Settantadue palestinesi, quattro israeliani, tre libanesi: sono 79 i giornalisti rimasti uccisi da quando Hamas ha sfondato la barriera di sicurezza di Gaza, massacrando 1.400 israeliani, lo scorso 7 ottobre, e poi Israele ha dichiarato guerra contro Hamas e iniziato attacchi massicci su Gaza.

Le segnalazioni sono raccolte dal Committee to Protect Journalists (CPJ) e riportate dal Post e da Valigia Blu.

“I giornalisti sono civili che svolgono un lavoro importante in tempi di crisi e non devono essere presi di mira dalle parti in conflitto”, ha commentato Sherif Mansour, responsabile per il Medio Oriente e Nord Africa del CPJ. “I giornalisti di tutta la regione stanno facendo grandi sacrifici per coprire questo straziante conflitto. Tutte le parti devono prendere provvedimenti per garantire la loro sicurezza”.

dieci ore in una stanza

Solo nel giorno dell’attacco di Hamas, almeno undici giornalisti sono stati uccisi, feriti, detenuti o sono scomparsi. Le prime sono state Ayelet Arnin, giornalista ventiduenne dell’emittente pubblica israeliana, e Shai Regev, 25 anni, del giornale Ma’ariv, uccise mentre stavano coprendo il festival musicale nel deserto israeliano. Yaniv Zohar, fotografo del giornale Israel Hayom, e la sua famiglia, sono stati uccisi nel kibbutz dove vivevano vicino al confine con Gaza. Amir Tibon, giornalista di Haaretz che vive nello stesso kibbutz, si è salvato rimanendo nascosto in una stanza per dieci ore. Due giornalisti palestinesi, Mohammad Al-Salhi, dell’agenzia di stampa della Fourth Authority, e Ibrahim Lafi, di Ain Media, sono stati uccisi sul lato di Gaza del confine. Mohammad Jarghoun, di Smart Media, è stato colpito e ucciso mentre copriva i combattimenti nel sud di Gaza. Haitham Abdelwahid, anche lui di Ain Media, è scomparso. Altri tre giornalisti sono stati detenuti dalle forze israeliane o feriti. Mentre Roee Idan, fotoreporter di Ynet, che viveva in un altro kibbutz al confine con Gaza, potrebbe essere stato rapito da Hamas.

attacchi aerei

Nei giorni successivi all’attacco di Hamas -riporta sempre Valigia Blu– sono stati uccisi altri dieci giornalisti, alcuni di loro freelance e quindi senza coperture né garanzie. Questo il caso di Assaad Shamlakh, ucciso nella sua abitazione l’8 ottobre. Il giorno dopo, tre giornalisti – Seed al-Taweel, Mohammed Sobh e Hisham Alnwajha – sono rimasti uccisi mentre stavano coprendo gli attacchi aerei israeliani su un’area di Gaza che ospita una serie di testate giornalistiche. L’11 ottobre è toccato a Mohamed Fayez Abu Matar, altro giornalista freelance. Il 12 ottobre, anche Ahmed Shehab, della radio Sowt Al-Asra, è stato ucciso mentre era a casa.

Il 13 ottobre un’enorme esplosione ha ucciso Issam Abdallah, un videogiornalista della Reuters, colpito mentre stava documentando uno scambio a fuoco tra le forze israeliane e le milizie di Hezbollah nel sud del Libano, appena oltre il confine con Israele. Vicino a lui c’erano almeno altri sei giornalisti di Reuters, Al Jazeera e Agence France-Presse, rimasti feriti. Uno dei colleghi di Abdallah e altri testimoni hanno detto che i missili sono partiti dalla direzione di Israele. “Siamo profondamente preoccupati dal fatto che un gruppo di giornalisti chiaramente identificabili sia stato ucciso e ferito mentre svolgeva il proprio lavoro”, ha commentato Phil Chetwynd, global news director di AFP.

indagini trasparenti

“Ovviamente, non vorremmo mai colpire, uccidere o sparare nessun giornalista che sta facendo il suo lavoro”, ha dichiarato Gilad Erdan, l’inviato di Israele alle Nazioni Unite. “Ma siamo in uno stato di guerra. E sono cose che potrebbero accadere”. Alessandra Galloni, Direttore responsabile di Reuters, ha chiesto indagini “rapide, approfondite e trasparenti”. Al funerale di Abdallah, i colleghi hanno posato le telecamere sul feretro.

Secondo l’organizzazione Reporter Senza Frontiere Issam Abdallah e gli altri sei giornalisti feriti sono stati “presi di mira”: “In base all’analisi balistica effettuata da RSF, la zona da cui provenivano gli spari si trova a est rispetto al punto in cui si trovavano i giornalisti e i loro veicoli, vicino al confine con Israele”. Due attacchi di diversa intensità, separati da 37-38 secondi, hanno colpito, intorno alle 18 di venerdi’ 13 proprio il luogo in cui erano da piu’ di un’ora, per coprire le tensioni in corso al confine: “Il primo attacco ha ucciso il fotoreporter della Reuters Issam Abdallah e ferito gravemente la corrispondente dell’AFP Christina Assi, mentre il secondo ha fatto esplodere il veicolo di Al Jazeera nelle immediate vicinanze, ferendo diversi altri colleghi -scrive RSF- Poiche’ indossavano tutti caschi e giubbotti con il logo ‘Press’, è impossibile che siano stati confusi con i combattenti. Secondo due giornalisti presenti, un elicottero Apache israeliano aveva sorvolato la zona prima della tragedia. Le autorità libanesi hanno accusato Israele di essere responsabile degli attacchi.

progetto no-profit

Sempre il 13 ottobre è stata confermata la morte di Husam Mubarak, giornalista della radio Al Aqsa, affiliata ad Hamas, e della giornalista freelance Salam Mema, giornalista freelance, a capo del Women Journalists Committee presso l’Assemblea dei media palestinesi.

Tra il 14 e il 19 ottobre sono stati uccisi altri sei giornalisti: Yousef Maher Dawas, collaboratore di Palestine Chronicle e scrittore di We Are Not Numbers (WANN), un progetto no-profit palestinese guidato da giovani; Abdulhadi Habib, collaboratore delle agenzie di stampa Al-Manara e HQ, ucciso insieme alla sua famiglia da un attacco missilistico che ha colpito il quartiere di Zeitoun, a sud di Gaza City; Mohammad Balousha, giornalista e responsabile amministrativo e finanziario di Palestine Today; Issam Bhar, Sameeh Al-Nady e Khalil Abu Aathra, giornalisti Al-Aqsa TV, affiliata a Hamas.

colpita alla testa

Valigia Blu riporta anche i precedenti e il contesto. Nel 2007 un gruppo islamista a Gaza aveva rapito e trattenuto per mesi un giornalista della BBC. Negli ultimi anni, le forze israeliane hanno bombardato edifici che ospitavano gli uffici dei media, compresi quelli di Associated Press e Al Jazeera, a Gaza. Nel maggio del 2022, la giornalista palestinese-statunitense di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh, è stata colpita alla testa mentre faceva il suo lavoro in Cisgiordania. L’esercito israeliano inizialmente ha affermato che Abu Akleh era stata uccisa in un fuoco incrociato con i palestinesi, ma numerose indagini indipendenti hanno concluso che le forze israeliane erano probabilmente responsabili.

La situazione ha fatto sì che rimanessero sul posto solo fotografi e giornalisti freelance locali, che hanno supplito all’assenza di reporter di altri paesi e hanno lavorato anche per i media internazionali. “La natura del loro lavoro richiede che siano in prima linea, spesso senza buone attrezzature, con scarse garanzie di sicurezza o una redazione dedicata dietro di loro”, spiega Mansour.

rete in ospedale

Come la giornalista Plestia Alaqad che, dopo aver condiviso per giorni sui social più informazioni possibili su evacuazioni, interruzioni di corrente e bambini separati dalle loro famiglie, ha pubblicato una foto del suo casco azzurro, con sopra la scritta “Press”, e ha affermato di non essere in grado di evacuare Gaza, di essere senza connessione e di dover fare affidamento alla rete Internet di un ospedale.

In Israele, le problematiche sono differenti. Quando Hamas ha sfondato la barriera di sicurezza e iniziato l’assalto, i giornalisti, anche internazionali, sono scesi per strada per documentare quanto accadeva, affrontando anche la minaccia degli missili di Hamas. 

Clarissa Ward della CNN ha trasmesso in diretta mentre era a terra, in un fosso; il suo collega Nic Robertson si è riparato dalle esplosioni stendendosi sull’asfalto dell’aeroporto di Tel Aviv; Richard Engel della NBC si è nascosto dentro una siepe.

Intanto, riferisce Haaretz, il ministro delle Comunicazioni israeliano, Shlomo Karhi – che recentemente aveva proposto una riforma dei media che erano state ritenute una minaccia alla libertа di stampa –  sta ora spingendo per misure ancora più restrittive e dare alla polizia la libertà di sequestrare proprietà, o addirittura arrestare, chiunque diffonda informazioni ritenute dannose per la nazione o utili alla propaganda nemica. 

(nella foto, Salam Mema)

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