Hearst, uno dei più grandi gruppi editoriali americani, ha ufficialmente stretto un accordo con OpenAI, la società madre di ChatGPT, unendosi alla lista di editori internazionali che collaborano con la startup di Intelligenza artificiale.

E’ questo l’ultimo capitolo dei patti fra Gruppi editoriali e Aziende di Intelligenza artificiale. Solo il New York Times ha scelto una strada opposta, la citazione in tribunale di OpenAI per lo sfruttamento dei suoi contenuti di decenni, senza citazioni, né riconoscimenti economici.

particolari sconosciuti

Gli accordi che si stanno moltiplicando hanno alcune caratteristiche comuni.

La prima è che non si conoscono mai i particolari. Si sa che l’Intelligenza artificiale potrà “allenarsi” e utilizzare i contenuti delle Aziende editoriali, ma non si sa bene cosa avranno in cambio le aziende editoriali. Denaro? Link? Citazioni? Gli amministratori delegati che firmano le carte fanno dichiarazioni soddisfatte, che lasciano spazio e grandi dubbi.

La seconda è che non si sa cosa avranno in cambio gli autori dei contenuti utilizzati, vale a dire i giornalisti. O meglio, si intuisce: probabilmente non avranno niente.

La terza è che gli accordi vengono stipulati fra Aziende editoriali e Aziende di AI, senza alcun coinvolgimento delle rappresentanze sindacali dei giornalisti. Che dovrebbero, per tale motivo, cominciare a protestare.

due grandi scommesse

Questa, nel campo dell’informazione mondiale, è una delle due grandi scommesse del momento che se vengono lasciate al libero dispiegamento del mercato costituiranno la fine della libera informazione. L’altra è l’invasione della pubblicità nelle notizie, che ha portato ai due giorni di sciopero a Repubblica a fine settembre. Una protesta caduta nel vuoto, per quanto riguarda la categoria: qualche comunicato di solidarietà con la redazione di Repubblica, nessuna azione concreta, nessuna discussione. L’Ordine nazionale, depositario della deontologia professionale, non ha detto una parola.

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, l’accordo tra Hearst e OpenAI permetterà a ChatGPT di accedere alle notizie di oltre 60 pubblicazioni del gruppo, tra cui famosi magazine come Cosmopolitan, Esquire, Elle e il quotidiano San Francisco Chronicle. Questo dovrebbe consentire a ChatGPT di fornire risposte basate su informazioni verificate, garantendo agli utenti trasparenza e attribuzione delle fonti originali.

qualità e utenti

“Man mano che l’Intelligenza artificiale generativa matura, è fondamentale che il giornalismo creato da professionisti sia al centro di tutti i prodotti di AI”, ha commentato Jeff Johnson, presidente di Hearst Newspapers.

Anche OpenAI ha espresso soddisfazione. Brad Lightcap, uno dei manager della società, ha spiegato che l’integrazione dei contenuti affidabili di Hearst nei prodotti di OpenAI, come ChatGPT, “contribuirà a migliorare la qualità delle informazioni offerte agli utenti”.

A luglio, OpenAI ha presentato SearchGPT, un motore di ricerca basato sull’AI, che si propone di fare direttamente concorrenza a Google.

fonti non citate

Nel mondo editoriale le linee di comportamento nei confronti dell’Intelligenza artificiale sono per ora due: la prima, scelta dal New York Times, è giudiziaria: il prestigioso quotidiano ha citato in giudizio OpenAI per lo sfruttamento di migliaia di suoi articoli senza citare la fonte. Molte altre aziende e testate, come Springer, The Atlantic, Condé Nast, News Corp, Vox e Time, hanno già siglato accordi con OpenAI. In Italia il Gruppo Gedi ha firmato un accordo (di cui non si conoscono i particolari) con OpenAI e il Corriere della Sera ha firmato un accordo per utilizzare OpenAI nel settore economia.

Professione Reporter

(nella foto, William Randolph Hearst, fondatore del Gruppo, 1887)

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