di ANDREA GARIBALDI
Gian Marco Chiocci e Lucia Annunziata legano i loro nomi a due casi molto diversi. Entrambi non portano un contributo al buon nome del giornalismo.
Dietro queste storie, c’è una logica malata. Secondo cui la Rai appartiene a chi vince le elezioni e forma il governo. Secondo cui i giornalisti al comando nella più grande azienda culturale italiana cambiano in base al comando del Paese. E, di conseguenza, non rispondono prima di tutto alle regole deontologiche della professione, bensì a chi li ha messi sui troni dei Tg e dei Gr.
Chiocci, nuovo direttore del Tg1, è autore dello scoop sulla casa di Montecarlo di Gianfranco Fini, ha diretto Il Tempo e l’Adnkronos. Perché ha accettato di stare nell’elenco delle nomine del governo Meloni, di essere targato come “meloniano di stretta osservanza”? Inoltre, i partiti di volta in volta al governo hanno spesso nominato giornalisti esterni alla Rai, come Gad Lerner, Augusto Minzolini, Mario Orfeo, Gianni Riotta, ora Chiocci. Un vero scandalo, stante che la Rai stipendia circa 2000 giornalisti, alcuni dei quali valentissimi e capaci. Chiocci è libero di accettare il suo nuovo prestigioso incarico, di tentare una nuova avventura, ma avrebbe potuto continuare a cogliere altri obiettivi fuori della Rai.
brava e coraggiosa
Annunziata è una giornalista brava e coraggiosa, inviata di guerra, direttrice, anchorwoman. Perchè si è dimessa prima che qualcuno la mandasse via o le impedisse di fare “Mezz’ora in più” come voleva? Non le piace il governo Meloni? Ma a una giornalista o a un giornalista non dovrebbe “piacere” o “dispiacere” alcun governo. E’ naturalmente libera di fare quel che desidera, di andare via sbattendo la porta e cercare altre piattaforme per lavorare. Ma avrebbe potuto restare, continuare a lavorare con la sua professionalità, fino al momento eventuale di suggerimenti, interventi, censure. Per denunciarli e andare via con un motivo preciso.
Qualcosa che non torna in quello che succede in Rai, come da sempre. Una delle tante anomalie italiane, che fanno inorridire le governance delle grandi tv pubbliche del pianeta. La riforma del 1975 ha spartito le testate e poi le reti fra Dc, Psi e Pci. Tri-spartizione che negli anni è rimasta, cambiando i nomi dei partiti. Le nomine in Rai le fa la commissione di vigilanza e poi il consiglio di amministrazione. Il risultato è sempre stato un bilanciamento basato sulla composizione del Parlamento, con i vincitori nella parte dei leoni. Non ha mai funzionato, ha sempre o quasi portato a testate fedeli ai partiti di riferimento. Niente a che vedere con l’informazione degna di questo nome, quella che deve aiutare i cittadini a capire cosa accade.
anni di proclami
Bisogna fare ciò che tutti i partiti proclamano da anni e non hanno mai realizzato: sottrarre la Rai alla politica, affidare le nomine a dei saggi, nominati dai presidenti della Repubblica e della Corte Costituzionale o fare dei bandi pubblici, come alla Bbc. Interrompere la vergogna che dura da 70 anni, in continuo peggioramento.
I giornalisti (con l’Ordine, la Federazione della Stampa, il potente sindacato interno Usigrai) devono ribellarsi a questo sistema, far prevalere l’orgoglio di una professione indispensabile per la democrazia sul desiderio di potere o di visibilità. Battersi perchè sia “ristretta” ai soli duemila professionisti dell’Azienda la possibilità di dirigere le testate: l’esborso per i cittadini è già esagerato (i dipendenti Rai sono in tutto 13 mila) per aumentarlo con arrivi da fuori: nessuno è indispensabile.
Insomma, torni ciascuno a fare il proprio mestiere.
Scusate ma affermare che su 2000 giornalisti Rai ce ne sono “anche” di bravi mi spinge a pensare che gli altri non lo siano. Annunziata con innato narcisismo ha dato le dimissioni per “creare” un caso che non c’era, da pasionaria qual è. Rientra quindi, a pieno titolo, tra i giornalisti asserviti a un partito, quello che ha perso le elezioni e che occupava la Rai da anni. Mi stupisce che la si consideri una perdita per l’Azienda. Ha dimostrato, infatti, di anteporre i suoi
interessi alla stessa. Come Fazio che ha sicuramente trattato i suoi compensi con la Nove, prima di andarsene. Altri giornalisti, in altri periodi, furono cacciati e malamente.
Lavoro e informazione. C’è una contraddizione nonostante che la Costituzione riconosca pieni diritti per tutti i lavoratori in quanto le vicende dei giornalisti sono all’attenzione per gli altri lavoratori invece c’è oscuramento mediatico. Quando negli anni Novanta furono fatte le privatizzazioni come quella della Telecom i giornalisti a parte qualcuno s’intende collaborarono con le evoluzioni dei processi politici di riferimento e le “sorti e progressive” dei lavoratori che erano stati colpiti anche con collusioni con accordi sindacali non interessarono i giornalisti e al riguardo si parlo di odio di classe, perché i giornalisti erano una classe, obiettivamente per il nostro ordinamento giuridico privilegiata, e anche perché le privatizzazioni citate in silenzio portarono processi di miseria.
Per i lavoratori, che sono stati colpiti s’intende, in generale l’odio verso i giornalisti non si è mai placato e purtroppo finché non si affermeranno nuovi processi di informazione quest’odio non si trasformerà in amore.