La pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina influiscono negativamente sulla libertà di informazione e sulla sorte dei giornalisti, pesantemente sotto attacco in Russia, in Cina e nell’intero continente asiatico.
A lanciare l’allarme, in occasione della Giornata mondiale della stampa, è l’organizzazione Reporter senza frontiere (Rsf), che pubblica la sua classifica 2022 sullo “stato di salute” dell’informazione e l’esercizio della professione in 180 Paesi nel mondo. Globalmente -riporta Agi.it– Rsf ha riscontrato un forte peggioramento della libertà di stampa, in particolare in quasi tutto il continente asiatico. Mosca è osservata speciale.
Nel giro di un anno ben 12 Paesi asiatici sono entrati in questa cerchia nera, di cui, tra gli altri, fanno parte Afghanistan e Bielorussia. La Cina è al 175mo posto della classifica, la Corea del Nord, al 180mo posto. Pechino è accusata di aver privato la popolazione di informazioni dal resto del mondo in piena pandemia.
La Russia è al 155mo posto, in calo di cinque posizioni rispetto al 2021. I principali motivi di preoccupazione e criticità da parte di Rsf riguardano la massiccia propaganda del regime e la sua repressione delle voci dissidenti.
I media indipendenti russi sono stati costretti a chiudere, tra cui l’emblematica Novaya Gazeta, diretta da Dmitry Muratov, Nobel per la Pace. Più di 200 giornalisti indipendenti hanno dovuto lasciare il Paese. Per chi è rimasto in patria e cerca di fare il proprio lavoro – tra cui Tatiana Felgengauer, in passato all’Eco di Mosca – pronunciare la parola “guerra”, pubblicare indagini indipendenti, comunicare bilanci umani e materiali del conflitto, comporta il rischio di finire in carcere.
I primi tre posti della classifica Rsf sono stati assegnati a Norvegia, Danimarca e Svezia. Alla Germania va il 16mo posto, mentre la Francia guadagna ben otto posizioni, al 26mo rango. Gli Stati Uniti arrivano alla 42ma posizione, l’Italia alla 58ma (l’anno scorso era 41esima), il Giappone alla 71ma, l’Algeria alla 134ma. In fondo si trovano Iran, Eritrea e Corea del Nord.
Nel rapporto Rsf esprime preoccupazione per una deriva sempre più manifesta nei Paesi democratici, definita come “Fox Newsisation dei media”, neologismo che richiama all’emittente televisiva Usa: “La polarizzazione mediatica rafforza e alimenta le divisioni all’interno della società, le crescenti tensioni sociali e politiche vengono accelerate dai social network e dai nuovi media di opinione, in particolare in Francia”.