di STEFANO BRUSADELLI
Concentrati (giustamente) sui venti di guerra che soffiano sul mondo, rischiamo di non prestare la dovuta attenzione ad un’altra drammatica questione che può cambiare il nostro futuro; e in special modo quello delle democrazie. L’anno prossimo andrà a votare un terzo degli abitanti del pianeta. E il rischio di una manipolazione del voto via web (e social) è assai forte. Soprattutto a causa dell’uso sempre più diffuso dei software di Intelligenza artificiale.
Nel 2024 (l’elenco non è esaustivo, e comprende sia le elezioni presidenziali che quelle parlamentari) si andrà alle urne negli Stati Uniti, India, Russia, Ucraina, Taiwan, Gran Bretagna, Austria, Finlandia, Bielorussia, Georgia, Romania, Indonesia, Egitto, Messico, Algeria, Tunisia, Sudafrica, Uruguay, a El Salvador, Repubblica Dominicana. Ciad, Ghana, Mali, Mauritania, Mauritius, Mozambico, Namibia, Ruanda, Sud Sudan, Isole Comore. Dunque, si voterà nel Paese più importante del mondo (gli Usa), in Paesi coinvolti in situazioni di conflitto già in atto o potenziale (Russia, Ucraina, Bielorussia, Taiwan), nel Paese che si sta mettendo alla testa della costruzione del nuovo movimento mondiale dei non allineati (India) in Paesi chiave per l’emergenza migratoria (Tunisia, Egitto, Ciad, Mali, Sud Sudan), e in quel Regno Unito che, in caso di vittoria dei laburisti, potrebbe rimettere in discussione la Brexit. Saranno rilevanti anche e consultazioni in Austria, Finlandia e Romania, dove è annunciata la crescita di destre anti unione europea e, ovviamente le elezioni di giugno per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo.
futuro del pianeta
Non è un’esagerazione affermare che durante l’anno venturo si giocherà per via elettorale buona parte del futuro prossimo del pianeta.
Uno scenario verso il quale, purtroppo, ci stiamo avviando sotto le peggiori premesse. Quanto sarà “pulito“ l’esito elettorale, e quanto sarà invece distorto da pulsioni emotive che tradizionalmente non giocano a favore della coesione interna e della cooperazione internazionale?
Il tema della manipolazione del voto attraverso l’uso del web non è nuovo. Negli anni scorsi si è discusso molto sul ruolo della società Cambridge Analytica, accusata di avere condizionato le elezioni presidenziali statunitensi del 2016 in direzione favorevole a Trump e il referendum britannico del medesimo anno in senso pro- Brexit. In quel caso il metodo impiegato sarebbe stato quello del targeting, cioè l’individuazione, effettuata tramite prelievo di dati da Facebook, di soggetti particolarmente ricettivi ai quali inviare messaggi confezionati “a misura“ delle loro esigenze e paure.
azioni e affermazioni
Ora, però, la tecnologia ha fatto enormi passi in avanti. Esiste la possibilità, per chiunque abbia una discreta conoscenza del web e dei programmi di Intelligenza artificiale, di creare dei veri e propri falsi, sia vocali che visivi. Sappiamo quanto sia diventato facile diffondere attraverso i social, immagini che attribuiscono a un determinato leader politico affermazioni che non ha mai pronunciato, oppure azioni che non ha mai compiuto.
L’antipasto è già stato servito. Fake di questo tipo sono stati messi in circolazione in Slovacchia in occasione delle elezioni di fine settembre, soprattutto a svantaggio del candidato anti-russo Michal Simecka, poi sconfitto dal filo-russo Robert Fico. Negli Stati Uniti, nel quadro dello scontro per la nomination repubblicana tra Donald Trump e il governatore della Florida Ron De Santis, è stato realizzato un falso video in cui Trump abbraccia con l’aria di chi ammette di avere sbagliato uno dei suoi grandi avversari, il virologo Anthony Fauci, sostenitore delle vaccinazioni contro il covid. Un altro fake, stavolta a vantaggio di Trump lo raffigura mentre viene arrestato con violenza poliziesca. E se n’è visto persino uno in cui Biden annuncia la reintroduzione della leva obbligatoria per spedire giovani americani a combattere sul fronte ucraino.
sotto sorveglianza
Dinanzi al diluvio temuto (e forse annunciato) le barriere di protezione sembrano fragili. Ad agosto di quest’anno l’Unione europea ha avviato l’applicazione del Digital Services Act (Dsa), tra i cui scopi c’è anche la protezione degli utenti dal fake news. Le piattaforme messe sotto sorveglianza (con la minaccia di multe astronomiche, fino al 6 per cento del fatturato mondiale) sono Alibaba AliExpress, Amazon Store, Apple AppStore, Booking.com, Facebook, Google Play, Google Maps, Google Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, Twitter, Wikipedia, YouTube, Zalando. Ma a ben guardare il Dsa, che pure costituisce un importante passo in avanti, rischia di avere un’applicabilità problematica per l’enorme quantità di materiali da monitorare e per la dislocazione extra Ue dei soggetti sottoposti al controllo. Sempre da Bruxelles è arrivata alle big tech la richiesta di mettere in guardia gli utenti etichettando in qualche modo i contenuti generati o modificati dall’Ai. Google e Tik Tok hanno risposto positivamente, ma anche qui c’è una criticità: nel momento in cui un fake inizia a diffondersi sulla rete, rimbalzando tra blog e social, non è detto che lo faccia conservando l’etichettatura originale.
buona informazione
E c’è la questione Twitter; o meglio “X“ come l’ha ribattezzata il nuovo proprietario Elon Musk, imprenditore spregiudicato (oggi di simpatie trumpiane) e piuttosto allergico alle regole. Al punto, nello scorso giugno, d’avere annunciato il ritiro della sua piattaforma dal Codice europeo di condotta contro la disinformazione, e di trovarsi già sotto inchiesta da parte della Ue con l’accusa di diffondere “notizie false” e “contenuti violenti e terroristici, che incitano all’odio”, dopo l’attacco di Hamas a Israele.
Ce n’è quanto basta per spingere uno che se ne intende, l’ex ceo di Google Eric Schmidt, a formulare una previsione inquietante: “Le elezioni del 2024 saranno un disastro perché i social media non ci proteggono dalle notizie false generate dall’Intelligenza artificiale», ha detto in un’intervista alla rete Cnbc. Aggiungendo che «i social stanno lavorando sulla questione, ma non l’hanno ancora risolta. Anche perché i team che si occupano di security e controlli nelle aziende di social network stanno diventando più piccoli, non più grandi”.
In tale drammatico scenario, al nostro vecchio e caro mestiere si prospetta una prova che – alla stregua di una sorta di esame di riparazione – potrà certificarne l’insignificanza oppure il riscatto: dimostrare che mentre il web diventa sempre più il luogo dell’inganno, la buona informazione sta dove ci sono, a difenderla, i giornalisti professionisti.
Incrociamo le dita.
(nella foto, Keir Sturmer, nuovo leader del Labour Party inglese)