“L’omosessualità è un disagio identitario”. “Parlare di cambio di sesso è assurdo”. Due frasi del leader del “Family Day” Massimo Gandolfini, che doveva essere relatore di un corso dell’Ordine dei giornalisti Lombardia e della Fondazione Brunelli Onlus, a Brescia il 23 settembre, organizzato da Fast, Federazione delle associazioni scientifiche e tecniche .
Il corso di formazione era intitolato: “Approccio alla persona con disforia di genere e medicina transgender”. Il corso attribuiva agli iscritti 4 crediti. Oltre Gandolfini (presentato dall’Ordine come “primario di neurochirurgia alla Fondazione Poliambulanza di Brescia”) gli altri relatori erano giornalisti, medici, endocrinologi. L’Espresso ha pubblicato un articolo sulla singolare presenza di Gandolfini e il corso è stato cancellato. Lo ha annunciato su Facebook l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.
Da tempo l’Ordine prevede corsi per combattere la scarsa diffusione dell’informazione scientifica sull’argomento, aprire ad un linguaggio inclusivo e non discriminatorio e lavorare sul modo in cui la cronaca restituisce fatti ed eventi che riguardano le tematiche Lgbt. Generava dubbi, dunque, la presenza di Massimo Gandolfini, che ha fatto il suo ingresso nella scena mediatica nel 2015 proponendo di risolvere l’incidenza dei suicidi tra i giovani lgbt con una “correzione del disagio identitario”. Vale a dire accompagnandoli verso l’eterosessualità.
Gandolfini in Italia è stato tra gli organizzatori del World Congress of Family, cioè il Congresso di Verona che nel 2019 ha riunito il movimento antiabortista, antifemminista e anti-Lgbt.
Nell’articolo di Simone Alliva, L’Espresso lo segnalava come protagonista di “crociate contro l’eutanasia, contro i diritti delle coppie gay e lesbiche, delle famiglie arcobaleno e dei loro figli, contro l’educazione di genere e sessuale, contro il supporto e l’accoglienza di bambini e giovani trans”. Sul quotidiano La Verità ha definito l’aborto “omicidio” e “doverosa” la decisione ungherese di far ascoltare il battito cardiaco del feto prima di interrompere la gravidanza. Nel 2015 Gandolfini sostenne che tra le 58 identità di genere approvate da Arcigay e tra cui era possibile optare su Facebook per connotare il proprio profilo, vi fosse anche la pedofilia e per questo nel 2019 il Tribunale di Verona lo ha condannato per diffamazione: quattro mesi di reclusione, poi convertiti in una sanzione pecuniaria di 40mila euro all’Arcigay.