di ALBERTO FERRIGOLO
Hanno lasciato l’Ucraina Andrea Sceresini e Alfredo Bosco, i due giornalisti italiani bloccati dal governo di Kiev perché ritenuti collaborazionisti con il regime russo. La decisione è riassunta in una lettera inviata al loro legale, l’avvocato Alessandra Ballerini: “Questo pomeriggio, dopo 19 giorni in attesa di spiegazioni ufficiali che non sono mai arrivate, abbiamo deciso di lasciare l’Ucraina. Era il 6 febbraio quando i nostri accrediti giornalistici sono stati sospesi dal ministero della Difesa di Kyiv. Da allora non abbiamo più potuto svolgere il nostro lavoro di reporter, e per ragioni di sicurezza abbiamo dovuto lasciare il Donbass alla volta di Kyiv. Abbiamo contattato più volte le autorità ucraine, che sono state sollecitate, oltre che dalla Ambasciata, anche dall’Ordine dei giornalisti, dalla Fnsi e dal nostro avvocato Alessandra Ballerini. Ci era stato detto che avremmo dovuto sottoporci a un interrogatorio da parte dell’Sbu, i servizi di sicurezza di Kyiv. Per 19 giorni, come ci era stato espressamente richiesto, abbiamo atteso con pazienza questa convocazione che tuttavia non c’è mai stata”.
entrambi i fronti
Nel frattempo le uniche voci che hanno iniziato a circolare dal 6 febbraio sono quelle che descrivevano Sceresini e Bosco come ‘propagandisti filorussi’ e ‘collaboratori del nemico’: “Si tratta di calunnie gravissime e pericolose, specie in zona di guerra. La nostra colpa – così ci è stato detto dalla Farnesina – sarebbe quella di aver raccontato il conflitto su entrambi i fronti a partire dal 2014, realizzando inchieste e reportage (peraltro non certo in favore dei russi) anche nelle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Tanto sarebbe bastato a renderci automaticamente dei giornalisti ‘nemici’. Il 21 febbraio – stando a quanto ci è stato riferito dall’Ambasciata italiana – le autorità ucraine hanno persino messo il veto sulla nostra partecipazione alla conferenza stampa Meloni-Zelensky”.
lista di proscrizione
Questo nonostante il fatto che l’elenco dei giornalisti che avrebbero potuto prendere parte all’evento fosse stato compilato dai diplomatici italiani, e che non fosse necessario alcun accredito militare: “È stato questo episodio, in particolare, a farci capire che la nostra attesa era diventata inutile. Lasciamo l’Ucraina con grande amarezza, dietro consiglio della nostra Ambasciata. Prima e dopo di noi, a loro insaputa, altri giornalisti italiani sono stati inseriti in questa ‘lista di proscrizione’, a cominciare da Salvatore Garzillo e Lorenzo Giroffi. Se passerà questa linea – secondo la quale chi ha cercato di lavorare liberamente, senza fare il tifo, ma semplicemente raccontando i fatti, debba essere considerato una minaccia per l’Ucraina – allora il rischio è il livello di libertà di stampa in questo conflitto si abbassi sensibilmente. Tutti i giornalisti stranieri avranno davanti agli occhi il nostro precedente, e chi probabilmente avrà la meglio – se si procederà in questo senso – saranno i propagandisti e gli uffici stampa. È per evitare questa prospettiva – nella speranza che le autorità ucraine tornassero sui loro passi – che abbiamo deciso di resistere per questi 19 giorni. Oggi, alla luce di ciò che è successo, restare non avrebbe più senso. Speriamo che tutto ciò sia comunque servito a lanciare un messaggio forte, contro ogni censura e contro ogni bavaglio”.
black list
Sceresini e Bosco sono rimasti bloccati in Ucraina, senza potersi muovere e poter lavorare. Un terzo freelance, Salvatore Garzillo, stava per entrare in Ucraina dalla Polonia e ha scoperto di essere in una “black list” che non gli consentiva di entrare nel Paese per i prossimi cinque anni, senza motivazioni ufficiali.
A raccontarlo è lo stesso Bosco, che Professione Reporter ha raggiunto al telefono: “Tutto è cominciato oltre due settimane fa – racconta Alfredo – quando da solo stavo lavorando nella regione del Donbass e un ufficio stampa di una brigata ha comunicato al mio fixer che ero segnalato come collaboratore, una persona che fa propaganda filorussa perché in passato ho lavorato nei territori separatisti”.
ambasciata italiana
E tu come hai reagito? “Questa cosa mi ha lasciato molto perplesso, ha bloccato di fatto il mio lavoro, però poi ho avuto un contatto con l’ambasciata italiana in Ucraina e a loro non risultava assolutamente che io avessi nessun ‘ban’, impedimento e nessuna sospensione, nessuna cancellazione dell’accredito. Invece una settimana dopo mi raggiunge Andrea Sceresini, per tornare nel Donbass a lavorare, e dopo una intera giornata di lavoro a Bakhmut torniamo a casa e riceviamo la email che ci comunica la sospensione del nostro accredito da parte del Ministero della Difesa ucraino. Abbiamo poi saputo che sono stati i servizi segreti ucraini a chiederla”.
Un fatto grave, tu che idea ti sei fatto e come si risolverà? “In verità Andrea ed io abbiamo dato un’enorme disponibilità per poterci confrontare con le autorità come i Servizi di sicurezza ucraini, ai quali riconosciamo assolutamente il loro lavoro, specie per il fatto che il loro paese è in guerra, quindi a maggior ragione… Solo che poi abbiamo notato il fatto che c’era una sorta di ostruzionismo”.
terze persone
Ostruzionismo perché? “Intanto i giorni passavano, loro comunicavano con terze persone, quando invece potevano benissimo comunicare con noi perché avevano tutti i nostri numeri di telefono, sia della Sim ucraina sia della Sim con i numeri italiani, più tutte le altre piattaforme, da WhatsApp a Telegram, etc. Conoscevano bene i nostri indirizzi, sapevano dove trovarci, e noi non avremmo detto nulla se fossero arrivati a bussare alla nostra porta per dirci ‘dobbiamo parlare con voi…’. Invece hanno continuato a rimandare con atteggiamento tipicamente ostruzionista. Almeno in Occidente si chiama così”.
Ma ti sei fatto un’idea da dove arrivi l’accusa di “intelligenza con il nemico”? “Per quanto mi riguarda, sono venuto a sapere -non dalle autorità ucraine- che nel 2019 ho ricevuto un premio a Mosca che si chiama Premio Stenin, ricevuto per altro dalla Croce rossa Internazionale in Russia per il mio lavoro di fotografo, sulla base di un giudizio dato da una giuria internazionale, nella quale spiccavano anche alcuni giornalisti del New York Times. Il punto è che nella sala dove ci è stato consegnato era presente anche il direttore di Russia Today. C’è una mia foto sul palco mentre ricevo il premio e poi esce un’altra foto dove questo signore è lì in prima fila…. Mi chiedo: sono un filorusso perché era presente un personaggio della nomenklatura con cui per altro personalmente non ho nulla a che fare?”.
rischio e pericolo
Ora che cosa ti aspetti? “Ciò che posso dire è che spero che questa vicenda si possa assolutamente risolvere quanto prima. Qui in Ucraina siamo in tanti freelance, ci stiamo impegnando tantissimo per documentare quella che è l’invasione russa su larga scala in questo paese e non abbiamo nulla da nascondere. Certo, in passato abbiamo lavorato anche nei territori separatisti filorussi, ma l’abbiamo fatto a nostro rischio e pericolo, il rischio di questo mestiere”.
Nel frattempo? “Nel frattempo sono a Kiev e vado a dormire presto come dice De Niro in ‘C’era una volta in America’. Però ci è stato chiesto di rimanere qui per facilitare l’incontro con i Servizi di sicurezza ucraini”.
illegittimo provvedimento
In una dichiarazione rilasciata al sito Articolo 21, l’avvocato Alessandra Ballerini, legale anche della famiglia Regeni, precisa che “questo illegittimo provvedimento sta determinando per i miei assistiti l’impossibilità di svolgere la loro professione giornalistica e pone seriamente a rischio la loro incolumità. L’unica notizia ufficiale che è stata comunicata ai giornalisti Sceresini e Bosco, nonostante i molti solleciti effettuati anche tramite la nostra ambasciata, riguarda un ipotetico ‘interrogatorio’ al quale dovrebbero essere sottoposti e che dovrebbe essere eseguito dagli uomini della Sbu, il servizio di sicurezza ucraino”. Quanto al caso di Salvatore Garzillo, ritenuto “non gradito” senza ulteriori spiegazioni, ricorda molto da vicino quello di Lorenzo Giroffi, che oggi lavora per la Rai, accaduto a febbraio e aprile 2022”, ricorda l’avvocato, che sulla base dell’art. 21 della Costituzione chiede che venga tutelata la sicurezza dei tre giornalisti “e la libertà di movimento in Ucraina”.
(nella foto, Andrea Sceresini e Alfredo Bosco)
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