(A.G.) La data è 3 aprile 1996. I giornalisti del Corriere della Sera votano sul Direttore e il Direttore è addirittura Paolo Mieli, l’uomo che ha “messo la minigonna” al primo quotidiano italiano e ha cambiato -per imitazioni successive- il giornalismo del Paese. I giornalisti del Corriere bocciano l’”alleggerimento” di Mieli al modo di fare il giornale, lo sguardo tutto puntato sul Palazzo, sui suoi intrighi, sulle sue chiacchiere. E non succede niente. Mieli va via per diventare Direttore editoriale Rcs un anno dopo e riprende il comando di via Solferino dal 23 dicembre 2004 all’8 aprile 2009.
il cuore del potere
Questa vicenda torna d’attualità perché numerose redazioni negli ultimi tempi hanno sfiduciato i Direttori, al Sole 24 ore, a la Repubblica, all’Agi, al Tirreno, al Centro, a Tuttosport. E tutti i Direttori sono rimasti al loro posto. La storia della sfiducia a Mieli è raccontata da Raffaele Fiengo, storico leader del Comitato di redazione del Corriere, nel suo libro “Il cuore del potere” (Chiarelettere, 2016). Mieli era Direttore della Stampa, dove ha già cominciato a ringiovanire e a rendere più brillanti le pagine. La proprietà (Agnelli e “salotto buono” milanese) lo chiama al Corriere. L’editoriale d’ingresso, 10 settembre 1992, è intitolato “Le cose da fare”. “Mieli -scrive Fiengo- è pragmatico, dentro uno schema abbastanza chiaro; ribadisce il ruolo che un grande giornale ha, oltre a quello di informare: portare nel Palazzo e ‘a tutti i centri nervosi del Paese’ il peso e il modo di vedere dell’opinione pubblica. Progetto ambizioso però anche pericoloso, per la tentazione che ha in sé di rendere il giornale parte del grande gioco”. Paolo Mieli arriva in via Solferino “per mettere la minigonna al Corriere”, dichiara Gianni Agnelli in un’intervista.
tre punti
La rivoluzione del mielismo, secondo la sintesi di Fiengo, si declina in tre punti:
1) Privilegiare la cultura come cronaca di dibattito e discussioni, aprire il confitto su temi presi da libri in uscita, sceneggiare il confronto con due articoli contrapposti e aggiungerci un terzo articolo contenente le diverse opinioni.
2) Applicare l’ascensore tra l’alto e il basso della cultura, mescolando il tutto secondo gli echi postmoderni. Favorire la controversialità, anche con pareri di non competenti, purché siano volti noti, personaggi dello spettacolo, della politica e della tv.
3) Rivisitare la storia in chiave revisionistica, mettendo in discussione i luoghi comuni della memoria.
il carattere di una rivolta
Ecco un piccolo esempio: una nave Tirrenia di notte finisce su un isolotto nel canale di Olbia e, solo alla notizia -falsa- della presenza a bordo di Alba Parietti, viene presa in considerazione.
Alla fine del gennaio 1995 la protesta interna al Corriere -racconta Fiengo- “assume i caratteri di una rivolta. Uno dei temi sentiti è l’eccessivo spazio alla politica. Rodolfo Brancoli, corrispondente dagli Stati Uniti, dice: “Si coprono assiduamente anche i ballatoi e i sottoscala del ‘Palazzo’ senza guardare al resto del Paese”. Alle accuse di leggerezza, Mieli replica: “L’interesse dei lettori va più a film, storie con nome e cognome, che a documentari”.
piano confuso
Novembre 1995, il Cdr incontra Mieli per chiedere formalmente il ripensamento del giornale, chiedono “di far ragionare la gente, anziché far da megafono a ogni pettegolezzo, portando tutte le cose su uno stesso confuso piano”.
Mieli va avanti per la sua strada e si arriva al 2 aprile 1996. Il Cdr chiama i giornalisti a un referendum per l’indomani, con voto segreto. Il quesito: “Ritieni che l’attuale modo di fare il giornale (la sua organizzazione e l’utilizzazione delle energie) e il modello voluto dal Direttore coincidano con l’interesse reale, l’autorevolezza e la credibilità del Corriere, dei lettori e di quanto tu pensi debba essere la professione giornalistica?”. Non un vero e proprio voto su Mieli, bensì sulla sua “rivoluzione” informativa.
dialogo interrotto
Su 328 aventi diritto votano 210 giornalisti. Trentanove dicono sì, ritengono valido il nuovo modo di Mieli di fare il giornale. Centoquarantanove votano no, ventuno schede bianche, una nulla. L’Editore reagisce prontamente: respinge “il ricorso a procedure irrituali e votazioni improprie”. Le considera “una inaccettabile ingerenza nelle prerogative del Direttore”. Quarantotto ore dopo annuncia l’interruzione di ogni dialogo con i giornalisti, “fino a quando non verrà annullato il pronunciamento del 3 aprile”.
Tutta la grande stampa critica il referendum. “Non solo -scrive Fiengo- chi è schierato al centro e a destra, ma anche l’Unità e il manifesto sono molto tiepidi”. Stroncature pubbliche sono firmate da Gaetano Afeltra, Indro Montanelli, Enzo Biagi. Il Cdr (e la redazione) del Corriere si sono permessi di giudicare il Direttore. I giornalisti replicano con un lungo testo cercando di spiegare che non si tratta di “fiducia” o di “sfiducia” al Direttore, ma di un modo per portare in pubblico la discussione sul modello informativo della stampa italiana.
Mieli non è scalfito dal voto, l’Editore lo sostiene, il suo modello di giornalismo si va affermando pian piano in gran parte delle altre testate: molto “Palazzo”, pochi problemi della gente comune.