Nell’inchiesta de L’Espresso sul cardinale Angelo Becciu, firmata da Massimiliano Coccia, non ci fu diffamazione, né denigrazione. Lo ha stabilito il Tribunale civile di Sassari mercoledì 23 novembre, con una sentenza della giudice Marta Guadalupi. La richiesta di risarcimento danni, per 10 milioni di euro, presentata da Becciu, è stata respinta. Il cardinale di Pattada, 74 anni, è stato condannato al pagamento delle spese processuali, 40mila euro, in favore del gruppo editoriale Gedi e dei tre giornalisti citati in giudizio: Massimiliano Coccia, la caporedattrice Angiola Codacci Pisanelli e l’allora direttore Marco Damilano.
Il cardinale Becciu aveva chiesto un risarcimento di 10 milioni – che sarebbero andati in beneficenza – ritenendo di essere stato diffamato e denigrato dall’inchiesta del settimanale sull’utilizzo dei fondi del Vaticano e sulle sue dimissioni. Chiedeva anche che fossero rimossi dai siti web di pertinenza del gruppo Gedi gli articoli “diffamatori”, e che fosse inibita la pubblicazione di ulteriori servizi sull’argomento.
Secondo la giudice, che ha accolto le tesi difensive degli avvocati Virginia Ripa di Meana ed Elisa Carucci, “l’interpretazione dei fatti offerta dagli articoli in questione deve ritenersi del tutto lecita nell’ambito dell’esercizio di critica, seppur indubbiamente espressa in modo duro, aspro e polemico (ma mai contumelioso), direttamente proporzionale al ruolo di altissimo livello ricoperto dell’attore”. E ancora, si legge nella sentenza, “pretendere la censura a priori del giornalismo esplicato mediante la denuncia di sospetti di illeciti, significherebbe degradare, fino ad annullarlo, il concetto stesso di giornalismo di inchiesta e di denuncia”.