Misinformazione e disinformazione. Per 1500 leaders mondiali in vari campi -aziende, università, società civile- si chiama così il rischio maggiore che il mondo corre nei prossimi due anni. Il grido viene dal World Economic Forum, l’associazione dei “poteri forti” del mondo, quelli che dovrebbero curarsi soltanto di crescita e profitti ed è perciò ancora più preoccupante. La misinformazione è la diffusione di informazione inaccurata e inattendibile, in modo non intenzionale. La disinformazione è la diffusione intenzionale di notizie false, per raggiungere uno scopo. 

SECONDO POSTO. Il cambiamento climatico viene al secondo posto, fra i rischi. Al terzo c’è la polarizzazione delle società, vale a dire la divisione netta dell’opinione pubblica, in schieramenti che non si ascoltano, non si comprendono, arrivano ad odiarsi. E la polarizzazione è favorita da disinformazione e disinformazione. D’altra parte, le società polarizzate sono le più disponibili a credere nelle false informazioni, che confermano le rispettive credenze. Al quarto posto, le violazioni dei sistemi informatici. Al quinto le guerre in atto e possibili, Ucraina, Gaza, Taiwan.

GIORNALISTI ARGINE. Questo processo -afferma il Report- è favorito dalla mancanza di forti media investigativi. E invece proprio i giornalisti possono essere una delle soluzioni ai problemi in arrivo. Un argine alla cattiva informazione, alla polarizzazione, alla prevalenza del sentimento sui fatti. 

DIECI ANNI. Tutto questo nella diciannovesima edizione del Global Risk Report 2024, a cura appunto del World Economic Forum, lo stesso che organizza ogni inverno l’incontro di Davos, sulle Alpi svizzere, fra esponenti di primo piano della politica e dell’economia mondiale. Il Rapporto sostiene che se si spostano i rischi sul traguardo di dieci anni, il clima va al primo posto, mentre misinformazione e disinformazione scivolano al quinto. 

ELEZIONI ORIENTATE. Perché questo grande timore a breve termine per misinformazione/disinformazione? Tanto per cominciare nell’anno corrente andranno al voto tre miliardi di persone, in 76 Paesi, fra i quali Stati Uniti, Regno Unito, India, Messico, Indonesia e la cattiva informazione “può disturbare i processi elettorali, può destabilizzare la legittimazione dei governi eletti, può portare all’erosione del processo democratico”. 

SOCIAL MEDIA. Sono i progressi tecnologici -secondo il Report- ad aumentare il volume e l’efficacia delle informazioni falsificate, con flussi più difficili da tracciare, attribuire e controllare. “Anche la capacità delle società di social media di garantire l’integrità delle piattaforme sarà probabilmente sopraffatta di fronte alle molteplici campagne in arrivo”. La disinformazione sarà sempre più personalizzata, mirata verso gruppi specifici e diffusa attraverso piattaforme come WhatsApp o WeChat. 

REGOLE LENTE. Elemento chiave è l’arrivo in scena dell’Intelligenza artificiale, “che ha consentito l’esplosione di informazioni falsificate e dei cosiddetti contenuti sintetici, dalla clonazione vocale ai siti web contraffatti”. Si legge nel Report che “è improbabile che la regolamentazione dell’AI possa star dietro al ritmo dello sviluppo della tecnologia”. 

CONTENUTI GENERATI. E’ difficile distinguere contenuti umani da quelli generati dall’AI. Anche quando questi ultimi sono segnalati, le “etichette” spesso non sono visibili ai consumatori. E una video campagna elettorale con uso di AI “può influenzare i votanti e infiammare proteste”. False informazioni “sono in grado di creare conseguenze gravi per la coesione sociale  e per la salute mentale, con emozioni e ideologie che prevaricano i fatti”. 

SOPPRIMERE DISSENSO. Non è tutto: false informazioni possono essere utilizzate non solo come fonte di disordine sociale, “ma anche per controllare i cittadini, per attuare programmi politici. La proliferazione della disinformazione può essere la leva per rafforzare l’autoritarismo digitale. I governi possono cercare di determinare cosa è vero e sopprimere le voci di dissenso, compresi giornalisti e oppositori”. 

INTRECCIO A TRE. C’è un collegamento e un intreccio fra tre rischi: la misinformazione/disinformazione, la censura e sorveglianza, l’erosione dei diritti umani. Tutto questo riguarda in particolare democrazie imperfette e regimi ibridi. Ma anche nelle democrazie più mature “esistono tentazioni di maggiori controlli da parte dei governi e compromessi fra la gestione della cattiva informazione e protezione della libertà di parola”. 

POTERE AI NON ELETTI. Un’altra sezione del Rapporto allunga il campo delle previsioni, portandolo fino al 2034. Nella parte che riguarda l’Intelligenza artificiale gli allarmi sono molteplici. La produzione di tecnologie di AI è altamente concentrata e favorisce e poche aziende e Paesi. Ciò significa aumentare il potere nelle mani di gruppi e persone non elette dai cittadini. AI può creare ulteriori divisioni tra chi è in grado di accedere o produrre le risorse tecnologiche e coloro che non sono in grado: ci saranno vincitori e vinti. 

DIAGNOSI PRECOCI. Esempi: in campo sanitario AI permetterà una maggiore personalizzazione della pubblicità, faciliterà la profilazione e la discriminazione per gli obiettivi delle assicurazioni, permetterà nuove forme invasive di monitoraggio dei dipendenti delle aziende, farà accedere alle costose diagnosi precoci soprattutto i ricchi. 

INVOLONTARIE ESCALATIONS. E in campo militare il timore è l’avvento di sistemi abilitati a prendere decisione su azioni letali, a interpretare informazioni per dare inizio a un conflitto: “Una più profonda integrazione dell’AI nelle decisioni sui conflitti può portare a involontarie escalations. L’accesso aperto alle applicazioni dell’AI può conferire potere ad attori malintenzionati”. Il brivido: armi nucleari e biologico nelle mani di AI. 

ISTRUZIONE E FORMAZIONE. Ma ci sono azioni per frenare questi scenari inquietanti: essenzialmente, la massima alfabetizzazione e consapevolezza dei cittadini nei confronti di AI. “Attraverso sistemi di istruzione pubblici e corsi di formazione per giornalisti e decisori. Attraverso la più ampia cooperazione fra le potenze mondiali”.

Professione Reporter

(nella foto, l’incontro annuale di Davos del World Economic Forum)

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