(di francesco garibaldi)
È il lavoro, anzi “Il buon lavoro” (ed. Luiss University Press – collana “Bellissima”) l’osservato speciale di Stefano Cuzzilla (Presidente Federmanager e Ferrovie dello Stato) e Manuela Perrone (giornalista de Il Sole 24 ore), in un’analisi sulla trasformazione delle professioni, le nuove competenze richieste, le politiche di welfare messe in campo dalle aziende, le sfide dell’Intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie. E poi, il ruolo dello smart-working, che ha provocato una dematerializzazione di spazi e tempi della prestazione lavorativa, grazie a una VPN (Virtual private network), e ha aperto nuovi scenari.
Come ha scritto Ferruccio De Bortoli nella prefazione, il lavoro “non è più un tempo sottratto alla vita, alla libertà individuale e collettiva, ma il suo completamento, la sua realizzazione”.
colli di bottiglia
Sono tanti i “colli di bottiglia” che condizionano il lavoro in Italia rispetto all’Europa: il più basso tasso di occupazione femminile tra i 20 e i 64 anni (55%) nell’Ue a 27 Paesi (media 69%), insieme alla Grecia e a Malta; la più alta presenza di giovani che non lavorano e non studiano (Neet, Not in Education not Employment or Training), circa 2 milioni; un mismatch (disallineamento tra domanda e offerta di lavoro) lamentato dalle aziende in una ricerca su due per la scarna presenza di candidati in settori strategici come il digitale, la cybersecurity e l’AI; un invecchiamento della forza lavoro, per cui già nel 2011 il giuslavorista Pietro Ichino aveva parlato di “apartheid” per “indicare i due mercati del lavoro: quello dei padri, protetto e sindacalizzato, e quello dei figli, flessibile, mobile, precario e liquido”.
Dati, opportunità e criticità del lavoro sono sviscerati nel saggio di Cuzzilla e Perrone, un viaggio nel mondo delle professioni, nelle richieste delle aziende, nella qualità delle istituzioni della Pubblica Amministrazione.
flessibilità, agilità
Dato che “il lavoro che cambia ha bisogno di una visione strategica, perché è il Paese a cambiare insieme al lavoro”, nel saggio non mancano le proposte: un aumento del saldo migratorio, accompagnato da politiche ben concepite di formazione e integrazione, indispensabili per l’inserimento dei migranti nel tessuto sociale e produttivo”; “una riforma del sistema di istruzione e formazione, aggiornando metodi, programmi e orientamento”, puntando sulle “azioni che riguardano lo spazio, il tempo, i valori, la salute, la responsabilità sociale. Flessibilità, agilità. Antifragilità, conciliazione tra vita professionale e vita personale”, come leve di “benessere note a cui la pandemia ha attribuito significati nuovi”.
Intesa Sanpaolo, Essilor Luxottica, SACE sono solo alcune delle aziende più note del nostro Paese che su quest’ultimo elemento hanno riflettuto, introducendo negli ultimi mesi la “settimana corta”, con soli quattro giorni lavorativi alla settimana.
cambiare competenze
In un quadro di trasformazioni tecnologiche rapidissime, la velocità alla quale i mestieri nascono e muoiono, soppiantati dalle macchine o per naturale obsolescenza, è ormai fuori controllo, come sancito dal report “The future of jobs” 2023 del World Economic Forum, che ha stimato che nei prossimi cinque anni il 44% dei lavoratori dovrà cambiare le sue competenze e che sei su dieci richiederanno una formazione prima del 2027.
Ad offrire uno spaccato di come il lavoro stia cambiando oggi, e a quali siano le richieste di datori e candidati, nella seconda parte del saggio, sono dodici interviste a HR Manager (Capi del Personale) di grandi aziende italiane (tra cui Leonardo, FS, Snam) e cacciatori di teste (Key2people, Heidrick & Struggles).
Dalla “Great Resignation” (l’ondata di dimissioni volontarie post-pandemia) al “quiet quitting” (fare il minimo indispensabile) al “job hopping” (saltare da un posto all’altro). È piena di anglicismi quella che si può a tutti gli effetti definire la “scienza del lavoro”.
La dura vita delle aziende nel 2024 passa dalla ricerca continua di un sottile equilibrio tra sostenibilità del proprio business, impegno nell’innovazione verso l’ambiente e promozione del benessere dei propri dipendenti. È, quindi, un percorso alla ricerca della felicità: non è un caso che in molte aziende si stia diffondendo la figura del “Chief happiness officer”, definito nel libro “un esperto di organizzazioni positive, che fa dialogare i processi organizzativi con i comportamenti e la cultura”, come un “promotore dello star bene”. Per far sì che gli altri dipendenti possano fare un “buon lavoro”.