di ALBERTO FERRIGOLO
Che fine ha fatto il “giusto contratto” Rai? L’annosa vicenda che vede protagonisti i programmisti-registi delle reti e dei generi televisivi – oltreché gli esterni a partita Iva – sembra non trovare pace né soluzione, dentro l’azienda radiotelevisiva pubblica.
Dopo l’accordo raggiunto nel 2019, che ha portato all’assunzione di quanti hanno lavorato in qualità di collaboratori esterni alle reti o attraverso altre forme contrattuali, consentendo così “la stabilizzazione di persone che avevano alle spalle decenni di precariato”, il 30 marzo scorso Fnsi e Usigrai, il sindacato interno, hanno sottoscritto un’intesa che rafforzerebbe “la rappresentanza sindacale per i giornalisti che lavorano nei programmi delle Reti e dei Generi”.
programmisti registi
Ma molti hanno storto il naso. Perché, nel complesso, le disparità di trattamento tra i programmisti-registi e i giornalisti esterni a partita Iva continuerebbero a permanere. Con una sottoutilizzazione dei primi rispetto ai secondi. E dove i primi, alla fine, finiscono per vagare per i corridoi delle redazioni Rai, costretti a mendicare un incarico, bussando porte a destra e a manca.
La questione “giusto contratto” s’è trascinata per anni ed ha avuto un suo apice quando, nel novembre 2017, si è scoperto che Daniele Piervincenzi, preso “a capocciate” a Ostia da Roberto Spada, boss di spicco del clan dei Casamonica, nel corso di un servizio per il programma di Raidue “Nemo, nessuno escluso”, considerato a tutti gli effetti un “giornalista Rai”, era in realtà contrattualizzato con un’azienda che con la Rai aveva solo un appalto di lavoro esterno. Null’altro che un collaboratore esterno.
partita iva
Fioccarono le interrogazioni e le prese di posizione. Ci si chiese cioè come fosse possibile che “un’azienda che ha circa 1.700 giornalisti”, di cui una parte lamenta di non venir impiegata, ricorresse pure al lavoro esterno. Un mezzo scandalo, che ha portato molti, Usigrai inclusa, ad affermare che “chi fa il giornalista per la Rai deve avere un contratto da giornalista Rai”.
È iniziata così la battaglia per il riconoscimento del “giusto contratto”, cioè per riconoscere il lavoro giornalistico a programmisti registi interni che lo svolgevano e ai collaboratori esterni a partita Iva che lavoravano nelle reti con contratti d’autore testi e altro. Per raggiungere questo obiettivo, nel 2019 la Rai ha dato corso a un “Bando di accertamento giornalistico” e – contemporaneamente – a un concorso per 90 posti alla Tgr, la testata giornalistica regionale della Terza rete.
programmi di approfondimento
Il primo dei due aveva per obiettivo di “promuovere un’iniziativa di accertamento orientata all’individuazione di 250 risorse da reperire nell’ambito del personale iscritto all’Albo dei giornalisti” che già era in forze alla Rai.
Nel bando era poi scritto che sarebbe stata nominata anche una commissione selezionatrice per tre prove – scritta, orale, facoltativa – e che sarebbero stati ammessi infine solo coloro che avessero determinati requisiti. Al tempo stesso, è stato anche definito il “perimetro” dei programmi considerati e ammessi, tipo “Porta a Porta”, “Agorà”, “Petrolio”, “Ballarò”, “In ½ ora”, per citarne solo alcuni tra i più noti, tutti programmi – anche i radiofonici – contenenti l’approfondimento giornalistico. A rimanere escluse, invece, sono state le figure professionali che lavoravano in programmi per la Rai non considerati giornalistici.
Non tutto però va per il verso giusto. Capita che ad alcuni venga rigettata la domanda d’ammissione al Bando: “Lei non è stato ammesso per mancanza del seguente requisito…”. Le discriminanti per essere ammessi al Bando erano due: 35 mesi di lavoro nel quinquennio 2014-2018, oppure 21 mesi di lavoro dal 2016 al 2018. Gli esclusi guardano meglio, si confrontano, ma restano convinti che requisiti e tempistica in verità corrispondono. Perciò non resta che prendere carta e penna e redigere un reclamo, allegando nuovamente la documentazione inviata la prima volta, comprensiva di tutti i contratti per il lavoro svolto.
“mancanza di requisiti”
La risposta che viene inviata al mittente è identica alla prima: “Mancanza dei requisiti necessari”. Non c’è verso, i soggetti interessati restano fuori, esclusi. E quindi, unitamente ai ricorsi partono anche le prime cause contro la Rai. Siamo in piena pandemia e le tanto promesse, attese e sbandierate “selezioni” non iniziano per paura del contagio. Nessuno però lo comunica in via ufficiale. Nel frattempo, arriva il mese di giugno 2019 e come se nulla fosse, d’improvviso vengono “imbarcati” 240 candidati alle selezioni compresi nella lista degli ammessi, ma senza essere esaminati e senza sostenere alcuna prova.
tre prove non svolte
Dunque, su 300 e passa candidati, i fortunati a entrare sono 240, mentre 86 rimangono esclusi. Ufficialmente, la causa delle mancate tre prove è stata attribuita all’emergenza pandemica, ma proprio negli stessi giorni s’è svolta la prova per i concorrenti ai 90 posti delle sedi regionali della Tgr, con duemila persone coinvolte.
I senza contratto giornalistico possono essere assistenti ai programmi o programmisti registi o anche impiegati, tre figure professionali che a monte avevano però il tesserino di giornalista professionista dell’Ordine nazionale. Da tempo, alcuni degli esclusi hanno presentato una diffida nei confronti della televisione di Stato, lamentando una discriminazione, anche perché – sostengono – “le mansioni svolte sono assimilabili alla natura giornalistica”, in quanto gli interessati hanno svolto il lavoro di “elaborazione delle notizie”. Il problema chiave è la scelta del perimetro dei programmi da cui si potevano “pescare” le figure a cui cambiare il contratto. Perimetro che è stato frutto di una trattativa fra Usigrai e azienda.
vagare per i corridoi
Intanto il 13 aprile 2023 si è aperto un nuovo tavolo di trattativa tra l’Usigrai e la Rai per riconoscere il “giusto contratto” a chi, nel frattempo, l’ha maturato. Sono oltre 200 le persone che ritengono di poter avere il diritto di diventare giornalisti Rai. Nel frattempo, però, sulla base dell’esperienza maturata con il primo bando, l’ufficio del personale Rai – secondo un parere diffuso – starebbe facendo un lavoro preventivo di sbarramento per escludere a priori alcuni concorrenti. Non verrebbe data ad alcuni la possibilità di lavorare in trasmissioni giornalistiche, come possono essere “Agorà”, “Uno Mattina”, “La vita in diretta”, condizione necessaria per raggiungere i requisiti necessari. Ciò capita soprattutto agli interni che vengono obbligati a lavorare per redazioni non giornalistiche e, se non accettano le condizioni date, rimangono senza incarico. Continuando a vagare per i corridoi Rai.
Chi è invece collaboratore esterno può provare a scegliere in quale redazione andare a lavorare e naturalmente “si fa contrattualizzare” in quelle ritenute dalla Rai giornalistiche, che sono ben fornite di esterni che in numero sempre maggiore le affollano.
Al termine dell’indagine, Professione Reporter ha interpellato il segretario Usigrai, Daniele Macheda, per chiarimenti, inviando anche alcuni quesiti scritti via email. Senza ottenere risposta.