di ELETTRA BERNACCHINI

Samuele Maccolini è un 27enne, “collaboratore freelance e autore” come si autodefinisce, che è riuscito a prendere la corsa del giornalismo sui social proprio nel momento in cui il fenomeno stava nascendo. Era all’incirca il 2020, Samuele arrivava da anni di esperienze a vario titolo in testate importanti (Il Foglio, Il Fatto Quotidiano, Linkiesta) quando ha avuto l’opportunità di entrare nell’universo di Torcha, Factanza, Will Media, Lo Spiegone, Vdnews e tante altre. Da poco ha messo in piedi un nuovo progetto, una rubrica settimanale dal titolo “Media è potere” ospitata nella pagina Instagram “Boom”, ovvero l’account con cui Spi-Cgil si mette in comunicazione con le giovani generazioni.

Il formato è quello tipico del social media di riferimento, il carosello. In pratica si tratta di un “contenuto che nasce per Instagram e parla di Instagram, e si consuma velocemente secondo le stesse logiche del media”, spiega Samuele.

“piangi, commenta, offendi” 

“Piangi, commenta e offendi. I post funzionano quando ci mettono l’uno contro l’altro. È ora di cambiare” si legge in apertura della prima puntata della rubrica. In dieci “card” (così si chiama uno dei formati dei contenuti di Instagram) Samuele riflette sull’interconnessione tra la regola “Bad news is good news” e le strategie di engagement proprie del media: più gli utenti mettono like, condividono e commentano un contenuto migliore è il tasso di interazione registrato, e di conseguenza migliore è la “performance” del relativo profilo. In linea di massima, una pagina di informazione sui social valuta se quello che sta pubblicando funziona o meno – e quindi se giornalisti, social media strategist, copywriter e tutte le altre figure del team lavorano bene – calcolando l’interazione con i suoi post, ed ecco perché l’algoritmo del social premia (promuove) i contenuti che ricevono più reazioni: conta la quantità del coinvolgimento, non per forza la qualità.

Le “variabili di marketing” vincono quasi sempre sulle “variabili editoriali”, e nella natura stessa del contenuti social devono esserci caratteristiche di autopromozione che sbaraglino la concorrenza: non c’è alle spalle la struttura della pagina di giornale, per dire, a fornire un contesto, ma bisogna attirare in fretta l’attenzione di chi sta scrollando. In questo gioco, non è difficile capire perché un argomento divisivo o polarizzante che dir si voglia sia un ulteriore elemento a favore di chi produce il contenuto, un po’ come la scelta del titolo più accattivante per un articolo di carta stampata. 

scelte ad hoc

Con questa operazione di “debunking” Maccolini vorrebbe lanciare semplici spunti di riflessione a chi lavora nel settore, invitare ad esempio a ragionare su come attuare strategie di produzione e gestione contenuti che mantengano quanto più possibile al centro la qualità dell’informazione. “Le redazioni social funzionano esattamente come le altre – spiega Samuele – si tratta di un lavoro giornalistico svolto su nuovi mezzi, che comportano la necessità di fare scelte ad hoc che possono anche influenzare il contenuto”. Nella sua visione, altro pubblico ideale di “Media è potere” sono coloro che, interfacciandosi quotidianamente con i contenuti social, hanno iniziato a porsi domande sul loro funzionamento e magari si chiedono perché una determinata pagina decide di pubblicare una cosa piuttosto che un’altra.

Ad esempio, un elemento che potrebbe essere approfondito in una delle prossime puntate della rubrica è la gestione della sezione commenti. In questo senso Will Media, che ha adottato la politica di rispondere per spiegare meglio il contenuto dei post laddove necessario, fa un ottimo lavoro secondo Samuele. “Nei social l’impatto col pubblico è diretto – spiega – i feedback arrivano a pochi secondi dalla pubblicazione. Avere il giusto ‘tone of voice’ nei messaggi di risposta è molto importante per controllare il tenore generale della discussione”. 

non tutti uguali

La questione del pubblico è centrale nella riflessione di Maccolini. Parafrasando, c’è confusione tra il cosiddetto “lettore ideale”, cui grosso modo continuano a rapportarsi le testate classiche, e il “target”, un concetto proprio del linguaggio commerciale. “Una volta – dice Samuele – i giornali parlavano a una classe di persone che, per quanto eterogenea dal punto di vista dell’età, aveva forti ideali condivisi. Le testate social, quando sono cominciate a nascere, hanno scelto come platea di riferimento i giovani. Ma i giovani non sono tutti uguali, non hanno tutti lo stesso capitale economico e sociale, per dire”. Bisognerebbe domandarsi allora a chi parla davvero quella data testata social? Quali sono i valori del suo utente ideale? Spostando il focus dall’età, si potrebbero forse scoprire delle cose in comune tra generazioni diverse, e così facendo riuscire a rappresentare meglio le istanze di un gruppo di persone, proprio come i media vecchio stampo.

Tutto questo, in ogni caso, al netto del fatto che un giornalismo social non può essere risolutivo per definizione, ma può alimentare un dibattito costruittivo: per chi fruisce nel senso di approfondire il legame con queste nuove realtà editoriale e riconoscercisi, per chi ci lavora nel senso di non accontentarsi degli “inglesismi” e delle “community”, ma di puntare alla formazione di comunità di persone in carne e ossa. 

(nella foto, Samuele Maccolini)

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