che la Federazione ha inviato una lettera al Commissario europeo per la Giustizia, chiedendo di valutare una procedura di infrazione per il decreto e di verificare la difformità tra il testo adottato in Italia e la direttiva europea da cui deriva. Per Giulietti, infatti, ci sarebbe stata un’applicazione del tutto arbitraria dei principi previsti dalla norma europea. La Fnsi ha chiesto quindi alla ministra Cartabia l’apertura di un tavolo congiunto, per discutere sulle modifiche necessarie e sugli altri temi che riguardano la professione, prima fra tutte la questione delle querele temerarie.
Per il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Riccardo Sorrentino, il decreto Cartabia è frutto di una eccesso di zelo: “Il nuovo sistema burocratizza e rallenta l’informazione e le azioni di polizia. Nessuno contesta il principio della presunzione di innocenza, ma molti giornalisti lamentano che le nuove regole rendono difficile fare cronaca, comprimono il diritto a dare e ricevere informazioni”.
Inoltre, il potere attribuito al Procuratore di decidere quali informazioni meritano o no di essere comunicate alla stampa minaccia il ruolo di “gatekeeping” del giornalista, già messo in crisi dai social network. “I giornalisti – ha sostenuto Sorrentino – hanno il diritto di determinare quale notizia sia meritevole o no di essere raccontata, come i magistrati hanno il diritto di determinare cosa sia o no interesse pubblico. Ma tutto questo rischia di minare la fiducia del pubblico e, in un’epoca di fake news, non è una cosa positiva”.
verifiche tempestive
Sorrentino richiama poi il rischio già accennato da Giulietti: “Senza il rapporto con l’autorità giudiziaria il giornalista dovrà fare crescente ricorso ad altre fonti e questo apre alla possibilità di ‘intorbidire i flussi di informazione’”. Il presidente dei giornalisti della Lombardia propone quindi una riforma del decreto e anche che venga concessa ai giornalisti la consultazione tempestiva e agevolata degli atti dei procedimenti che sono accessibili.
Cesare Giuzzi, giornalista del Corriere della Sera, ha portato nel dibattito la propria esperienza: “L’interpretazione della norma da parte della Procura di Milano – ha detto – è particolarmente restrittiva e la difficoltà a reperire informazioni si è già registrata. La norma non tiene conto dei tempi, della velocità del giornalismo odierno e del tipo di lavoro che facciamo. Il 70% del nostro tempo lo passiamo a smentire fake news. A questo scopo siamo soliti consultarci con le forze dell’ordine per sapere se un fatto è vero o no, una verifica tempestiva, che ora diventa quasi impossibile”.
fattore tempo
Inoltre, Giuzzi spiega che con questa normativa accade che notizie non vengano divulgate dalle autorità perché non rientrano nella categoria di “interesse pubblico”, o a causa di un sovraccarico di richieste: “Per noi giornalisti è importante avere tutte le informazioni possibili, perché anche gli eventi più piccoli sono importanti, sono il ‘termometro delle città’. Noi dobbiamo conoscere il più possibile, per leggere i tempi e interpretare il quadro generale”.
A favore del provvedimento e delle interpretazioni più restrittive si sono espressi gli avvocati Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano e Valentina Alberta, vicepresidente della Camera penale di Milano.
Nardo si è interrogato sugli abusi commessi dai giornalisti e sul fatto che la nuova normativa non contrasti con l’articolo 21 della Costituzione: “Il fattore tempo è una parte preponderante dell’articolo 21, oppure la parte preponderante è l’informazione, secondo i tempi possibili?”. Per l’avvocato alcuni casi eclatanti di abusi giustificano una più netta regolamentazione e anche l’uso che le forze dell’ordine, negli ultimi anni, hanno fatto della comunicazione e dei video doveva essere normata.
buon cibo con calma
L’avvocato Alberta ha sostenuto che il diritto dei giornalisti a pubblicare e raccontare storie “debba avvenire fuori dalle dinamiche processuali, allo scopo di garantire al massimo il diritto di innocenza degli indagati. Questo perché la rappresentazione della persona accusata è importante ed è sbagliato diffondere notizie pregiudizievoli e unilaterali nelle fase iniziali, quando queste informazioni non sono a disposizione degli avvocati difensori o degli accusati. Il punto centrale è che per noi penalisti il processo deve servire all’accertamento di responsabilità individuali e l’informazione sul processo non deve essere correlata alla celebrazione del processo stesso. Comprendo difficoltà la discrepanza temporale che ne deriverebbe, ma l’articolo 21 non include la rapidità dell’informazione. Credo che mangiare del buon cibo con calma sia meglio di un’abbuffata di junk food”.
(nella foto, la Procura di Milano)