di MICHELE ANSELMI

Dopo una lunga passeggiata pomeridiana in bicicletta sotto il sole, pure controvento, e una suonata al volo con un amico caro, mi sono addormentato davanti alla tv, in una luce quieta. Mi sono risvegliato verso le 11.30 di sera. Facendo zapping prima di andare a letto (a Senigallia non ho Sky, Netflix, Paramount+ eccetera) mi sono imbattuto nel faccione barbuto di Piero Sansonetti, ospite fisso, credo, di una rumorosa trasmissione che conduce Nicola Porro su una rete Mediaset. Siccome Sansonetti dal 18 aprile riporterà in edicola l’Unità, lasciando Il Riformista alle cure di Matteo Renzi, ho ascoltato un attimo, pensando che parlasse del giornale e di come intende farlo. Invece no, litigava solo con uno stratinto Daniele Capezzone e qualche altro ospite in studio, partendo da uno stupro, certo deprecabile, accaduto a una festa dell’Unità.

via dei taurini 19

Dieci minuti di quella pipinara a base di “Vergognati!” mi sono bastati per spegnare il televisore, chiudere gli occhi e provare a ricordare, per contrasto umorale e pulizia mentale, gli anni giovanili passati a via dei Taurini 19, che fu sede, appunto, di quel glorioso quotidiano, chiuso da Renzi segretario nel 2017 e ora riaperto appunto da Sansonetti, che ne fu condirettore all’epoca di Peppino Caldarola, la prima delle due volte.
Una pioggia di immagini m’è piovuta addosso in una specie di dormiveglia. Magari mischiando un po’ gli anni e le stagioni, come se stessi curiosando, invece di lavorare lì come redattore prima alle pagine regionali e poi agli spettacoli, tra quelle stanze del palazzone della Gate a un passo dalla Sapienza.
Ecco Piero Gigli, caposervizio svogliato del politico e in realtà grande esperto di jazz, che disegna le sue pagine col tipometro e il righello, tirando infinite righe sul menabò. Ecco il mite Concetto Testai, piccolo e canuto, appena tornato dal Senato, dove era resocontista. Ecco il nobile siciliano Giorgio Frasca Polara, dalla bella sigla g.f.p. e dalla voce tonante, che se la prende con il radicale Marco Pannella chiamandolo per sfotticchiarlo con il vero nome, Giacinto.

un passato di contadino

Cambiando stanza, ritrovo la formidabile Lilli Bonucci, capo della cronaca sempre con la sciarpa addosso, che litiga con Paolo Gambescia, barbuto giornalista di giudiziaria, sotto gli occhi disinteressati di Claudio Notari, ormai specializzatosi in case e Iacp, mentre il toscano Sergio Pardera, alto, anche bello, con un passato da contadino, sta scrivendo un pezzo su una questione riguardante l’esercito.
Sento il ticchettio delle macchine per scrivere, qualcuno, forse Antonio Zollo, che urla “Chiudere!”, perché si sta facendo troppo tardi per la prima edizione e lo storico notista politico Candiano Falaschi, uno che la telefono sussurra “Enrico”, “Gerardo”, “Emanuele” (Berlinguer, Chiaromonte, Macaluso), sta perdendo troppo tempo benché consegni una cartella alla volta; e intanto, un po’ più in là, agli Esteri, Giancarlo Lannutti, che sembra un sergente della Raf coi suoi baffoni pur venendo dallo Psiup, discute animatamente con Arminio Savioli, gran firma del giornale, ma anche chiacchierone irrefrenabile, e l’elegante. laconico, Guido Bimbi.

sorridente zio

Stretto nel suo impermeabile bianco e con il ciuffo sugli occhi, inseparabile sigaretta tra le dita, Ugo Baduel, mitico resocontista di Berlinguer, parla nel corridoio con Alberto Jacoviello, che sembra uscire da un film bellico sulla Seconda guerra mondiale: senza un braccio, con un occhio di vetro. Nello stanzone delle “regioni” il povero Roberto Roscani, con tutti gentile e premuroso, non riesce a zittire il grande fotografo Mario Dondero, che vende i suoi scatti per 10 mila lire l’uno (niente), ma passa a l’Unità pomeriggi interi. Renzo Foa, allora caporedattore di notte, si prepara a fare qualche ribattuta con le ultime notizie, e intanto il redattore capo Carlo Ricchini, una specie di sorridente zio di tutti noi giovanotti, ma capace pure di sfuriate, sta guardando il bozzone della prima pagina.
Fausto Ibba, sardo colto e segaligno, vorrebbe ancora correggere un editoriale per via di una parola che non gli sconfinfera, il milanese Franco Ottolenghi, da noi ribattezzato “professione riporter” per il vistoso riporto in testa, dice correttamente “Elien” all’inglese al posto di “Alien” (il film di Ridley Scott) confrontandosi con l’insofferente David Grieco, mentre il commentatore Enzo Roggi, detto “Roggi al Parlamento”, uno che conosce bene il Pci e i suoi dirigenti, suggerisce un titolo diverso per un corsivo politico sotto lo sguardo di Luisa Melograni, giornalista fine ed elegante, dal viso bellissimo.

due senigalliesi

Data l’ora, se ne stanno andando Aggeo Savioli, fratello di Arminio, e sua moglie Mirella Acconciamessa, entrambi critici di cinema (e teatro), si vede che proprio non sopportano il caposervizio degli Spettacoli, Felice Laudadio, e posso capire perché. Lasciano il giornale anche Sirio Sebastianelli e Bruno Ugolini, firme importanti, l’uno si occupa di economia, l’altro di sindacale; mentre dalle stanze dello sport echeggiano le voci di due marchigiani, anzi senigalliesi, come me: Flavio Gasperini e Marco Mazzanti, detto affettuosamente “Tagliatella”.
Il direttore Alfredo Reichlin, il migliore di quel decennio appena cominciato, è già uscito da tempo per la cena, nella redazione ormai semideserta, illuminata solo da qualche lampada rimasta accesa, vedo l’inviato Eugenio Manca che rifinisce un pezzo d’atmosfera, mentre il capo dei grafici Enrico Pasquini sta prendendo le ultime misure per i “seguiti” degli articoli della prima pagina da piazzare in ultima.

minacciato di morte

Quanto a me, in questa specie di sogno/rimembranza, sto portando a cena e poi al cinema a vedere un decisamente film sbagliato, “Io ho paura”, il giovane Giovanni Fasanella appena arrivato da Torino in un clima di mistero, di non detto. Solo poi scoprirò che Giovanni aveva dovuto cambiare aria, perché minacciato di morte da qualche formazione terrorista rossa. Girava disarmato per Roma, a differenza di Sergio Criscuoli e Wladimiro Settimelli, tutti e due finiti nel mirino di qualche epigono delle Brigate rosse, o forse proprio quei delinquenti.
A quel punto mi sono decisamente svegliato, ho pensato a l’Unità che farà Sansonetti tra qualche giorno e mi sono detto: tutto cambia o si rigenera, ma forse, a volte, sarebbe meglio lasciare in pace i morti.

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