I giornalisti del NewYork Times devono dire chiaramente chi sono, cosa hanno fatto, che esperienze hanno. E’ una nuova politica del più prestigioso quotidiano del mondo, una delle reazioni alla diffusione dell’Intelligenza artificiale: i lettori devono saper con chiarezza chi ha scritto il pezzo che stanno leggendo.
Ad agosto, il personale del Business Desk del New York Times ha ricevuto una e-mail dal team del Trust proprietario: venivano avvisati che sarebbero state lanciate nuove biografie più approfondite dei giornalisti e veniva chiesto di inviare i nuovi testi. Vanity Fair ha pubblicato parte dell’e-mail interna: “La testata ritiene che sia particolarmente importante evidenziare l’aspetto umano del nostro lavoro, poiché la disinformazione e l’intelligenza artificiale generativa proliferano. I lettori tendono a cercare informazioni su un giornalista nei momenti di dubbio o agitazione: quando incontrano un punto di vista che non gli piace nei nostri reportage, o percepiscono inesattezze o pregiudizi. In questi momenti, le biografie possono svolgere un ruolo importante nell’assicurare ai lettori che siamo imparziali, impegnati a mantenere un elevato standard di integrità e liberi da conflitti di interessi”. E inoltre: “Le pagine biografiche hanno anche un buon posizionamento su Google”.
carne ed ossa
Da allora il mandato è stato esteso ad altri settori. L’idea alla base delle “enhanced bios”, biografie rinforzate, è quella di dare più volto e nome ai giornalisti, in modo da favorire una maggiore fiducia tra i lettori ed enfatizzare il lavoro dei giornalisti in carne ed ossa. Dato che sempre più notizie in giro vengono scritte dall’intelligenza artificiale generativa.
Tra coloro che hanno scritto la biografia aggiornata ci sono la Direttrice della moda e principale critica di moda Vanessa Friedman; il veterano giornalista tecnologico Mike Isaac; la giornalista scientifica e sanitaria Apoorva Mandavilli; l’editorialista tecnologico Kevin Roose; la giornalista economica Jeanna Smialek.
La nuova biografia contiene quattro sezioni: di cosa mi occupo, il mio background, l’etica giornalistica e contattami. Nella sezione sull’etica i membri dello staff spiegano come applicano la politica etica del giornale. “Non possiedo azioni di nessuna delle società di cui mi occupo”, afferma Isaac, che ha scritto il libro sull’ascesa e la caduta di Uber. “Non partecipo alle conferenze stampa sponsorizzate da aziende o ospedali”, osserva Mandavilli, che scrive spesso di vaccini e farmaci.
regole precise
“Il passaggio a biografie migliorate fa parte della nostra missione più ampia di essere più trasparenti. Gran parte della sfiducia nei media deriva dal non sapere come opera una redazione. Abbiamo regole e pratiche precise -afferma Edmund Lee, assistente redattore del team Trust- I nostri giornalisti non accettano regali dalle persone di cui scrivono. Non investono nelle aziende di cui scrivono. Non fanno campagne né danno soldi a cause o candidati politici. Mantengono una mente aperta. Ed è ora più importante che mai dare risalto alle persone dietro il nostro lavoro mentre l’intelligenza artificiale generativa inizia a insinuarsi nel panorama dei media”.
L’impegno arriva dopo che il giornale ha trascorso l’estate tormentandosi sull’IA, con la Direzione che ha avvertito direttamente alcuni capiservizio di non inserire articoli o servizi nei modelli di IA e ha inviato memo interni che illustrano il loro sforzo per affrontare l’IA.
Le biografie rinforzate sono un’altro passaggio nel rapporto con i lettori del Nyt. Come, ad esempio, raccontare il processo che porta alla pubblicazione di una storia, notare come sia stato realizzato il pezzo su un devastante terremoto “percorrendo la strada da Oulad Berhil a Marrakesh in Marocco, fermandosi lungo la strada”.
Al New York Times l’istituzione-giornale è sempre stata al primo posto, venendo prima dei singoli giornalisti. Queste nuove biografie non rappresentano una svolta totale rispetto a tutto ciò. Tuttavia, nell’era dell’intelligenza artificiale è fondamentale valorizzare, di fronte ai lettori, l’identità dei giornalisti.
(nella foto, Vanessa Friedman)