di ELETTRA BERNACCHINI
Lydia Polgreen, storica ex-caporedattrice di Huffpost, è diventata nel 2022 un’editorialista del New York Times. Nell’articolo a tutta pagina dello scorso 29 novembre, ha parlato della necessità di salvaguardare e supportare la stampa locale: da questa, ha scritto, dipende “il futuro della democrazia e la salute, a lungo termine, della cittadinanza intera”.
A spingere Polgreen ad affrontare il tema è stato, prima di tutto, un fatto personale: il Times Union, giornale attivo in una piccola area dello stato di New York, ha licenziato diversi giornalisti. “Ho iniziato la mia carriera lavorando per questa testata locale”, racconta Polgreen. “A quell’epoca, ho imparato a superare la paura di bussare alle porte degli sconosciuti, ad avere conversazioni distaccate con politici e uomini d’affari, a fare domande alle persone che stavano vivendo il giorno peggiore della loro vita”. In breve, a fare la giornalista.
vita civile peggiorata
In una situazione simile a quella del Times Union si trovano, attualmente, molte altre testate locali statunitensi, come segnala un report realizzato dal Medill Local News Initiative della Northwestern University, un gruppo di ricercatori che si occupa di analizzare le nuove realtà dell’informazione. “Dal 2005 – cita Polgreen – oltre un quarto delle testate locali hanno chiuso, mentre le poche rimaste, se considerate tutte insieme, si servono di almeno il 60% di giornalisti in meno”. Ancora: “Ci sono evidenze che dimostrano la correlazione tra l’erosione del giornalismo locale e il peggioramento della vita civile di una comunità di cittadini: declino della partecipazione al voto, più corruzione nelle istituzioni e inspiegabili aumenti delle tasse”.
La tendenza, quindi, è tutta a discapito di chi vive in queste aree, che per sopperire a tale mancanza finisce per informarsi, come può, solo attraverso i social network o la televisione nazionale. “Luoghi – scrive sempre Polgreen, riprendendo il report di Local News Initiative – dove le divergenze tra le persone si inaspriscono”. Il contrario, in linea di massima, di quello che accade con le fonti di informazione locale, che dettano un’agenda comune per tutti coloro che le hanno a riferimento, trasmettendo un maggiore senso di condivisione e comunità.
fatti generalizzati
Il principio è abbastanza semplice: riportare regolarmente notizie che interessano da vicino più persone, spinge queste stesse a confrontarsi sul tema e a scoprire, magari, che affrontare un problema in gruppo è più facile – e con più probabilità di successo – che non individualmente. All’opposto, spesso le notizie che circolano online sono relative a fatti generalizzati, o lontani nello spazio rispetto a dove si trova l’utente, e chi le legge è indotto a fare un commento fine a sé stesso, dettato da un qualche tipo di ideologia, che non ha risvolti nella realtà pratica. Supportare le piccole testate è di vitale importanza anche dal punto di vista della professione giornalistica.
Come ricorda Polgreen, le grandi inchieste sul Watergate o sugli abusi sessuali compiuti da membri della Chiesa cattolica sono partite grazie al lavoro di “semplici” reporter cittadini, del Washington Post e del Boston Globe. In Italia, un esempio su tutti è quello di Giancarlo Siani, corrispondente da Torre Annunziata del Mattino di Napoli, che grazie alle sue inchieste portò alla luce le connivenze sorte tra politici e criminalità organizzata, e per questo fu ucciso.
processo a nove giovani
Inoltre, in un panorama informativo bulimico, ma allo stesso tempo estremamente omologato, il giornalismo di prossimità può essere lo strumento adatto a recuperare una diversità di punti di vista. Scrive ancora Polgreen: “A St. Paul, Minnesota, Mukhtar Ibrahim, un immigrato di origine somala, ha fondato il Sahan Journal con il quale ha seguito, quotidianamente, un processo a carico di nove giovani della comunità somala che erano stati accusati di combattere in Siria per lo Stato Islamico. A differenza delle newsroom, che abbandonano una storia quando non è più calda, la testata locale può fare un lavoro più approfondito, e far sentire anche alle minoranze presenti sul territorio di avere una voce in capitolo”.
Una soluzione possibile, in ottica di sostenibilità della testata, che negli Stati Uniti ha iniziato a essere adottata soprattutto negli ultimi due anni, è quella di diventare un giornale no-profit, rinunciare alle entrate pubblicitarie e affidarsi completamente a sussidi pubblici e contributi dei lettori. Un azzardo, forse, che però per una testata di piccole dimensioni può fare la differenza. Si pensi all’esperienza di Piazza Grande di Bologna, attivo dal 1993, soprattutto sui temi legati all’inclusione sociale.
Innovazioni e strategie, in questo senso, non mancano, e il web può diventare un alleato prezioso se unito a una visione giornalistica precisa: quando l’impianto produttivo risulta solido e capace di fare informazione in modo puntuale, arriverà di conseguenza anche il supporto di una comunità di lettori.
(nela foto, Lydia Polgreen)