di ERIC SALERNO
La guerra è guerra. Guerra e onestà sono due elementi che non sono mai stati concordanti; quasi sempre il netto contrario. Tre dei figli e tre nipoti del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh sono stati assassinati il 10 aprile con un ordigno israeliano mentre salivano su una vettura nel centro di Gaza City. Guerra? Vendetta? Israele sostiene che erano tutti “diretti a compiere un atto terroristico”. Una specie, scusate il sarcasmo, di gita in famiglia.
trentamila palestinesi
Parlare di giustizia e onestà in piena guerra serve a poco, soprattutto dopo che sono stati uccisi più di trentatremila palestinesi, in buona parte civili e bambini, da quando i militanti di Hamas e della Jihad islamica sei mesi fa attaccarono le pacifiche comunità ebraiche in Israele lungo il confine con la striscia di Gaza. L’affermazione di fonti israeliane, che dopo la morte dei parenti di Haniyeh, lui “probabilmente” non sarà più disponibile a negoziare lo scambio di ostaggi-prigionieri fa sorridere. Da giornalista avrei sorriso anche io, se non fosse per il fatto che già sorridevo dopo aver letto, appena prima, il comunicato della “Direzione nazionale della diplomazia pubblica” israeliana che ha presentato, con orgoglio “la sua attività sulla scena internazionale dopo sei mesi di guerra”.
campagna globale
“Fin dalle prime ore della guerra, la Direzione Nazionale della Diplomazia Pubblica, presso l’Ufficio del Primo Ministro, ha condotto una campagna globale di diplomazia pubblica di portata senza precedenti – leggo e sottolineo – al fine di promuovere la legittimità della politica e degli sforzi israeliani sul campo di battaglia”.
Non voglio fare paragoni, ma l’organizzazione – o quanto meno come viene presentata dalle autorità israeliane – fa venire in mente storie di cui leggevo da ragazzo, soprattutto perché ai giornalisti, approdati a Tel Aviv, è stato concesso raccontare quello che vedevano in Israele e lungo il confine con Gaza, ma non potevano osservare, se non a distanza, quello che succedeva nella “striscia”, devastata da mesi di bombardamenti quasi costanti, se non accompagnati (e per poco tempo) dalle truppe israeliane. Il termine “embedded” era diventato famoso ai tempi dell’assalto americano all’Iraq di Saddam Hussein. Un’altra guerra dove devastazione e “overkill” avevano raggiunto livelli incomprensibili. E dove il risultato finale della guerra al leader iracheno ha lasciato morti, feriti e una nazione a dir poco spezzettato e in disordine.
centinaia di storie
“Tra le agenzie che partecipano al centro di comando – si legge nel comunicato israeliano – ci sono i servizi di sicurezza, l’IDF, la polizia israeliana e organismi governativi tra cui il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero per gli Affari della Diaspora, l’Agenzia pubblicitaria governativa e l’Ufficio stampa governativo. Di seguito, una sintesi dei servizi forniti alla comunità internazionale”.
E ancora: “Attraverso il lavoro di portavoce e di diplomazia pubblica con i principali mezzi di stampa e radiotelevisivi di tutto il mondo, la Direzione nazionale della diplomazia pubblica ha contribuito ad avviare e promuovere centinaia di storie – interessante questo passaggio – per rafforzare la narrativa israeliana, moderare i resoconti critici, rispondere agli eventi di cronaca e generare un’intensa attività favorire l’equilibrio nella copertura”.
tour e sito web
“La copertura globale degli eventi della guerra – viene raccontato con orgoglio – è stata di una portata senza precedenti. Oltre 4.000 giornalisti da tutto il mondo sono venuti in Israele per seguire la guerra, trasformandola così nell’evento mediatico più seguito dalla fondazione dello Stato… I giornalisti hanno partecipato a tour nel sud e nel nord, hanno visitato il sito del festival NOVA e hanno ricevuto briefing strategici e di zona da ufficiali dell’IDF, agenti di polizia, volontari ZAKA, capi di consiglio locale e testimoni del massacro… Nell’ambito degli sforzi di diplomazia pubblica sulla scena internazionale, la Direzione nazionale della diplomazia pubblica – in collaborazione con il portavoce dell’IDF – ha lanciato il sito web ‘Massacro di Hamas del 7 ottobre’, che ha mostrato al mondo alcuni dei crimini di Hamas contro l’umanità, con fotografie e videoclip… Il sito ha avuto 43 milioni di visite nei primi tre giorni”.
attacco e ferocia
Una assistenza quasi perfetta, se non fosse per il fatto che molto del materiale giornalistico presentato ai giornalisti veniva scelto o preparato in modo da portare avanti una narrativa ben precisa, che voleva giustificare la ferocia dell’azione militare israeliana – morti, feriti, Gaza trasformata in una terra praticamente inabitabile – come risposta al indubbiamente feroce attacco dei militanti palestinesi. Lo sforzo dell’apparato propagandistico israeliano non è riuscito a trasformare la narrativa o a moderare le critiche che sono piombate, mai come prima, sul governo israeliano.
E il 10 aprile un episodio minore ha influito negativamente sugli sforzi dell’apparato propagandistico. La corrispondente di Tve (rete televisiva spagnola) in Israele, Almudena Ariza, ha dovuto interrompere il collegamento in diretta con il Telegiornale 1 da Gerusalemme quando un uomo si è piazzato davanti alla telecamera e non le ha permesso di continuare la cronaca.
uomo vestito di nero
“Non lasciano lavorare, mi dispiace molto. Dobbiamo interrompere”, ha spiegato Ariza, mentre un uomo vestito di nero, probabilmente un ebreo ortodosso, le faceva segno di spostarsi. “Non è la polizia, è un cittadino comune”, ha precisato mentre era in collegamento e cercava di spiegargli – in inglese – che stava solo facendo il suo lavoro e chiedeva di lasciarla continuare. L’ingresso in scena di altre persone ha messo fine al collegamento e Tve ha spiegato sul suo account X: “La pressione su Netanyahu aumenta e aumentano anche le difficoltà nell’informare da Gerusalemme, come è successo alla nostra corrispondente, interrotta da vari cittadini durante una connessione in diretta”.
(testo da La voce di New York, The First Italian English Digital Daily in the US)
(nella foto, la guerra a Gaza)