I fotografi che lavorano a tempo pieno per un giornale sono giornalisti a tutti gli effetti. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, in un’importante decisione, che riguarda quattro fotografi della redazione romana del Corriere della Sera. La sezione lavoro della Suprema Corte (ordinanza n. 24439 dell’8 agosto 2022, presidente Umberto Berrino, relatore Francesco Buffa) ha affermato un principio di diritto cui dovranno d’ora in avanti attenersi i giudici italiani: “Costituisce lavoro giornalistico subordinato il lavoro svolto da fotografi che, nel realizzare (pur con autonomia tecnica) foto a corredo informativo degli articoli (così da integrare ed arricchire quella del testo scritto), ed inviando il prodotto in redazione, coprono in via pressoché esclusiva specifici settori informativi, assicurando il servizio e tenendosi quotidianamente in contatto con la redazione (dalla quale ricevevano indicazioni su cosa fotografare nonché l’abbinamento con il giornalista per la realizzazione del servizio), integrando la relativa attività un inserimento stabile del lavoratore nell’assetto organizzativo del giornale”. La sentenza è stata descritta e commentata da Pierluigi Franz su Giornalistitalia.
342 mila euro
Accogliendo un ricorso dell’avvocato Marco Gustavo Petrocelli, legale dell’Inpgi 1, è stata annullata la sentenza emessa sei anni fa dalla Corte d’appello civile di Roma. Questa condannava la società Rcs Media Group al pagamento in favore dell’Inpgi (ora Inps) di 342 mila 814 euro per contributi previdenziali e relative sanzioni dovuti per tre giornalisti in base ai risultati del Servizio ispettivo. Aveva, invece, ritenuto non dovuti i contributi per quattro fotografi.
creativi e intellettuali
I giudici di appello romani -scrive Franz- avevano spiegato che la loro decisione si basava su due principi di fondo. Il primo: la mancanza di obbligo di presenza in redazione e di una postazione ivi assegnata facevano ritenere, pur in presenza di un impegno continuativo, che non fosse ravvisabile il vincolo di subordinazione; il secondo: l’attività non poteva ritenersi di carattere giornalistico in difetto di prova che essa implicasse scelte di carattere creativo ed intellettuale dei fotografi, i quali non avevano accesso al sistema editoriale, ed essendo le foto riviste dalla redazione per eventuali esigenze di impaginazione.
La Cassazione ha ribaltato il verdetto dando pienamente ragione all’Inpgi 1 e ai quattro fotografi che potranno ottenere tutti i contributi arretrati e vedersi riconosciuto dall’Ordine territoriale il diritto di accedere all’esame da professionisti. In realtà, si dovrà attendere altro tempo per un nuovo e ultimo verdetto della Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che, però, dovrebbe essere in linea perché sono stati contestualmente respinti in via definitiva tutti gli 8 motivi del controricorso della società Rcs Media Group.
Risultato finale: a Roma, per una causa di lavoro, più di 15 anni prima che venga emessa una sentenza definitiva.