L’intervista di Marco Damilano al filoso francese Bernard-Herni Lévy nella puntata di Il cavallo e la torre su Rai3 lunedì 19 settembre alle ore 20.40 “ha violato i principi di correttezza e imparzialità sanciti dalle disposizioni in materia di par condicio“. Lo ha deciso l’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), con il voto contrario della Commissaria Elisa Giomi. Ritenendo insufficiente per riequilibrare e sanare le violazioni riscontrate la messa in onda della puntata di ieri, martedì 20 settembre, Agcom ha ordinato alla Rai di trasmettere, in apertura della prima puntata utile del programma, un messaggio in cui il conduttore Damilano comunichi che nella puntata del 19 settembre non sono stati rispettati i principi di pluralismo, obiettività, completezza, correttezza e lealtà. E così è stato.

Cosa è successo a “Il cavallo e la torre”, striscia quotidiana di Rai 3, la sera del 19 luglio?

Marco Damilano, il conduttore, ha invitato il filosofo francese Bernard-Henry Lévy. 

Per prima cosa, gli ha chiesto un parere su Meloni e Salvini. 

Risposta:”Meloni non la conosco. Con Salvini ho avuto degli scambi in tv. Lo trovo patetico e ridicolo, una persona di straordinaria debolezza. Oggi si sta preparando una cosa molto rischiosa per l’Italia. l’Italia merita meglio di Salvini, Meloni e Berlusconi”. 

europa e populismo

Damilano gli chiede come l’Europa dei tecnici abbia preparato il terreno al populismo. 

Henry Lévy: “L’Europa dei tecnici sarebbe responsabile della corruzione degli uomini di Salvini, traditori della patria che negoziavano il futuro del Paese nel retrobottega con inviati dell’ambasciata russa? Cosa c’entra l’Europa con Berlusconi che ha potuto dire che Putin è un umanista, di grandi qualità morali? Oggi in Europa c’è una tentazione fascista, in particolare nei prossimi giorni in Italia. Non cerchiamo capri espiatori”. 

Damilano replica: “Sono sue parole, molto dure”. Poi chiede: “L’elettorato va sempre rispettato in democrazia?”

Lévy: “No, quando l’elettorato porta al potere Hitler, o Mussolini, o Putin la scelta non è rispettabile. Ci sono due elementi: la volontà popolare e il rispetto dei principi fondamentali della democrazia e possono non andare insieme”.

cancellare la democrazia

Damilano: “Mi permetta di dissentire, almeno sul suffragio universale. La democrazia si basa sul voto popolare. Qui la campagna elettorale non è in mano a un partito che vuole cancellare la democrazia”.

Si passa poi a parlare della guerra in Ucraina e, alla fine, Damilano chiude la puntata così: “L’Italia non è la Russia di Putin. Andiamo al voto il 25 settembre in una situazione contendibile, prima caratteristica della democrazia”.

Marco Damilano finisce sotto attacco. Il leader della Lega, Matteo Salvini, parla di “comizio da 1000 euro a puntata”. Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, su Facebook: ”Il servizio pubblico italiano ospita (o paga? La domanda è ufficiale) uno scrittore francese per spiegarci in due minuti l’idea di democrazia della sinistra e per paragonare un’Italia a guida centrodestra ai peggiori regimi. Sintetizzo in poche parole: se gli italiani – votando – scelgono Fratelli d’Italia o la Lega non vanno rispettati”. 

violenza verbale

Il presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Alberto Barachini (Forza Italia): “Quanto accaduto rappresenta una palese, plurima violazione della normativa sulla par condicio, in spregio dei basilari principi di pluralismo, imparzialità ed equilibrio che devono orientare il servizio pubblico. L’ospite internazionale, estraneo alla competizione elettorale, ha svolto un lungo e violento monologo diretto ad alcuni soggetti politici senza contraddittorio e ha rivolto un grave attacco contro la democrazia italiana, rappresentata come un Paese esposto a derive autoritarie e anticostituzionali”. Infine ha contestato apertamente Damilano: “Non solo è stato incapace di arginare la violenza verbale del suo ospite in piena par condicio e di riequilibrare l’evidente faziosità dello stesso, ma ha contribuito alla distorsione del dibattito con la sua premessa e con domande tendenziose. La vicenda è tanto più preoccupante in quanto avvenuta nel servizio pubblico, a pochi giorni dal voto, in apparente totale assenza di controllo editoriale“.

Critica anche l’UsigRai, sindacato dei giornalisti Rai, che parla di “una puntata a senso unico, con un contraddittorio debolissimo. L’UsigRai ritiene che il pluralismo nel servizio pubblico debba applicarsi anche alle trasmissioni di rete come ‘Il cavallo e la torre’. E pensare che il conduttore, scelto all’esterno dell’azienda, nonostante si potesse contare fra quasi 2000 profili interni, era stato presentato dall’amministratore delegato Carlo Fuortes come ‘il giornalista più adeguato’ per ‘informare, intrattenere, fornire strumenti conoscitivi, restando fedeli al sistema di valori aperto e pluralista che il nostro Paese e l’Europa hanno saputo sviluppare in questi decenni’. Ci chiediamo dove fosse il valore del pluralismo nella puntata di ieri”.

Il giorno successivo, 20 settembre Damilano ha iniziato dicendo: “Da alcune affermazioni fatte ieri sera da Henry-Levy ho preso le distanze in diretta, altre non le condivido e l’ho detto ieri, lo ripeto oggi”. Ha poi intervistato il politologo della Luiss, Giovanni Orsina. Gli ha chiesto se il fascismo è alle porte? Risposta: “Parlare di fascismo è ridicolo, perché non c’è nessuno che vuole impiantare un regime fascista in Italia. L’Italia dispone di contropoteri solidi capaci di evitare svolte totalitarie. Dell’antifascismo si è abusato, è stato usato contro avversari politici che fascisti non sono ed è diventato inefficace”.

(nella foto, Bernard-Henry Lévy e Marco Damilano)

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