Venerdì 25 ottobre The Washington Post ha scritto in un editoriale firmato dal suo amministratore delegato, William Lewis, che non esprimerà il proprio endorsement –il proprio sostegno- a favore di uno o dell’altro candidato alle prossime elezioni presidenziali Usa del 5 novembre. E che non lo farà più in futuro.
The Washington Post fa endorsement dal 1976 e ha sempre sostenuto candidati Democratici. The Washington Post è il quotidiano che portò il Presidente Nixon alle dimissioni con lo scandalo Watergate. Nelle ultime due elezioni presidenziali tutti i principali giornali americani avevano espresso il proprio sostegno per i candidati Democratici, contro Donald Trump.
Mieli e montanelli
Per i quotidiani italiani è singolare che a scrivere un pezzo su una presa di posizione del genere sia l’amministratore delegato del giornale. Inoltre, in Italia, di solito i giornali non fanno palesi endorsement, perché sono tutti palesemente schierati tutto l’anno, in diverse posizioni dello scacchiere politico. Ancora si ricorda però l’editoriale di Indro Montanelli sul Giornale (“Turiamoci il naso e votiamo Dc”) del 1976 e l’endorsement di Paolo Mieli, Direttore del Corriere della Sera, a favore di Romano Prodi e del centrosinistra nel 2006.
Nel suo editoriale l’ad del Washington Post ha motivato la decisione dicendo che il giornale vuole tornare “alle sue radici” ed è andato indietro fino al 1960: in un editoriale The Washington Post diceva che “è più saggio per un giornale indipendente nella capitale della nazione evitare endorsement formali”.
“gesto codardo”
Dopo la pubblicazione dell’editoriale di Lewis -secondo la ricostruzione del Il Post, i rappresentanti sindacali dei giornalisti in un comunicato si sono detti “molto preoccupati” e l’opinionista Robert Kagan si è dimesso per protesta. Sedici opinionisti della redazione hanno pubblicato un articolo in cui definiscono la decisione “un terribile errore”, sostenendo che un giornale indipendente debba poter essere libero di non fare endorsement, ma non ora, poiché uno dei due candidati “minaccia direttamente la libertà di stampa e i valori della Costituzione”. Parlando di Trump.
L’ex direttore del Washington Post Marty Baron ha scritto sui social che rinunciare agli endorsement è un “gesto codardo, con la democrazia come vittima”. Altre critiche sono arrivate online da commentatori e politici, e al giornale sono arrivate mail di protesta dagli abbonati. Bob Woodward e Carl Bernstein, i due ex giornalisti dell’inchiesta Watergate, hanno definito la decisione “sorprendente e deludente”.
bozza già pronta
Alcuni giornalisti del Washington Post che hanno chiesto di rimanere anonimi hanno detto che i dirigenti del giornale hanno preso la decisione di sospendere gli endorsement all’ultimo momento e che era già pronta la bozza per un editoriale a sostegno di Kamala Harris.
Sempre secondo fonti interne citate dallo stesso Washington Post, la decisione di cambiare approccio sarebbe stata presa da Jeff Bezos, proprietario del giornale dal 2013. Jeff Bezos è il capo di Amazon e della società spaziale Blue Origin: la decisione è stata interpretata come una volontà di mantenere buoni rapporti con chiunque debba vincere le elezioni. The Washington Post è inoltre da tempo impegnato ad aumentare il suo numero di abbonati per fronteggiare una lunga crisi, e punta dunque a raggiungere anche persone con idee conservatrici.
industriale farmaceutico
Anche Patrick Soon-Shiong –proprietario del Los Angeles Times dal 2018– ha deciso che il suo giornale non farà endorsement.Robert Greene, premio Pulitzer, e la collega Karin Klein hanno annunciato le dimissioni, all’indomani dell’addio al giornale di Mariel Garza, Capo della pagina degli editoriali, che già aveva steso la bozza in appoggio della Harris, bloccata da Soon-Shiong. “Capisco che e’ la decisione del proprietario -ha detto Greene- Ma in questo caso è particolarmente doloroso, perché uno dei candidati, Donald Trump, ha dimostrato la sua ostilità ai principi chiave del giornalismo: il rispetto per la verità e per la democrazia”.
Il Los Angeles Times dal 2008 ha sostenuto i candidati del partito Democratico: Barack Obama, Hillary Clinton e Joe Biden. Lo stesso discorso fatto per Bezos è stato fatto per Soon-Shiong, che da imprenditore nell’industria farmaceutica ha interesse a mantenere buoni relazioni con Repubblicani e Democratici.
abbonamenti interrotti
Secondo il giornale online Semafor, circa 2mila persone hanno interrotto il proprio abbonamento al Washington Post e circa 1300 quello al Los Angeles Times.
Nelle ultime settimane la maggior parte degli altri grossi giornali statunitensi hanno espresso il proprio endorsement. Il New York Times ha pubblicato il 30 settembre un editoriale a favore di Kamala Harris, e venerdì un altro articolo firmato dal gruppo di editorialisti del giornale, una specie di anti-endorsement a Trump.
(nella foto, Jeff Bezos, proprietario del Washington Post e di Amazon)
Come sempre Professione Reporter ci aggiorna tempestivamente su una notizia che ha avuto grande risonanza negli USA. Sì è parlato di svolta epocale per il Washington Post che ha una storia di grande giornalismo, da sempre in accesa competizione con il NY Times. Sempre il Post si era schierato, apertamente, in modo trasparente nelle corse presidenziali americane. Ora cambia il vento e Jeff Bezos porta le ragioni del business in questa testata storica. Ci dobbiamo stupire? No, se guardiamo ai giornali italiani. Ma cade un mito, e non è una buona notizia né per la stampa né per la democrazia.
L’attacco all’informazione libera punta a minare la nostra libertà. E’ tempo di correre ai ripari per non far prevalere i codardi e gli ignavi. Professione Reporter è un buon argine e va sostenuto.