di ELETTRA BERNACCHINI e SILVIA SERAFINI

“Chiudiamo perché non troviamo personale, i giovani preferiscono i sussidi”. È questa la sintesi di molti articoli che ciclicamente appaiono su alcune delle maggiori testate italiane e che puntualmente vengono rilanciati sulle pagine social. Uno storytelling che ricalca le problematiche del post-covid legate alla carenza di personale nella ristorazione e nel turismo, ma che può provocare una certa disaffezione dei lettori.
La storia è sempre la stessa: una piccola attività commerciale, spesso a gestione familiare, si trova costretta a chiudere i battenti perché, nonostante la pubblicazione di annunci e i molti colloqui di lavoro effettuati, non è riuscita trovare la figura adatta a ricoprire il ruolo di commesso, cameriere o barista che viene ricercata. Queste vicende vengono quasi sempre raccontate dal punto di vista dell’imprenditore, a cui viene dato spazio per spiegare quali siano, secondo lui, le cause alla base di queste difficoltà. E le risposte sono solitamente due: il disincentivo a lavorare innescato dal reddito di cittadinanza e la scarsa voglia di fare gavetta dei giovani. 

quattrocento curricula

Su questo filone, recentemente ha fatto molto discutere l’articolo pubblicato dal Corriere della Sera riferito alla chiusura della pasticceria “Vecchia Milano” – ripreso anche da Aldo Cazzullo nel suo editoriale di domenica 8 gennaio, dal titolo “L’orgoglio (del lavoro, ndr) che va ritrovato”. Nell’articolo, a firma di Laura Vincenti, viene dato spazio alle dichiarazioni del proprietario, oggi 83enne, che lamenta la “mancanza di manodopera specializzata”, affermando che “ragazzi che sanno a malapena riempire un cannoncino hanno pretese da professionisti”. E anche che “l’unica candidata papabile” per il ruolo di cameriera, selezionata tra ben 400 curricula, ha rifiutato perché “non voleva perdere il sussidio”. 

Il tono dei commenti sotto al post di Facebook contenente l’articolo del Corriere, però, sottolinea come questa narrazione sia unilaterale, con gli utenti che rimarcano l’assenza del punto di vista dei lavoratori, spesso giovani e giovanissimi, quasi mai interpellati da chi redige gli articoli. 

fannulloni e cause reali

Tra i tanti pensieri riportati, spicca quello della giornalista 35enne Charlotte Matteini: “Ci abito praticamente attaccata: erano carissimi, sempre storie per accettare i pagamenti con pos, trattavano malissimo i dipendenti davanti a tutti e pure i clienti. Piantatela con questa retorica dei fannulloni senza mai andare ad approfondire le cause reali”. Charlotte, collaboratrice di Today.it, Il IlFattoQuotidiano.it e TPI, lo scorso ottobre ha aperto un canale Tiktok, che oggi conta oltre 53 mila follower, dove si dedica alla “divulgazione giornalistica”, con attenzione ai temi legati alla difficoltà dei giovani nel trovare un’occupazione dignitosa. 

Attraverso i video che pubblica, Matteini porta alla luce decine di annunci di lavoro reperibili sul web in cui vengono proposte paghe misere, orari di lavoro molto lunghi e garanzie contrattuali assenti, spesso contattando direttamente il titolare dell’attività per chiedere spiegazioni. 

traffico nel sito

Il caso della pasticceria “Vecchia Milano”, sotto casa sua, è dunque solo l’ultimo dei tanti che ha trattato. “In questa situazione, – afferma la giornalista – sarebbe bastato farsi un giro su Tripadvisor per leggere le recensioni negative del locale, invece è evidente che non sono state fatte verifiche rispetto alle dichiarazioni rilasciate. Lo stesso vale per altre storie simili, come quella dell’azienda friulana Cospalat, dove fuori da uno degli spacci aziendali è apparso un cartello con scritto che l’attività sarebbe stata sospesa per ‘mancanza di personale che abbia un minimo di voglia di lavorare’”. 

Secondo Matteini, i motivi per cui la retorica dei “giovani sfaticati” prevale nella narrazione giornalistica italiana sono essenzialmente due: la fame di click delle testate e l’impossibilità, per i giovani cronisti, di fare un lavoro di qualità. “Pubblicando questi articoli, si alimenta la discussione su un tema caldo come quello del reddito di cittadinanza – dice Matteini – e, contemporaneamente, si attira traffico nel proprio sito: in questo senso va bene anche un articolo che rischia di danneggiare la reputazione del giornale, posto che il tono dello stesso dipende anche dalla linea della testata”.

sbarcare il lunario

L’altro problema è il lavoro giornalistico sottopagato e precario: “Spesso i giornali fanno affidamento su cronisti che per sbarcare il lunario devono scrivere moltissimi articoli, e pertanto non hanno il tempo per verificare ogni cosa”. I social potrebbero essere una soluzione, se non ci si lascia limitare dalla logica della viralità. “Attraverso Tiktok, – racconta ancora Matteini – sono riuscita a raccogliere attorno a me una folta community di utenti: alcune testate mi hanno notato e mi hanno invitato a scrivere degli stessi temi che affronto nei video”. Rimane l’incognita di come convertire la buona informazione, che sia sui social o meno, in entrate economiche che permettano una sostenibilità del mercato al 100%. Senza una risposta a questo problema, sembra difficile cambiare la narrazione. “La categoria – conclude Matteini – dovrebbe farsi un esame di coscienza: il giornalismo etico si fa solo se i giornalisti stessi sono trattati in modo etico”.

(nella foto, la pasticceria Vecchia Milano)

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