di MICHELE MEZZA
La cura funziona ancora ma il malato non guarisce.
Sembra questa la situazione dopo lo sciopero dei giornalisti Rai in azienda.
L’Usigrai ha confermato la sua rappresentatività, radicata particolarmente nella ramificazione della Tgr.
Le testate nazionali, per loro natura e struttura, sono segmenti verticali, in cui, con una mobilitazione di componente era sempre stato possibile mandare in onda edizioni di emergenza.
La pressione sindacale, l’attenzione politica e culturale dall’esterno, e soprattutto un legame fra redazioni e direzioni avevano sempre impedito questo sgarro.
soluzione finale
Ora, al di là della provocazione, c’è da riflettere sulle dinamiche che lo sciopero ha innestato. La sobillazione arrivata direttamente da Palazzo Chigi ci fa intendere che il governo sia ormai orientato ad una soluzione finale in Rai, arrivando ad un regolamento di conti con l’Usigrai e le opposizioni.
Il problema non è tanto l’impresentabile sindacato giallo, creato alla bisogna, quanto una trasformazione della costituzione materiale che sorreggeva la rappresentatività del sindacato in azienda.
L’Usigrai nasce negli anni ’80, nel fuoco dello scontro con Berlusconi e il CAF di lontana memoria (la maggioranza andreottiana e craxiana che guidava il paese) in virtù di una straordinaria intuizione sia professionale- la centralità del redattore massa periferico rispetto ai giornalisti delle redazioni centrali- sia culturale, abbracciando l’intero arco costituzionale, con una sapiente alchimia che combinava le spinte della sinistra filo comunista alle sensibilità del fronte cattolico di una forte sinistra dc in Rai.
spazio vitale
Questa combinazione verticale, che arrivava a toccare segmenti non marginali della maggioranza di governo, che tramite la molecolare assistenza alle redazioni regionali faceva massa critica, penetrando nei gangli vitali dell’informazione pubblica, ha permesso all’Usigrai di navigare contro corrente, nel senso più letterale del termine, reggendo gli assalti dei governi centristi e poi dell’ondata berlusconiana e del centro destra più esplicito.
Il motore di questa forza propulsiva era la coincidenza fra gli interessi sindacali (occupazione, trattamenti economici, mobilità professionale, nuove edizioni) con quello dell’azienda che doveva difendere lo spazio vitale dall’imperialismo del concorrente privato.
patetica pianta organica
Da qualche anno questa coincidenza si è rovesciata nel suo contrario: la salvaguardia delle conquiste sindacali, o comunque una sua interpretazione molto rigida, ha preso a cozzare con le necessità di trasformazioni radicali sia del modello produttivo che delle relazioni professionali, a cominciare dalla fin troppo nota questione della ricomposizione della tripartizione, ossia di quella ormai patetica pianta organica che vede le redazioni agire in parallelo, con ancora un’accentuata competizione interna, invece di sfruttare le sinergie che il digitale impone.
Finché le resistenze sindacali ad una riorganizzazione profonda degli apparati aziendali che da fabbrica di pluralismo di massa sono chiamati sempre più a diventare matrice di linguaggi e sistemi digitali altamente personalizzabili, sono rimaste nell’alveo della dialettica aziendale, con un continuo stillicidio di ogni strategie e management che sollecitasse l’inevitabile modernizzazione, ma comunque in una sfera di sensibilità culturali e politiche affini, siamo rimasti nell’ambito di una dialettica interna e di una sorda guerra di posizione.
bulimia di potere
Ora lo scenario esplode perché entra in campo una maggioranza politica del tutto opposta e discontinua rispetto alla cultura Usigrai, e sopratutto guidata da una bulimia di potere, intollerante di qualsiasi concertazione. Siamo così ad un clash of civilization, avrebbe detto Samuel Huntington, uno scontro di civiltà che non ammette mediazioni.
L’esecutivo pensa ad una vera pulizia etnica, in cui eliminare ogni attrito. Il sindacato non trova più sponde nella sua concertazione aziendale, e vede l’attacco al suo primato gestionale combinarsi con una subordinazione delle redazioni direttamente al capo del governo.
La conseguenza di questo shock è il fatto che la costituency dell’Usigrai, la sua caratteristica di partito azienda in grado di assicurare la difesa del servizio pubblico con la tutela di ogni singola posizione redazionale, dialogando, quasi da pari a pari con istituzioni e partiti, è ormai del tutto svanita. Bisogna ricostruire una nuova identità e soprattutto una dinamica rappresentativa in cui azienda pubblica e il suo capitale umano professionali possano trovare una missione più aderente agli interessi del sistema Paese.
guerra ibrida
Il governo declama di digitale, ma ha chiaramente mostrato di non avere alcuna bussola, se non una pedissequa traduzione del sovranismo in versione tecnologica, reclamando un’autonomia del Paese, ma perseguendo poi una piena subalternità ai centri proprietari internazionali, come si è anche evinto dall’ultimo disegno di legge sull’Intelligenza artificiale.
Dunque è su questo punto che bisogna lavorare, selezionando una base sociale interna e un’area di alleanze e parternariato esterne, che convergano su un rilancio della centralità del servizio pubblico multimediale come infrastruttura di tutela della sicurezza nazionale nello scenario della guerra ibrida, in cui informazione e gestione dei dati sono materia di conflitto.
mossa del cavallo
Ovviamente per questo, esattamente come fece 40 anni fa, a metà degli anni ’80, il sindacato deve fare una vera mossa del cavallo, assumendo il tema della modernizzazione, corredato di diritti e valori da preservare, ma scomponendo rendite di posizioni e continuità organizzative. L’unificazione della fabbrica delle news deve essere, anche per le dinamiche sindacali, un elemento da rivendicare non da temere: un grande news gathering sarebbe un soggetto di contrattazione interna potente. Cosi come una nuova selezione delle funzioni professionali, che metta i giornalisti al centro dell’evoluzione tecnologica, rendendoli negoziatori dei nuovi processi digitali e non utenti passivi di quanto si compra tanto al kilo all’esterno. Infine la relazione con quanto vive fuori da Saxa Rubra, collegandosi con quel tessuto di artigianato digitale che cerca un contenitore per esperienze e sperimentazioni territoriali, facendo lavorare così il Paese e non solo se stessi.
Non sarà facile e tantomeno indolore, ma pare possibile rimanere fermi?
L’Usigrai ha fatto accordi e ripartito prebende dimenticando di difendere i suoi iscritti. O meglio “occupandosi” solo di chi veniva segnalato dai referenti politici e di potere. Un collettore di raccomandazioni con la kefiah al collo. E coerentemente, devo ammettere, si è verificato un ammanco di denaro di cui i vertici dell’Usigrai interessati non danno risposte. Aggiungo che la signora Enrica Agostini, presidente del Cdr di Rainews 24 in cerca di visibilità, racconta molte bugie e questo non le è consentito. E infatti dovrebbe dimettersi, con il resto del gruppo inconsapevole ed inadeguato. Non hanno neanche capito che per la situazione in atto avrebbero dovuto almeno differirlo. Perché sono ragionieri del tornello e delle maggiorazioni, turnisti da salotto, non sono giornalisti. Inviati di guerra che scioperano mentre sono in trasferta, e che ricevono pressioni… Una vergogna.
Assolutamente d’accordo.