di PIERO SANTONASTASO
Al 27 maggio i morti di lavoro nel 2022 in Italia sono 415, secondo i dati dell’Osservatorio Sicurezza Rete Iside-USB: 296 sul lavoro, 115 in itinere, 4 per Covid. Lombardia e Veneto si contendono il poco invidiabile primato: 56 vittime contro 55.
Una piaga sociale, scoperta solo di recente dai media e unicamente per via di qualche morte particolarmente cruenta e per le caratteristiche delle vittime: se giovani e di sesso femminile trovano spazio più facilmente, a volte persino in prima o nei titoli di testa. Altrimenti anche nelle redazioni vige una convinzione affatto singolare e molto italiana: chi lavora mette in conto la possibilità di rimetterci la pelle, quasi fosse un codicillo in calce ai documenti contrattuali (quando esistono).
mancano all’appello
Non mancano gli esempi, come il recente affondamento in Adriatico del rimorchiatore Franco P, costato la vita a cinque marinai, due dei quali mancano ancora all’appello. Un naufragio molto particolare che però non ha trovato e continua a non trovare spazio sulla carta, in tv, alla radio o sul web.
I fatti: il 18 maggio intorno alle 21 il rimorchiatore Franco P affonda nell’Adriatico, 50 miglia al traverso di Bari, in acque internazionali. Con mare forza 5 e raffiche di vento, lo scafo si inabissa in una ventina di minuti e l’equipaggio non ha nemmeno il modo di lanciare un SOS. Dei sei a bordo si salva soltanto il comandante, il 63enne Giuseppe Petralia, recuperato da un traghetto di passaggio. I cadaveri di tre degli altri cinque marinai vengono ritrovati quasi subito: quelli di Luciano Bigoni, 65 anni, e Andrea Massimo Loi, 58 anni, entrambi di Ancona; e del 63enne tunisino, residente a Pescara, Jelali Ahmed. Dopo 10 giorni mancano ancora all’appello il nostromo Sergio Bufo, 60 anni, e il direttore di macchina Mauro Mongelli, 59 anni, entrambi di Molfetta, forse rimasti intrappolati sotto coperta. Il Franco P era partito quattro giorni prima dal porto di Ancona trainando il pontone AD3, destinazione porto di Durazzo, in Albania. L’allarme è stato dato dagli 11 uomini a bordo del pontone, dopo aver tagliato il cavo di traino per non seguire il rimorchiatore in fondo al mare, in quel punto profondo mille metri.
ritardi biblici
Un incidente e un mistero da film, tanto per non usare luoghi comuni, quindi in teoria molto appetibile per i media. Invece la vicenda non ha smosso più di tanto. Forse per le caratteristiche delle vittime. Oppure perché ci sarebbe bisogno di gente sul campo, di inviati, di esperti, roba che costa. Senza contare le mutate condizioni operative di chi fa informazione: contratti progressivamente peggiorativi, organici all’osso, orari sempre più compressi hanno fatto sì che persino la notizia nuda e cruda venisse diffusa con ritardi biblici. Il primo lancio di agenzia sul Franco P è arrivato infatti 12 ore dopo l’affondamento, la mattina del 19. Ecco perché quel giorno la vicenda non era sui giornali in edicola, ma nemmeno alla radio, sul web o in tv.
I morti del rimorchiatore misteriosamente affondato non erano però sulle prime pagine nemmeno il giorno dopo, 20 maggio. Ne parlavano in prima, quasi per dovere territoriale, soltanto il Corriere Adriatico e la Gazzetta del Sud, oltre a La Sicilia, molto attenta alle vicende della marineria. Paradossalmente la Repubblica, il giornale che prima degli altri ha iniziato ad arare in modo sistematico ma ancora insufficiente l’argomento morti di lavoro, non riportava nemmeno la notizia.
anziani con la pancia
Il già scarso interesse generale si è poi andato ulteriormente affievolendo con il passare dei giorni. Restano così il silenzio intorno al mistero di un rimorchiatore in fondo al mare e cinque morti di lavoro negletti. Forse perché era gente che faceva un mestiere rischioso? O perché erano anziani e con la pancia?
Di spunti giornalistici in realtà ce ne sarebbero: ad esempio il Franco P era un rimorchiatore costruito in Louisiana nel 1975, un’era geologica fa rispetto ai mezzi più moderni, eppure aveva la sua brava certificazione Rina. Limitando il campo, sempre ad esempio, il Franco P aveva già causato un incidente mortale nel 2009, quando nel porto di Ancona si spezzò il cavo di traino. Tutto a posto con la compagnia armatrice?
intollerabile e basta
Comunque sia, resta una vicenda amara per l’informazione, che sull’argomento vittime del lavoro va a giorni alterni e con modi dilettanteschi. Si racconta il fatto, si riportano i “basta” e gli “intollerabile” del politico o del sindacalista di turno, (qualcuno potrebbe chiedere, tanto per vedere l’effetto che fa: “Scusi, qual è il numero tollerabile di morti sul lavoro?”), e il gioco è fatto. Avanti il prossimo.
Scontiamo decenni di approssimazione e disinteresse. L’argomento lavoro in generale trova poco spazio sui media, soprattutto se messo a confronto con le paginate dedicate all’economia e alla finanza. In tutto questo, i morti sono considerati da sempre parte del gioco, al punto da averli sterilizzati sotto l’etichetta “morti bianche”. Sono invece morti di lavoro e come tali bisognerebbe cominciare a chiamarli. Ma a chi volete che importi la storia di cinque vecchi marinai morti in mare?
(nella foto, Franco P, il rimorchiatore affondato)