Il lettore Girolamo Lazoppina scrive al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, che ogni lunedì pesca un missiva inviata al giornale e risponde. “Caro direttore, dice Lazoppina, vorrei porle un quesito giornalistico. Vedo che nelle varie trasmissioni televisive dedicate alla politica alcuni giornalisti difendono a prescindere posizioni di derminati partiti. Così in rappresentanza della destra viene sempre invitato Tizio e in rappresentanza della sinistra viene sempre invitato Caio. Mi domando, e le domando: ma è giornalismo questo? Come è possibile ritenere credibile un opinionista che si sa in partenza che darà ragione a quel dato partito? Penso che i conduttori televisivi renderebbero un grande servigio all’opinione pubblica se invitassero giornalisti non schierati, capaci di giudicare i fatti senza scadere nel tifo da stadio”.
Fontana reagisce così: “Caro signor Lazoppina, se si ragiona con con onestà non possiamo che arrivare a questa conclusione: è impossibile che qualcuno abbia sempre ragione e qualcun altro sempre torto. Il bello del giornalismo è la ricerca costante di fatti verificati, di racconti oggettivi, di opinioni indipendenti e mai faziose. Nel nuovo mondo digitale le opinioni sembrano invece pietre da scagliare in testa al tuo nemico di turno, nel gioco della contrapposizione”. Poi Fontana riporta alcune frasi dell’editoriale di Eugenio Torelli Viollier, nel primo numero del Corriere della Sera: “Ci piace essere obiettivi, ci piace ricordarci che tu, pubblico, non ti interessi che mediocremente ai nostri odi e ai nostri amori; che vuoi innanzitutto essere informato con esattezza; ci piace serbare, di fronte ai nostri amici migliori, la nostra libertà di giudizio e anche, se vuolsi, quel diritto di frondismo ch’è il sale del giornalismo”.
Opinionista ai miei tempi era la firma prestigiosa di chi si assumeva l’onere di analisi e sintesi su eventi di interesse generale. Oggi sono tutti opinionisti ma in realtà si limitano a registrare opinioni altrui lasciando al lettore il compito di sposare quelle di altri, quai sempre le più vicine alle sue, spesso contribuendo più alla radicalizzazione del pensiero che alla libertà di parola.