di ELETTRA BERNACCHINI
Da pagina di meme informativi satirici in ambiente universitario a testata giornalistica con 1 milione di follower su Instagram, 100mila su TikTok e oltre 40mila su LinkedIn. Contenuti che raggiungono “ogni mese una media di sei milioni di persone”. Due podcast, uno di rassegna stampa quotidiana (“Daily Five”) in esclusiva su Storytele e uno, appena inaugurato, che si propone di raccontare le aziende parlandone direttamente con chi le amministra (“Becco a Becco”, disponibile sulle principali piattaforme streaming). Un’attenzione particolare per le tematiche ambientali, il lavoro, il sociale.
È la parabola ascendente di Cnc Media, realtà editoriale nata nel 2015 come “Cose Non Cose” e diventata in meno di dieci anni un esempio italiano di informazione digitale. “Siamo una testata indipendente regolarmente registrata – racconta la Direttrice responsabile Francesca Cutrone, 28 anni, che ha lavorato ad Affari Italiani, Vita magazine, Milano AllNews – La redazione composta da una decina di persone tra giornalisti-autori, comparto video e grafica”. Sede a Milano, in via Privata Bastia. Simbolo, la Papera gialla di gomma dell’artista Florntjin Hofman, irriverente, allegra, provocatoria.
infotainment social
Il target è tenendenzialmente quello degli utenti under 35, l’obiettivo è informare una platea di persone più vasta possibile senza che queste sappiano che si stanno informando. Questo perché sui social network ci sono persone che “non stanno cercando a priori il commento del loro giornalista di riferimento, stanno semplicemente scrollando, incappano in un contenuto di Cnc Media e magari pensano che sia interessante”. Per questo le scelte grafiche, la presentazione visuale sono importantissime, è l’infotainment declinato in modalità social.
“Prendiamo le notizie – continua la Direttrice Cutrone – e le rielaboriamo in un video o in un carosello con la relativa didascalia, per un primo livello di approfondimento che invogli chi legge o guarda a saperne ancora di più. Tutte le nostre piattaforme, sito compreso, dialogano tra loro”. Il giorno in cui scriviamo, ad esempio, su Instagram è uscito un video in cui si parla della riapertura del caso di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati per la strage di Erba del 2006, e si ripercorre la vicenda giudiziaria, poi un carosello che parte dalla notizia del suicidio di un 23enne affetto da bipolarismo avvenuto nel carcere di Ancona, e si allarga al tema del sovraffollamento e alla malagestione degli istituti penitenziari italiani. Sul sito c’è un pezzo su “Byung-chul Han, il filosofo Pop che piace a Vasco Rossi”, un altro su “La paghetta degli adolescenti: 54 euro al mese a partire dai 12 anni” e un altro su “Dry January, i benefici di un mese senza alcool”.
branded content
Il rapporto con gli algoritmi dei diversi social è relativo. “Non siamo vincolati a un numero preciso di pubblicazioni – racconta ancora Cutrone – e non lavoriamo con l’obiettivo di inseguire i like, essendoci guadagnati un certo posizionamento e una certa credibilità”. Come fa, allora, una realtà del genere a sostenersi economicamente, senza ricevere sovvenzioni? La risposta è in una formulazione aggiornata del “pubbliredazionale”, che però nel giornalismo digitale, dove la logica della semplice “marchetta” non funziona granché, diventa “branded content”: “Parliamo con un’azienda – spiega Cutrone – e sviluppiamo insieme a questa un progetto informativo, segnalando la collaborazione. Ad esempio, abbiamo lavorato con un’impresa energetica creando contenuti su rinnovabili e altre questioni interessanti per il nostro pubblico”. Cnc Media elabora un’idea e l’azienda decide se investirci o meno.
telecamera e cellulare
Alla fine, la domanda fondamentale è una: chi è il giornalista digitale oggi, che ha competenze per fare qualsiasi cosa ma quasi mai una struttura editoriale alle spalle a sostenerlo. Cutrone racconta di un incontro avvenuto al Parlamento europeo, alla sede di Strasburgo, dove si erano riuniti professionisti dell’informazione provenienti da diversi paesi: “Solo io sono andata in qualità di new media, tutti gli altri non avevano una qualifica così netta. Credo comunque che dichiararsi testata giornalistica abbia ancora un valore, per lo meno in Italia, in termini di attestato di qualità. In ogni caso, bisogna rimanere al passo con i tempi. Quando facciamo gli incontri nelle scuole ai ragazzi diciamo che ormai è indispensabile avere una telecamera o un cellulare in mano e saper fare un video. Posto che stia prendendo molto più piede l’idea di diventare divulgatori o creator”.
L’ultima riflessione è sul rapporto tra l’Ordine dei giornalisti e le nuove professionalità, a cominciare dai social media manager. “Credo – conclude Cutrone – che sia una cosa da ragionare soprattutto in termini di formazione. Se appartenere all’Ordine significa avere la possibilità di lavorare in una testata e acquisire determinate competenze allora ok, poi comunque si impara sempre e solo stando sul campo. Ma se diventa un limite per chi quel lavoro già lo fa, non ha molto senso. I social sono una grandissima possibilità (per il giornalismo) ed è necessario che anche le sue professioni siano tutelate e riconosciute. C’è infine una domanda cui ancora non so rispondere: siamo troppi e mal gestiti, o troppo pochi ma con riferimenti sbagliati?”.
(nella foto, la papera gialla di Florentjin Hofman, simbolo scelto da Cnc)