di MICHELE MEZZA
Ma come si compongono le tavolate dei talk show? Come vengono scelti e selezionati gli opinionisti che devono dare nerbo e smalto al dibattito?
Stiamo parlando di quei format televisivi che ormai hanno abbondantemente sostituito testate e tg nella fabbricazione dei commenti sull’attualità politico culturale, dove un ristretto giro di giornalisti o esperti determina ormai il senso comune del dibattito pubblico.
Si tratta di marchi televisivi sempre di un certo seguito, che si inseguono sui palinsesti di tutte le emittenti, determinando un’unica agorà televisiva.
titolari delle opinioni
Marchi che, in larga parte, tendono ormai a sostituire gli stessi partiti, come titolari delle opinioni e della rappresentanza di interessi e culture.
Ci riferiamo a trasmissioni come “Otto e mezzo” de La7, condotta da Lilli Gruber; oppure “diMartedì” ,sempre su La7, di Floris, o ancora di “Cartabianca”, appena traslocato da Rai3 su Rete4, condotto da Bianca Berlinguer, o “Ma che tempo che fa” di Fazio, che giganteggia sulla 9.
Dall’elenco non appaiono titoli forti della Rai, dopo la transumanza dei conduttori in odore di opposizione rispetto al governo. Ma rientrano nella tipologia appuntamenti come “Agorà” della terza rete o i supplementi del TG2, oppure l’inossidabile “Porta a Porta” di Bruno Vespa.
conduttore-domatore
Il format è più o meno sempre lo stesso: un conduttore-domatore, che si esprime attraverso il panel degli invitati, di cui eccita o contiene esuberanze dialettiche, un tavolo, le sedie e una luce che illumina la scena. Il resto è pura decorazione.
Come spiegano gli storici della Tv, il talk fu adottato negli anni ’80 proprio per la sua semplicità ed economicità produttiva: costa poco e rende tanto .
Il prototipo del talk, così come lo conosciamo oggi, fu inventato da Gianfranco Funari, all’inizio degli anni 80 con “Aboccaperta”. Più o meno consapevolmente si stava sperimentando il primo linguaggio populista, in cui le opinioni di gente normale vengono scagliate contro le istituzioni e il governo.
Discussione a toni accesi
Una certa virulenza nei comportamenti, i toni accesi della discussione diventano parte integrante dello spettacolo. Come scrive nel suo ultimo saggio, “La crisi della narrazione”, il sociologo tedesco di origine sudcoreana Byung-Chul Han “al cospetto dell’incremento sempre maggiore di permessività si rafforza il bisogno di forme narrative di chiusura. I modelli narrativi populisti, nazionalisti, di estrema destra o tribali, inclusi i modelli narrativi complottistici, rispondono proprio a questo bisogno“.
Il modello viene poi perfezionato e meglio adattato al contesto nazionale da Maurizio Costanzo con il suo primo “Bontà loro” in Rai e poi con l’esplosione del Costanzo Show a Mediaset.
Costanzo diede forma e capacità di intervento nel senso comune al talk. Cominciò a combinare volti noti dello spettacolo con opinionisti e giornalisti emergenti, pilotando l’attenzione del pubblico verso quei personaggi su cui investiva, per creare nuovi personaggi. Era la trasmissione che creava valore e gli invitati erano i beneficiati.
calore all’audience
Sgarbi, ad esempio, nasce proprio sul confine fra la chiassosità di Funari e l’ammiccante e felpata ironia di Costanzo. Il critico d’arte, debitamente guidato, diventa un caratterista del talk. Sulla sua scia si affermano, alzando i toni della discussione, a volte con vere e proprie performance provocatorie, una pletora di polemisti che danno calore all’audience.
Poi, al passaggio del nuovo millennio arriva il web, e in particolare i social, come incubatore di linguaggi e personalità, pensiamo agli influencer, che cominciano a contaminare la scena televisiva. Arrivano in tv figure di commentatori fai da te, dotati di una propria scia di follower, che si identificano con una certa visione del problema che viene discusso.
tavolate e scuderie
A questo punto però il caleidoscopio dei personaggi si stabilizza: ogni conduttore forma una propria scuderia e parla attraverso le tavolate che apparecchia. Nasce così un vero mercato delle comparsate. Gli invitati che inizialmente vengono retribuiti, iniziano a pagare loro per esserci. In rete appaiono le prime pubblicità di società e agenzie che, in cambio di una parcella, assicurano inviti e presenze ai tavoli delle trasmissioni più popolari.
Si innesta così per i giornalisti o esperti lo stesso meccanismo che funziona per gli attori: la visibilità è una merce che si procura e si scambia, a fronte di una parcella, che risulta proporzionale all’incremento reputazionale che la presenza in video produce.
Si passa così – lo scrive ancora Byung-Chul Han- dallo story-telling allo story-selling: la narrazione serve a vendere.
opinione funzionale
Solo che ad essere venduta e comprata è la propria reputazione, che viene valorizzata dalla visibilità televisiva.
In sostanza l’opinionista, per essere pilotato nel mercato dei Talk, si deve dotare di un’opinione che sia funzionale alla tavolata a cui partecipa. Deve essere riconoscibile per una sua esplicita e visibile posizione, in modo da essere funzionale alla composizione della tavolata. Dopo di che l’agenzia pianifica la partecipazione.
Un recente studio sul fenomeno degli ingaggi alle diverse trasmissioni d’attualità è stato condotto dal professor Marco Gambaro dell’Università Statale di Milano e dai suoi collaboratori. La ricerca ha censito con grande rigore le presenze in video nei i principali talk degli ultimi 11 anni (dal 2012 al 2023).
trittico d’oro
Un’analisi dettagliata che ci mostra in filigrana la geometria dell’opinionismo in tv, la formazione delle squadre che si sono ormai consolidate. Nella ristretta casta spiccano alcuni jolly che giocano trasversalmente su più tavolate, in virtù della propria integrabilità, possiamo dire in ogni tipo di dibattito. In testa troviamo un trittico d’oro: Alessandro Sallusti, che come direttore de Il Giornale ormai di mestiere fa il rappresentante della tradizione della destra; Marco Travaglio, che in quanto direttore de Il Fatto quotidiano ha così il pretesto di furoreggiare in ogni talk come guastatore grillino; e Massimo Giannini, che completa la trimurti sul fianco sinistro, a nome e per conto di Repubblica e dintorni. I tre mattatori hanno accumulato nel periodo censito almeno 360 ospitate. Alle loro spalle una pletora di incumbent, che si fanno spazio radicalizzando posizioni e comportamenti.
Analizzando poi le classifiche dei singoli programmi si coglie la gerarchia degli invitati: gli abbonati permanenti, regolarmente contrattualizzati, i gettonisti, meno regolari, e i saltuari, che devono ancora spingere per il loro posto al sole. Nel lavoro del professor Gambaro sono infatti analizzate le serie storiche delle singole trasmissioni. E vediamo come, ad esempio, “Cartabianca” di Berlinguer si sia costruita sul quadrilatero Mauro Corona, Maurizio Belpietro, Andrea Scanzi e la new entry, con la guerra in Ucraina, di Alessandro Orsini, che occupano saldamente la classifica delle presenze. Mentre “diMartedì” ha nel sondaggista Pagnoncelli la sua punta di diamante, seguito da Sallusti e Giannini. Gruber con “Otto e mezzo” gioca a tempo pieno con il trittico Travaglio, Sallusti e Giannini. Le seconde linee presentano invece nomi la cui provenienza andrebbe analizzata per comprenderne l’origine. Come sono arrivati profili inizialmente del tutto ignoti sul grande palcoscenico: è qui che possiamo scorgere la mano invisibile delle agenzie di promozione?
moneta di scambio
Ora è evidente che questa dinamica comporta una specie di economia politica delle opinioni, in cui l’interesse non è tanto economico quanto indotto dalla visibilità che si ottiene. E’ questa la vera moneta di scambio. La ricerca di visibilità è il fattore destabilizzante, che interviene proprio nel processo formativo di ogni singola posizione. Ognuno dei componenti dei diversi equipaggi deve essere capace di ottimizzare i suoi commenti con l’evoluzione di quelli dei suoi interlocutori, per mantenere funzionale la sua presenza. Cosi come deve poi rinfrescare periodicamente la propria posizione per salvaguardare l’attrattività del proprio nome in trasmissione.
Ma più in generale non è difficile individuare il nesso fra questo modello di diffusione delle opinioni e la cappa sovranista che ci copre tutti, proprio come scrive il sociologo di origine coreana che abbiamo già citato. La distorsione interviene proprio nel gioco delle contrapposizioni delle singole opinioni, che inevitabilmente radicalizza ogni posizione per renderla sempre più visibile.
informazione e spiegazioni
Un meccanismo che fu colto, in un gorgo storico in cui il populismo e il sovranismo erano, come oggi, dominanti, da Walter Benjamin che, a ridosso della seconda guerra mondiale, gia annunciava che “ogni mattino ci informa delle novità di tutto il pianeta. E con tutto ciò difettiamo di storie singolari e significative. Ciò accade perché non ci raggiunge più alcun evento che non sia già infarcito di spiegazioni. […] È la meta dell’arte del narrare, lasciare libera una storia, nell’atto di riprodurla, da ogni sorta di spiegazioni. […] Lo straordinario, il meraviglioso è riferito con estrema precisione, ma il nesso psicologico degli eventi non è imposto al lettore. Che rimane libero di interpretare la cosa come preferisce; e con ciò il narrato acquista un’ampiezza di vibrazioni che manca all’informazione”.
Intendendo però per informazione un linguaggio che ibrida l’attualità con l’intrattenimento, creando bolle di momentanea e artificiale dialettica.
Ancora Byung-Chul Han ci avverte come intrecciandosi con l’intrattenimento “l’informazione procede per addizione e accumulo, essa non è portatrice di senso, mentre nel racconto il senso transita. Senso significa originariamente ‘direzione’. Oggi siamo dunque meglio informati, ma privi completamento di orientamento”. Nonostante tutto questo ben di Dio al tavolo dei talk .